Per la prima volta sul podio dell’Orchestra della Toscana il giovane direttore Eduardo Strasser porterà il suo stile forte e dinamico che è stato definito come “una vera forza della natura, una direzione imbevuta di carisma, presenza scenica e una buona chimica con l’orchestra”. Brasiliano, è stato direttore principale del Theatro Municipal de São Paulo dal 2014 al 2016, in Italia ha già diretto concerti sinfonici alla Fenice di Venezia, al Teatro Verdi di Padova e al Teatro Sociale di Rovigo. Ha collaborato con solisti del calibro di Isabelle Faust, Richard Galliano, Barnabas Kelemen, Sergei Krylov e molti altri. È un autentico poliglotta dal momento che parla correntemente portoghese, rumeno, tedesco, inglese, italiano, francese, spagnolo ed ebraico.
Per l’occasione accompagnerà l’Orchestra della Toscana Jan Lisiecki il pianista che a 23 anni è già riconosciuto come uno dei più grandi del nostro tempo. Acclamato per la sua straordinaria maturità interpretativa, suono distintivo e sensibilità poetica, è stato descritto come “un pianista che sa fare in modo che ogni nota conti” (New York Times). Le sue interpretazioni penetranti, la sua tecnica raffinata e la sua naturale attrazione artistica gli consentono di avere uno spessore musicale che va oltre la sua giovane età. Si esibisce in tutto il mondo con le orchestre più prestigiose e sui più rinomati palcoscenici e ha lavorato a stretto contatto con importanti direttori quali Sir Antonio Pappano, Yannick Nézet-Séguin, Daniel Harding e Claudio Abbado. Canadese di origini polacche, nel 2013 è diventato il più giovane vincitore dello Young Artist Award di Gramophone e ha ricevuto un Leonard Bernstein Award dal Festival Musicale dello SchleswigHolstein. Registra in esclusiva per Deutsche Grammophon.
Il programma dei concerti sarà a ‘tutto Beethoven’ e si aprirà con L’ouverture Coriolano scritta non per essere premessa alla nota tragedia di Shakespeare ma a quella omonima e assai meno nota di Heinrich von Collin, drammaturgo a cui il compositore fu legato da stima e da una sincera amicizia. Una versione incentrata sulla figura dell’eroe romano, che, bandito da Roma, stringe alleanza con i Volsci, e si trova poi in preda a contrasti di coscienza; l’incertezza di scegliere la strada dello spergiuro (nei confronti dell’alleanza con i Volsci) o del tradimento (verso la madre patria) lo spinge all’unica soluzione possibile, il suicidio. Pochi lavori sinfonici del compositore possono vantare un’adesione così compiuta all’opposizione fra un principio che afferma e uno che implora.
Sono contrastanti i giudizi sul Terzo Concerto in do minore op.37 per pianoforte e orchestra di Beethoven. L’autore lo reputava uno spartiacque nella sua produzione, un netto passo avanti formale e stilistico rispetto ai due concerti precedenti, guardati ormai con distacco. Tutti i grandi divi otto-novecenteschi della tastiera l’hanno avuto in repertorio insieme ai due concerti successivi, il superbo Quarto e il grandioso Quinto, detto l’Imperatore. Una pagina comunque di proporzioni ambiziose (basti pensare alle dimensioni dei movimenti estremi, fuori dell’ordinario a questa altezza cronologica) e vigorosa nella scrittura (l’orchestrazione robusta e la richiesta di un bell’affondo pianistico, ma anche l’emergere a tratti di un solido sostrato contrappuntistico. All’ascolto si riconoscono pur sempre i muscoli e il sangue del Beethoven più autentico, quello che di lì a poco avrebbe compiuto l’Eroica e, più tardi, la Quinta.
Beethoven scrisse la Sinfonia n.7 in la maggiore fra l’autunno del 1811 e il maggio del 1812, approdo astratto, persino metafisico, dell’ultima stagione creativa. Indubbio è lo scarto che la separa dal disteso idillio della Sesta e dal drammatico eroismo della Quinta. La Settima venne eseguita per la prima volta l’8 dicembre 1813 diretta dallo stesso Beethoven, a cui il pubblico riservò consensi particolarmente entusiastici, al punto da essere considerato come uno dei più grandi trionfi della sua carriera. Richard Wagner seppe individuare la vera anima della Settima attraverso un’immagine: «questa sinfonia è l’apoteosi della danza, è la danza nella sua essenza più sublime». Definizione ancora oggi celeberrima e giustissima, perché la danza si definisce nella continuità del ritmo, non solo forza propulsiva ma una sorta di motore avviato ad un minimo di giri che poi arriva via via al massimo e che sbocca nello splendore della fanfara finale, culmine di una sinfonia nata dal ritmo e che nell’animazione del ritmo conosce la sua esaltazione più perfetta e dionisiaca.
Firenze, Teatro Verdi, giovedì 14 febbraio 2019 ore 21.00
Empoli, Palazzo delle Esposizioni, venerdì 15 febbraio 2019 ore 21.00
Pistoia, Teatro Manzoni, sabato 16 febbraio 2019 ore 21.00