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© Gustavo Vera Febres-Cordero

Musica /

Go Dugong e il battito segreto della foresta: viaggio mistico nel cuore dell’Amazzonia

Dall’incontro con gli sciamani alla vibrazione segreta della natura: l’artista in concerto al Parc di Firenze domenica 30 marzo racconta l’esperienza esoterica che ha dato vita a Madre, un disco nato dal cuore pulsante della giungla tra spiriti, ritmi ancestrali e visioni

Domenica 30 marzo approda al PARC di Firenze all’interno della rassegna Mixité Giulio Fonseca in arte Go Dugong con il suo nuovo progetto musicale frutto di un viaggio in Amazzonia. 

Cultore di suoni globali, ritmi, lingue, strumenti, field recording e campioni provenienti da tutto il mondo, Go Dugong ha intrapreso una vera e propria missione per raggiungere il cuore della giungla alla ricerca di strumenti di vari gruppi etnici (principalmente Wayuu, Uwotjuja, Jiwi e Ye ́kwana) in compagnia del musicista e ricercatore venezuelano Washé. 

Il risultato è “MADRE” disco uscito a novembre 2024 per 42 Records/La Tempesta che mescola da un lato suoni ottenuti da strumenti costituiti da un pezzo di legno, un teschio o una conchiglia, dall’altro suoni elettronici e sintetizzati, che creano un senso di tensione, di contrasto.

“Il disco nasce dall’esperienza che ho vissuto per un mese in Venezuela – ci ha raccontato Go Dugong – due settimane a Caracas e due nel cuore dell’Amazzonia. Ho vissuto il contrasto  tra il caos della grande città sudamericana e la completa simbiosi con la selva. Una volta che sei nella giungla non ci sono hotel o resort, sei esposto alla natura 24 ore su 24, abbiamo dormito su un amaca o per terra, lavandoci nel fiume. Io non ero mai stato in Amazzonia, è un posto speciale, sembra che tutto sia nato lì, come un centro energetico del pianeta molto potente. È stata un’esperienza veramente mistica, senza l’utilizzo di nessuna sostanza. Le comunità indigene vivono in completa simbiosi con quell’ambiente ma è un luogo che non è fatto per l’essere umano. Per noi occidentali è diverso, in un primo momento il tuo corpo e la tua mente fanno fatica ad adattarsi. Devi essere costantemente vigile, ogni passo che fai devi sapere dove stai mettendo i piedi. È stato un viaggio molto lungo, abbiamo camminato tanto, fatto lunghi tragitti in canoa, è stato molto stancante. Però dopo qualche giorno il tuo fisico inizia ad adattarsi e ti senti più forte. Quindi ti viene da pensare che forse è quello il nostro habitat naturale, non il cemento o la città. Guardando la maestosità della natura puoi provare la sensazione catartica della dissoluzione dell’ego. Io non ho mai visto un cielo così in vita mia, solo alzando gli occhi mi veniva da piangere, perché mi sentivo minuscolo”.

È stata un’esperienza veramente mistica, guardando la maestosità della natura puoi provare la sensazione catartica della dissoluzione dell’ego. Io non ho mai visto un cielo così in vita mia, solo alzando gli occhi mi veniva da piangere, perché mi sentivo minuscolo

Quello che mi racconti mi ha ricordato un libro di Werner Herzog che girò in Amazzonia “Fitzcarraldo”, in “La conquista dell’inutile” lui racconta soprattutto la pericolosità della natura, animali feroci, insetti velenosi, fiumi che in pochi minuti possono affogare centinaia di persone

Esattamente, Herzog descrive la selva amazzonica come un posto violento, che non è fatto per l’essere umano. Lui ci vedeva fame, miseria, morte, distruzione, in effetti è così, è un caos, però a un certo punto ti senti parte di questo caos naturale. Potresti morire da un momento all’altro come l’insetto che ti sta passando accanto e inizi a ridimensionarti.

Che effetto ti ha fatto tornare nel mondo occidentale dopo un’esperienza così forte?

L’Amazzonia è diversa da qualsiasi altro posto abbia visitato prima, è energetica. Quello che ho sentito lì non l’ho sentito in altri luoghi. È un luogo assurdo, smettono di funzionare le cose, le pile si scaricano e si ricaricano a caso solo in certi luoghi, è un luogo pazzo. Quando sono tornato in Italia stavo benissimo, mi sentivo una montagna, il mio corpo era molto forte, mi sentivo rigenerato. Ero molto a fuoco su tutto quello che facevo, ero potenziato, mi sentivo in versione superumano!

MADRE Go Dugong e Carlos Washé – © Gustavo Vera Febres-Cordero

Durante il viaggio in Amazzonia hai raccolto il materiale sonoro per il tuo ultimo disco “MADRE”, raccontaci com’è andata…

Ho collaborato con Carlos Washé un ricercatore che da più di vent’anni studia la musica indigena del Venezuela e che nel disco ha suonato vari strumenti antichi in suo possesso. Lui è di Maracaibo, è cresciuto con l’etnia Wayuu. Nel viaggio siamo stati ospiti delle comunità indigene per chiedere informazioni sui loro strumenti e sul loro uso. Carlos cercava uno strumento in particolare, alla fine siamo riusciti a trovarlo ma non ci hanno permesso di vederlo, è uno strumento che viene usato in un rituale particolare, solo gli sciamani possono vederlo, toccarlo e usarlo. È pericoloso se altre persone ci vengono a contatto. Lì c’è un universo infinito di informazioni che non basterebbe una vita intera per scoprire. In Venezuela ci sono più di 50 etnie diverse, ognuna con le proprie tradizioni, i propri strumenti e il proprio idioma. Quello che cerca di fare Carlos è che tutta questa conoscenza e queste tradizioni non vadano perdute e dimenticate, sta creando una sorta di archivio sonoro.

Quindi avete registrato in presa diretta durante il viaggio nella giungla? Qual è stata la reazione degli Indios?

Abbiamo registrato un po’ a Caracas, un po’ nella giungla con registratori portatili che avevamo. Gli indigeni sono stati molto ospitali e contenti di averci lì. Erano super disponibili nel raccontare e darci informazioni. Sono persone amorevoli e in pace con il mondo. Io li considero dei superuomini perché hanno una resistenza fisica e una conoscenza delle piante e della fauna incredibile. Quando sono tornato anche io ho cominciato a studiare le piante, ad appassionarmi. Quando posso me ne vado dalla città. Questo viaggio mi ha cambiato, guardo le cose in maniera diversa.

Nella tua ricerca hai sempre esplorato i temi della contaminazione sonora e la multiculturalità, quale messaggio vuoi trasmettere con la tua musica?

In questo caso la musica passa quasi in secondo piano, rispetto a quello che abbiamo vissuto. Ogni disco ha un suo messaggio, è il racconto di una storia, un’esperienza. Per me è difficile fare musica senza avere niente da dire. Prima ho un film nella mia testa poi viene la musica che è il suo soundtrack. In passato ho fatto due dischi sulle ritmiche tradizionali del sud Italia, uno dedicato alla mia città Taranto, l’altro “Meridies” era un viaggio nelle tradizioni e le leggende del meridione contaminato con altri generi musicali, l’elettronica, il jazz, la psichedelia. L’Amazzonia è venuta da sè, non l’ho cercata.

MADRE Go Dugong e Carlos Washé – © Gustavo Vera Febres-Cordero

 

 

 

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