Claudio Domestico in arte GNUT è una tra le migliori voci del cantautorato italiano dentro di lui convive un mix straordinario fatto del miglior grunge degli anni ’90 (Nirvana, Nick Drake e Eliott Smith) la canzone tradizionale napoletana, il blues e la musica africana.
Da questo piacevole caos nasce il suo ultimo disco “Nun te ne fa’ “ (con un titolo che è un chiaro omaggio a “Nevermind” dei Nirvana) realizzato in collaborazione con il poeta Alessio Sollo e il produttore Piers Faccinì artisti con cui GNUT ha stretto un sodalizio artistico e un’amicizia che vanno avanti da oltre 20 anni.
È un talento poliedrico: cantautore, chitarrista, produttore, compositore di colonne sonore. Per realizzare il suo ultimo disco ci ha messo “solo” otto anni, senza fretta e gustandosi ogni momento, esattamente come va bevuto il caffè napoletano.
GNUT sarà in concerto venerdì 12 maggio al Circolo Arci Il Progresso di Firenze, per trasportarci nel suo mondo poetico con chitarra e voce
Ecco la nostra intervista a GNUT
Quasi 10 anni per fare un album, hai iniziato che eri una persona, l’hai finito, eri un’altra persona praticamente
Sì, assolutamente sì. Però diciamo che in quest’album ho messo un lavoro che non è stato ossessivo, non sono stato 8 anni tutti i giorni a lavorare solo a quest’album. Ho iniziato a mettere canzoni da parte 8 anni fa e nella prima fase in realtà mi sono limitato a selezionare quelle canzoni che mi emozionavano di più e che piacevano di più al produttore Pier Faccinì e al mio amico Alessio Sollo, col quale abbiamo lavorato ai testi. Ci sono canzoni che quando nascono ti provocano un’emozione particolare, il brividino. Quindi abbiamo fatto una selezione su più di 40 canzoni. Poi è arrivata la fase di preproduzione, sono stato in Francia e ho messo a posto le strutture, le parti insieme a Piers. Quando poi abbiamo deciso di registrare a Parigi in presa diretta con tutta la band, è arrivato il Covid che ci ha bloccato, ci ha fatto perdere un po di tempo. Abbiamo iniziato a lavorare a distanza. E lavorare a distanza ci ha fatto perdere un sacco di tempo perché una cosa che faresti in 10 minuti in studio, a distanza diventano due, tre settimane. Ma non è stata l’unica cosa che ho fatto in questi anni. Mi sono dedicato a progetti paralleli, il disco l’ho coltivato lentamente come piaceva a me.
Ma tutti i pezzi scartati che non hai messo nell’album che fine hanno fatto?
In realtà, dato che i tempi erano così dilatati, 14 pezzi scartati li abbiamo usati per fare “L’orso Nnamurato” che praticamente è un libro-disco che ho pubblicato con Alessio Sollo. Nel progetto ci sono 66 poesie di Alessio e 14 canzoni musicate che erano tra quelle in realtà scartate. Ci siamo inventati questo progetto in dieci giorni abbiamo registrato l’album pubblicato con una casa editrice di miei vecchi amici napoletani. Poi abbiamo girato in tour tutta l’Italia, da Bolzano alla Sicilia e siamo stati anche finalisti al Tenco. Un progetto nato così per gioco ci ha fatto girare tantissimo ed è arrivato a tantissime persone.
il modo migliore che abbiamo per onorare l’assenza di qualcuno che ci ha amato tanto è quello di cercare di essere felici con tutte le nostre forze. Lo dobbiamo a noi stessi ma anche a loro che sarebbero contenti di saperci felici invece che distrutti per la loro perdita.
L’incontro con Piers Faccinì nel tuo percorso è stato fondamentale, è stato lui che ti ha regalato il primo disco di Elliot Smith, ho letto che tu l’hai conosciuto quando ancora non era famoso
Sì, ci siamo conosciuti a Londra nel 2002, non avevamo pubblicato né io né lui nessun album. Lui faceva il pittore all’epoca e aveva quadri in galleria a New York, a Roma, a Parigi e musicalmente faceva colonne sonore per dei documentari della BBC. Aveva queste canzoni nel cassetto, meravigliose che dopo qualche anno ha pubblicato e parallelamente io ho pubblicato il mio primo album, poi lui mi ha prodotto il secondo disco “Il rumore della luce”. La nostra è una sintonia che dura da più di vent’anni. Poi lui ha aperto la sua piccola etichetta la Beating Drum Records e anche se io ormai ero impegnato con altre strutture qui in Italia, ci siamo promessi, che appena possibile avremmo fatto qualcosa insieme. “Nun te ne fa’” è stata l’occasione per lavorare di nuovo insieme dopo tanto tempo.
Da quello che leggo io e te siamo cresciuti ascoltando gli stessi gruppi: i Nirvana, Nick Drake ma soprattutto Eliott Smith un cantautore che mi ha cambiato la vita. In una intervista citando il tuo amico Sollo hai detto “La storia la scrivono i vincitori, la poesia è dei perdenti”, forse è questo che affascina così tanto di questi cantautori, il fatto che sono riusciti a rendere poesia il fallimento e il ‘perdente’ un eroe?
Come dice Alessio c’è molta più poesia nella sconfitta, e c’è anche molto più da imparare che nella vittoria. Eliott Smith, Nick Drake, Kurt Cobain hanno avuto tutti una vita tristissima, io sono sempre stato affascinato da questi personaggi. Ma ovviamente non è soltanto il fascino del perdente, è comunque legato a un talento straordinario in tutti e tre i casi. Sono stati tutti e tre dei geni assoluti. Drake e i Nirvana li conoscono tutti, Smith secondo me ancora non è giustamente valutato per quanto in realtà è grande la sua opera. Nei dischi che ha fatto ci sono delle composizioni straordinarie, è un peccato che non gli venga riconosciuto. A me ha travolto la vita per me lui è la sintesi tra Nick Drake e i Beatles. Io amo tantissimo anche Lennon e avere questa sintesi unita a un talento straordinario con una conoscenza musicale come l’aveva lui è incredibile, infatti è una passione che non si è mai sopita. Continuo ad ascoltarlo ed emozionarmi, per me lui è un faro.
Tu canti in napoletano, immagino che la musica napoletana sia per te un punto di riferimento inevitabile anche se poi hai ascoltato altro nella tua vita
Alla canzone classica napoletana ci sono arrivato dopo perchè come ogni adolescente in epoca grunge mi affascinava tutto quello che veniva da lontano. Ho fatto prima tutto il giro del mondo tra Jeff Buckley, il blues, la musica africana, poi mi sono appassionato alla world music e mi sono reso conto quanto sono importanti le radici per un musicista e un artista in generale. Quindi ho iniziato a studiare il repertorio tradizionale della mia terra e mi si è aperto un mondo, c’è un patrimonio culturale enorme. Mi sono innamorato di Murolo e del suo approccio morbido mai troppo arrangiato, pomposo o sopra le righe come invece spesso capita. Lui con un filo di voce e la chitarra classica ha dato al repertorio della canzone napoletana un vestito senza tempo, i suoi dischi sembrano registrati ieri, per me è diventato un punto di riferimento.
Da quando l’essere umano esiste esistono le canzoni d’amore, c’è sempre qualcosa di nuovo da dire. Forse la canzone d’amore più bella che hai scritto è “Anche per te” che è dedicata a tua mamma
È una canzone che mi ha salvato da una fase in cui questa perdita mi aveva portato a un periodo autodistruttivo perchè quando stai così male per la perdita di qualcuno arrivi anche a questo. Scrivere questa canzone mi ha fatto pensare che il modo migliore che abbiamo per onorare l’assenza di qualcuno che ci ha amato tanto è quello di cercare di essere felici con tutte le nostre forze. Lo dobbiamo a noi stessi ma anche a loro che sarebbero contenti di saperci felici invece che distrutti per la loro perdita. È stato un momento di rinascita. Scrivo in italiano da tanto tempo, è complicato perchè l’italiano è una lingua meno musicale del napoletano, però ho trovato un mio modo per esprimere i miei sentimenti. In italiano sono vittima dell’ispirazione, sono molto lento, devo essere folgorato da qualcosa che mi spinge a scrivere. Invece il napoletano si presta di più a un esercizio stilistico soprattutto sull’amore perchè in napoletano non esiste il verbo amare, esiste il sostantivo ‘amore’ ma non si dice “Ti amo” si dice “Ti voglio bene assai”, quindi per un autore o un poeta non poter dire “Ti amo” lo obbliga a inventare una metafora, una poesia.
Qual è per te la canzone d’amore per eccellenza?
Io amo tantissimo “Oh my love” di John Lennon, però ce ne sono così tante, l’amore è un tema così ampio, come dicevi te, che si ha sempre la sensazione che manchi qualcosa. Come diceva sempre John Lennon “Cosa c’è di più importante di cui parlare se non d’amore”. Alessio invece ha un approccio all’amore scientifico, come uno scienziato studia il fenomeno e cerca di analizzarlo sotto tutti i punti di vista, è un’operazione meravigliosa.
Ho letto che quello sulla copertina del disco è tuo padre, è stato contento di far parte del progetto?
Sì è stato molto contento, anche se in realtà l’idea iniziale era prendere una serie di foto di famiglia e fare un collage che ricreasse il mio volto. Piers che è anche un artista mi chiese una serie di foto. Ho dovuto scannerizzare 680 foto di famiglia, era nato mio figlio da due settimane. Quindi ero nel pieno di nottate e pannolini a scannerizzare foto. Poi Piers si è innamorato di quello scatto e abbiamo deciso di usare questa foto di fine anni ’70 in cui mio padre sta davanti al Cristo di Maratea, molto evocativa e spirituale.