Un estratto di bucce e semi di melagrana solubile in acqua, ottenuto grazie una tecnica innovativa e sostenibile, che si rivela molto efficace nella cura dell’ipertensione, sia acuta che cronica. È il risultato di una ricerca pubblicata sulla rivista Nutrients e realizzata da un gruppo di ricerca dell’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche di Firenze (Cnr-Ibe) e dell’Università di Pisa.
L’estrazione del succo di melagrana genera sottoprodotti non edibili, bucce e semi, pari al 60% del peso del frutto, che sono disponibili in grandi quantità e conosciuti da tempo per le loro proprietà salutari, in gran parte dovute ai cosiddetti ellagitannini, in particolare punicalagina e acido ellagico. “Finora, il recupero e la valorizzazione di questi sottoprodotti sono stati ostacolati dalla mancanza di una tecnica di estrazione adeguata, in grado di restituire un prodotto completamente solubile in acqua e più sicuro per l’organismo”, sottolinea Francesco Meneguzzo, ricercatore del Cnr-Ibe.
La qualità e le proprietà degli estratti di prodotti naturali, tra cui i sottoprodotti della melagrana, “dipendono anche dalla tecnica estrattiva. L’applicazione della cavitazione idrodinamica, già verificata con successo su sottoprodotti degli agrumi e delle filiere forestali, ha consentito di estrarre una grande quantità di bucce e semi di melagrana in sola acqua, a bassa temperatura e in pochi minuti, con un consumo energetico molto limitato, restituendo un prodotto completamente solubile”, ha aggiunto.
La ricerca e i risultati
Lo studio ha previsto la somministrazione dell’estratto di melagrana per via orale a ratti spontaneamente ipertesi. I risultati hanno mostrato “la capacità di contrastare efficacemente l’incremento della pressione in un modello sperimentale di ipertensione, migliorando la disfunzione e riducendo lo spessore dell’endotelio, che è il tessuto che riveste l’interno dei vasi sanguigni. In aggiunta a questo, la somministrazione dell’estratto di melagrana ha dimostrato importanti effetti a livello cardiaco”, conclude Lara Testai dell’Università di Pisa.