Il 13 gennaio 2022 ricorre il decennale del naufragio della nave da crociera Costa Concordia davanti all’isola del Giglio. L’impatto provocò uno squarcio di 70 metri nello scafo che causò il parziale affondamento della nave e la morte di 32 persone.
Subito dopo le operazioni di soccorso per mettere in salvo i passeggeri il problema principale fu quello di portare via la nave senza causare un danno ambientale ai fondali dell’isola.
Ripercorriamo grazie ai documenti dell’Arpat l’agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana le complesse azioni di rimozione della nave e il ripristino dei fondali negli ultimi dieci anni.
La prima emergenza: rimuovere 2400 tonnellate di carburante
L’emergenza più importante nei giorni immediatamente successivi al naufragio della Costa Concordia fu stata quella di portare via dal serbatoio della nave 2400 tonnellate di carburante, cioè olio combustibile molto denso.
Per farlo sono stati usati dalla società olandese Smit Salvage strumenti al alta tecnologia che hanno consentito di perforare la cassa dove si trovavano gli idrocarburi, fluidificarli con un sistema di riscaldamento e estrarli pompandoli attraverso una manichetta a una nave pronta all’esterno in stand by a ricevere queste sostanze.
Lo svuotamento del carburante dai serbatoi ha avuto inizio il 24 gennaio 2012 con la tecnica di “hot tapping” alla quale è seguito il preriscaldamento a seguito della avvenuta solidificazione del combustibile dovuta alle temperature invernali a cui è stato sottoposto e la sostituzione con un equivalente peso di acqua per non destabilizzare la nave.
L’azione è stata ultimata con successo, dopo varie interruzioni causate da condizioni meteomarine avverse, il 24 marzo 2012, alle 07:30, con il recupero di 2 042,5 m³ di carburante e 240 m³ di acque nere.
Le operazioni compatibili con l’ambiente marino non hanno dato luogo a sversamenti di materiali. In ogni caso per evitare ogni rischio la Costa Concordia era stata circondata da panne oceaniche anti inquinamento cioè un barriera in plastica galleggiante che serve proprio per evitare il disperdersi di materiali in mare.
Il monitoraggio dell’Arpat nei giorni subito dopo il naufragio
Nei giorni immediatamente successivi al naufragio i biologi subacquei dell’Arpat tramite il battello ocenografico Poseidon e con l’aiuto della Capitaneria di Porto hanno fatto numerosi rilevamenti per monitorare il fondale e verificare se ci fossero stati danni alla fauna o alla flora marine.
Sono stati fatti campionamenti a lunga distanza anche in zone più estese oltre a quella del naufragio con foto e video per tenere sotto controllo la situazione del fondale marino.
Si è avviato un monitoraggio della Posidonia una pianta che cresce sul fondo del mare che è un indicatore ambientale perchè è molto sensibile agli agenti antropici cioè immessi dall’uomo nella natura e del coralligeno che cresce sugli scogli.
Nei primi mesi di monitoraggio i tensioattivi sono risultati assenti in tutti i punti analizzati, e negativi i test sulle sostanze tossiche, non sono stati trovati solventi, vernici, o sostanze alimentari della cambusa, l’acqua era sostanzialmente pulita.
Il cantiere di rimozione del relitto
Dopo aver rimosso il carburante è iniziata la complessa attività di recupero della nave, Costa Cordia ha pagato 85 milioni di dollari per il ripristino dei fondali.
Il lavoro ha previsto l’instaurarsi di un vero e proprio cantiere. Del salvataggio della nave fu incaricata Titan Salvage, una società statunitense specializzata nel settore, che, assieme all’italiana Micoperi, ha gestito la rimessa in assetto e galleggiamento del relitto per poi rimuoverlo e portarlo a Genova.
Uno dei rischi più grossi per l’ambiente era la fuoriuscita di acque dalla nave una volta rimessa in piedi, acque che era entrate in contatto con diversi tipi di materiali e quindi contaminate.
Il progetto si è diviso in quattro fasi consecutive: la rimozione dei detriti rimasti sul fondale dell’area di cantiere, per proseguire poi con gli anchor block serviti all’installazione delle torri utilizzate per i sistemi di ritenuta del relitto, la rimozione dei sacchi di cemento utilizzati per realizzare il falso fondale di appoggio del relitto durante la fase di rotazione e fino alla fase di rigalleggiamento e, a seguire, delle sei piattaforme di acciaio su cui poggiava il relitto dopo la sua rotazione, per terminare infine con la rimozione dei sedimenti depositati sul fondo marino per riportare i fondali alla condizione prima dell’incidente.
Un articolato piano di monitoraggio ambientale, condiviso con le autorità, è stato avviato in parallelo alle operazioni per ridurre al minimo l’impatto ambientale. Il piano coordinato dall’Università La Sapienza di Roma ha previsto controlli costanti sulle lavorazioni e sulla qualità delle acque, test biologici ed ecotossicologici sui pesci con anche il posizionamento di stazioni di controllo “mussel watch”, analisi periodiche sui sedimenti, il monitoraggio degli habitat protetti in particolare posidonia e coralligeno e un’attività di monitoraggio dei cetacei in caso di attività che potessero generare troppo rumore.
Le operazioni di pulizia dei fondali e di rimozioni dei sedimenti di Punta Gabbianara a Giglio Porto, iniziate immediatamente dopo la rimozione del relitto della nave, si sono concluse ufficialmente nel maggio 2018.
Dieci anni dopo il naufragio: valori stabili
A distanza di dieci anni prosegue il monitoraggio con oneri integralmente a carico di Costa Crociere, avviato immediatamente dopo il naufragio e svolto, secondo l’accordo tra Regione Toscana, ARPAT e ISPRA, sia per il controllo, sia per la verifica delle attività di ripristino dei fondali dell’area del Giglio interessata dall’incidente.
I risultati dell’ultimo monitoraggio ambientale effettuato da ARPAT nel periodo 2016-2017 indicano che i valori medi di clorofilla-a e i valori relativi al Rapporto di Qualità Ecologica (RQE) indicano uno stato ecologico elevato per tutte le stazioni monitorate.
I test di tossicità hanno dato sempre esito negativo e le concentrazioni di metalli sono risultate sempre entro i valori degli standard ambientali previsti dalla normativa. Inoltre l’indice PREI applicato sulla matrice biologica Posidonia oceanica classifica tutti i siti tra la classe buona ed elevata, pur mostrando alcune differenze il sito di impatto Cala del Lazzaretto e siti di controllo, evidenziando nel primo alcuni segnali di stress se confrontati con quelli dei siti di controllo lontani dall’area impattata.
I segnali di impatto sono ancora evidenti e confermati da segni di erosione, con matte scoperta e uno scalzamento dei rizomi, in particolare nelle porzioni centrali delle praterie e su parte dei limiti inferiori, non rilevati nei siti di controllo.
Tuttavia le indagini condotte sul campo hanno evidenziato che l’impatto, dovuto ai lavori di cantiere di rimozione prima e i successivi (e ancora in atto) lavori di ripristino dei fondali, è rimasto circoscritto all’area di cantiere, senza alcun effetto né sulle aree indagate immediatamente adiacenti al sito di impatto (vedi Punta Lazzaretto) né, tanto meno, in zone più distanti.
L’ultima fase: il cantiere di ripristino della biocenosi
Dopo la conclusione delle attività di ripristino ambientale del tratto di fondale interessato dal naufragio della nave Concordia ha avuto inizio l’ultima fase progettuale che consiste nel recupero ambientale delle biocenosi cioè piante e animali che vivevano nel fondale schiacciate dalla caduta della nave.
Un nuovo accordo è stato formalizzato lo scorso 6 agosto 2021 tra Regione Toscana, ISPRA, ARPAT e Costa crociere e prevede il compimento della fase conclusiva.
L’accordo ha una durata di cinque anni: le attività di monitoraggio e controllo a cura di ARPAT e ISPRA proseguiranno fino al 29 febbraio 2024, fase che potrà ritenersi terminata solo in seguito all’ottenimento di parere positivo da parte dell’Osservatorio di monitoraggio Concordia.
Il recupero ambientale prevede anche azioni di reimpianto di esemplari della fanerogama marina Posidonia oceanica e di organismi appartenenti alla biocenosi del coralligeno.
I risultati di questa operazione sono andati oltre le aspettative, le biocenosi hanno attecchito molto bene questo è un indice sicuro della salute del mare, se reggono e si riproducono vuol dire he la situazione è in fase di miglioramento.
Tali operazioni sono condotte dal Centro Interuniversitario di Biologia Marina ed ecologia applicata (CIBM), individuato da Costa Crociere quale referente tecnico-scientifico del “Piano di recupero ambientale e di monitoraggio a lungo termine”, mentre ARPAT e ISPRA sono le Istituzioni scientifiche pubbliche incaricate di effettuare il controllo e il monitoraggio ambientale delle attività svolte nel corso dell’ultima fase.