Da ogni viaggio si torna cambiati, si torna diversi. E’ l’incontro con ciò che non conoscevi, è provare ad alzare gli occhi dove nessuno posa mai lo sguardo, alzare tappeti per cercare quella polvere che tutti nascondono e provare a osservarla da vicino. Viaggiare è aprire porte, incrociare persone, farci un pezzo di strada insieme. Allineare le vite per un po’, farle entrare in contatto.
E’ quel che ha fatto anche Giammarco Sicuro, cronista della Rai che il mondo l’ha girato in lungo e in largo in uno degli anni più terribili e forse surreali della storia, quello della pandemia. La Spagna, la Corea del Sud, il Messico, il Brasile, per fare giornalismo, per costruire ponti di informazione, per accendere luci sulle “piccole storie”, quelle che in pochi raccontano, le storie di chi è ai margini, di chi oltrepassa confini dal Messico agli Stati Uniti per sopravvivere e dona il suo sangue per pochi euro. Sangue che serve per sfamare i poveri e curare i ricchi. Le storie di chi vive nelle favelas o ancora di medici che – in Spagna – hanno dovuto decidere chi curare e chi lasciare morire.
I reportage di Giammarco Sicuro li abbiamo visti tutti, sul Tg2 e sugli altri canali Rai ma il giornalista va oltre e prova a tessere un racconto completo nei due anni da inviato attraverso le pagine di un libro, “L’anno dell’alpaca”, edito da Gemma Edizioni.
Sicuro è in Perù quando scoppia la pandemia, si chiudono le frontiere, vengono bloccati i voli e inizia la lotta contro il tempo verso il “nemico invisibile”. Il corona virus corre veloce, di paese in paese e l’unica soluzione che appare praticabile è il lockdown. Chiudere tutto, per salvare vite ed evitare contagi. Una battaglia contro lo “sconosciuto” che ha visto tutti i paesi tentennare per un po’, brancolare nel buio, viaggiare alla cieca, provando a contrastare il virus impietoso che non ha risparmiato i deboli, i vecchi e neppure i più giovani, come un uragano che passa e porta via con sé tutto ciò che trova sul suo cammino.
Giammarco Sicuro però non racconta solo il covid. Tutt’altro. Accende i riflettori anche sul mestiere del cronista, dell’inviato, del lavoro che c’è dietro un reportage, una diretta, un servizio. Della squadra che supporta il giornalista, in loco. L’operatore video, il montatore, il producer, la guardia del corpo. In ogni paese un team nuovo: Mariano, Joelma, Miriam e gli altri. Personaggi con le loro sfaccettatura, la personalità, i talenti, le storie personali. Sono trame che si intrecciano continuamente.
L’Anno dell’Alpaca è un vivido affresco delle società contemporanee
E poi i loro incontri con i medici, missionari, poliziotti, narcotrafficanti o gente comune. Personaggi a volte straordinariamente autentici, altre ai limiti dell’umanità. L’anno dell’alpaca diventa così un vivido affresco delle società contemporanee, un dettagliato racconto che parte dal singolo per poi spingersi oltre, restituendo la fotografia di un popolo.
Sono gli occhi di Giammarco Sicuro che scrutano quei mondi, la sua esperienza, il suo filtro giornalistico. E’ la sua capacità di toccare le corde dell’emozione e quelle dell’ironia, rendendo armonia alla lettura, con una scrittura dal taglio cinematografico.
Ed ecco che le parole ti portano dentro i contesti, ti prendono per mano e ti accompagnano a conoscere le persone, i paesi, le situazioni. Parole che ti portano anche dentro l’hotel dove il giornalista farà la quarantena in Corea del Sud. 14 giorni di isolamento dove le uniche compagne di viaggio saranno Isabela ed Esmeralda, due peluche. Un lama e un’alpaca che diventeranno due confidenti, due amiche e due meravigliose protagoniste del libro.
Ogni persona può portare valore dentro l’esistenza di un’altra anche con una fugace apparizione
In fondo anche un oggetto può essere un onnipresente compagno di vita, no? Almeno per un tratto di strada. Abbiamo la concezione che le persone importanti nella vita debbano rimanere al tuo fianco per sempre. E invece ogni persona può portare valore dentro l’esistenza di un’altra anche con una fugace apparizione, con una chiacchierata dall’altra parte del mondo con una birra tra le mani, con uno sguardo che racconta una storia.
Sono cammini che si incrociano per un po’, prima di riprendere altre strade. E forse è in quel breve incastro di vita che si tira fuori il meglio dalle persone. Se ne leggono alcuni tratti, si tende a prendere il buono, a non scavare nelle parti marce dell’animo umano. E’ nella nostra natura. Poi ci sono gli incontri con i paesaggi. Le architetture, i luoghi. Le piazze deserte. O la costa bagnata di sole che ristora l’anima proprio nel momento in cui serve. Ci sono gli scatti della macchina fotografica che diventano tracce di memoria.
L’anno dell’alpaca è la bellezza del cammino, frastagliato, come i capitoli del libro che non seguono l’ordine cronologico. Non è il tempo ad avere la meglio sulla narrazione, piuttosto sono le persone, l’intreccio delle loro storie che si amalgamano e diventano un tutt’uno con quella di Giammarco, interprete e narratore curioso di vita. La sua, quella degli altri. Quella di un cane che lo azzanna e il timore di aver contratto la “rabbia”, quella di un reporter (lo stesso Giammarco) additato durante la pandemia come untore italiano in ogni parte del globo o quella delle città che visita, le ipertecnologiche o quelle della povertà estrema. Vita che corre sugli autobus, lungo confini, nelle mense sociali, in comunità dove ancora qualcuno si mette al servizio degli altri.
Quella vita che a volte non ha punti fermi e che conosce solo vette e baratri. Mancano le pianure, i prati soffici, la linearità. Un’esistenza densa di emergenze continue. E allora anche una pandemia, anche lo sfruttamento diventano “sopportabili” o “tollerabili” perché “potrebbe esserci anche di peggio”. Allora meglio galleggiare, per vivere o meglio, per sopravvivere. In alcune parti del mondo sono costretti a pensarla così. E non c’è altro che si possa fare.
Sicuro prova con rispetto e dignità ad accendere una luce sulle vite in ombra
Giammarco Sicuro però prova, con rispetto e dignità, ad accendere una luce su quelle vite in ombra. A raccontarne il bello, il buono o a denunciarne gli abusi, le condizioni di vita precarie. Anche questo è prendersi cura degli altri. Il giornalismo non è in fondo una missione? E’ un dovere verso la società e l’informazione altro non è che un diritto della società stessa.
Quel che ne esce è un ritratto di ciò che dovrebbe essere la professione ed è bene ricordarlo oggi, in un periodo storico che vede i media in una crisi profonda, media che – per ora – ancora non hanno ben definito (o capito) quale sia la nuova direzione da intraprendere.
Giammarco Sicuro ciò che è la professione invece lo sa bene e il suo lavoro quotidiano sugli schermi Rai lo dimostra. Ne è testimonianza anche questo libro, dove emerge un racconto dettagliato della vita del cronista contemporaneo. Zaino in spalla, macchina fotografica, telecamera, cavalletto, smartphone. E uno sguardo mai stanco di vedere e conoscere, una penna calata nel presente, una sensibilità non scontata. La missione di raccontare storie, di aprire porte chiuse e dare spazio e voce a chi non ce l’ha. Ampliando le vedute, uscendo dai confini. Restituendo lo spaccato di un mondo straordinario, a volte folle, altre atroce.
I volti di quel mondo sono raccolti nelle ultime pagine dell’anno dell’alpaca. Decine di fotografie. La festa della Santa Muerte, a Città del Messico, il ritratto della signora Teresa mentre cuce mascherine per una comunità dell’Amazzonia o le Madri del mare, in Corea del Sud. E poi c’è Isabela, in primo piano, con lo sfondo dei paesaggi del Perù. C’è quell’Alpaca dal pelo morbido, cotonato. Forse ad accarezzarlo il mondo sembrerà migliore. Almeno per un po’.
Le immagini chiudono il libro come un album dei ricordi: scatti di vita, sorrisi, volti segnati dal tempo
Le immagini chiudono dunque il libro quasi come un album dei ricordi. Scatti di vita, sorrisi, volti segnati dal tempo. Ci si legge dentro dignità, concentrazione, speranza e la voglia di ripartire, ancora una volta, in un cammino che non ha una fine ma solo brevi fermate, che conosce le ripartenze, gli approdi, altre strade. Il viaggio di Isabela ed Esmeralda ripartirà dal Brasile, dalla tribù dei Mura, ripartirà dentro gli occhi di una bambina. E’ la vita che ti porta sempre dove non te l’aspetti e dove non avresti mai immaginato di arrivare. E che riserva sempre una strada nuova da percorrere, anche per due peluche.