Un proverbio dice che quando si tocca il fondo, allora si può solo risalire. Ma c’è chi invece sul fondo del mare vorrebbe starci il più possibile, perché sembra che la luce blu che si trova negli abissi più profondi abbia il potere di curare l’anima di chi sta soffrendo.
Francesca Morello in arte R.Y.F. a distanza di qualche anno dal suo ultimo lavoro “Everything Burns” torna con un nuovo disco, uscito per Bronson Recordings, in cui alle fiamme si sostituisce l’acqua del mare: “Deep Dark Blue”.
Songwriter, chitarrista di base a Ravenna R.Y.F. riesce a unire nei suoi progetti musicali le sue emozioni interiori e allo stesso tempo l’importanza di parlare dei diritti della comunità Lgbtqia+.
Deep Dark Blue è un disco di sofferenza ma anche di rinascita e guarigione. Dopo un periodo difficile Francesca ha trovato la pace immergendosi nelle acque blu del mare di Stromboli.
Il risultato è musica potente, dance, ma anche introspettiva, perché dolore e gioia sono i due aspetti della vita di ognuno di noi.
Nell’album anche due collaborazione eccellenti, quella con l’artista e attivista statunitense Moor Mother in “BLUE” e con la mitica Skin degli Skunk Anansie in “Can I, Can You”.
R.Y.F. sarà in concerto nello spazio Ex-Fabrica a Prato il 5 luglio, a ingresso gratuito (via Ferdinando Targetti, 10).
Ecco la nostra intervista a Francesca Morello in arte R.Y.F.
“Deep Dark Blue” nonostante contenga molta rabbia è anche un disco “di cura” in un certo senso
Assolutamente sì, è un disco che ho scritto e composto dopo un periodo difficile della vita mia e di mia moglie, inevitabilmente quello che scrivo e che faccio rispecchia quello che vedo e che sento. Quindi c’è stato un momento in cui avevo la capacità e la volontà di far andar via la sofferenza che stavo provando, volevo curarmi e l’ho fatto anche attraverso la mia musica. In qualche modo volevo tirare fuori le sensazioni che provavo ma anche uscirne. Quando capitano eventi così importanti ci si sente “rotti” dentro, hai un sacco di pezzettini da rimettere insieme e non sai se sei sempre tu alla fine, cioè se i pezzi si ricompongono nella stessa maniera, come l’arte giapponese di rimettere insieme i vasi. Può darsi che tu prenda una nuova forma che è una nuova versione di te stessa.
Nel momento in cui sei un’artista per me è inevitabile che tu abbia un impegno politico nei confronti delle persone che ti ascoltano. Non è scontato ma per me è così perché faccio parte di una comunità
Come mai hai scelto il colore blu che può sembrare un colore freddo?
È stato l’incontro con il mare di Stromboli, durante una residenza artistica con mia moglie, è stato un viaggio rigenerante per entrambe in modi diversi. Nel blu di questo mare ho visto un’intensità e un abbraccio enorme e soprattutto il congiungermi con gli abissi. Mentre scrivevo il disco pensavo a questa bolla, questa mega ‘cocoon’ blu che mi abbracciava e che si era insediata dentro di me. Il blu è il colore della tristezza, ma allo stesso tempo è anche molto rincuorante. Il buio, l’oscurità, questa tonalità di blu profondo era l’insieme di quello che sentivo in quel momento. Sono partita da qui quando mi sono messa a scrivere, mi sono chiesta: dove vorrei essere? Vorrei essere in un “Deep Dark Blue” e ho cercato di trasmetterlo agli altri.
Il disco contiene collaborazioni eccellenti, la mitica Moor Mother e Skin nel pezzo “Can I Can You”. Come vi siete conosciute? So che avete condiviso il palco durante il tour degli Skun Anansie la scorsa estate, credo di aver capito che c’è stata una connessione immediata tra di voi
Sì, è stata una cosa strana perché il fatto che io nel 2022 abbia aperto i tre concerti degli Skunk Anansie in Italia è stata una cosa che è successa, non è stata cercata. Skin aveva sentito il mio disco e le era piaciuto molto, mi ha scritto che avrebbe mandato un mio pezzo nel suo programma radio in UK e per me è stato inaspettato. Abbiamo iniziato a interagire e poi mi ha chiamata ad aprire il loro tour estivo. L’anno scorso ci siamo riviste e ho aperto un altro concerto a Roma, quindi diciamo che c’è questa sorta di amicizia e un sacco di rispetto. Io Skin la amo e l’ho sempre adorata, i primi dischi degli Skunk Anansie per me sono stati fondamentali quindi non ci potevo credere. Il rapporto che continuiamo a mantenere ha portato a questa canzone che abbiamo realizzato insieme.
Tra l’altro è anche una delle canzoni più “forti” del disco in cui tutto riporta alla domanda “Posso essere queer senza avere paura?”. Come mai secondo te c’è così paura della diversità soprattutto in Italia?
Sì in Italia abbiamo questo problema, ma non è solo in Italia. La situazione si sta involvendo cioè stiamo tornando indietro. Nel momento in cui sei un’artista per me è inevitabile che tu abbia un impegno politico nei confronti delle persone che ti ascoltano. Non è scontato ma per me è così perché faccio parte di una comunità, sono una persona che può essere discriminata e insieme a me ci sono una valanga di persone che possono essere discriminate. Secondo me al di là della Queerness bisogna portare avanti una serie di discorsi per fare in modo che le cose cambino. Anche Skin è molto impegnata in questo campo, si è sempre battuta per i diritti delle persone Lgbtqia+, spesso e volentieri nelle sue stories ci sono messaggi che riguardano luoghi nel mondo in cui i diritti umani vengono cancellati. Ho pensato che quella fosse la canzone giusta e Skin la persona giusta con cui condividerla. È anche una canzone che parla di amore universale e di essere liber* di essere chi ci pare, sempre, anche per strada.
In “Lies” fai un omaggio alla grandissima Peaches, dato che tu Francesca sei un po’ la “Peaches italiana” volevo chiederti se hai mai pensato a fare una collaborazione con lei
Grazie per me è un grandissimo complimento, sarebbe bellissimo suonare con lei, magari.
Questo è un disco che definirei molto “muscolare” con momenti dance, pieno di energia. Un po’ mi mancano i pezzi più malinconici che hai fatto nei dischi precedenti, tornerà l’anima “Morrisseyana” di R.Y.F.?
C’è sempre, ci sono un paio di pezzi più vecchia R.Y.F. chitarra e voce, sono semplicemente arrangiati in un altro modo come “Violent Hopes” o “December 25th” sono su quell’onda lì, e tra l’altro sono i primi pezzi che ho scritto e poi mi hanno dato il via libera per scrivere tutto il resto. Mi sono trovata leggermente bloccata a un certo punto, avevo tanta roba da processare e da inserire nel mio processo artistico, però era lì anche se non riusciva a trovare una via di fuga, lo sbocco per liberarsi. Si è liberata proprio con “December 25th”, mi sono messa al pianoforte un pomeriggio, ho cominciato a cantare e mi sono persa. A un certo punto mi sono guardata intorno ed era buio, era passata tutta la giornata. Da lì si è srotolato tutto. In questo momento seguo l’istinto e vado in quella direzione. Non so come sarà il prossimo disco, magari faccio un disco doom (ride). Per il momento volevo che questo potesse essere un disco introspettivo che parlasse di cose pesanti, ma senza pesantezza. La mia volontà è sempre quella di stare bene, superare tutto e mettere gioia nel mio lavoro. Tutto quello che vivi ti insegna qualcosa, ma essere serena e felice è il mio obiettivo principale, quindi volevo che ci fosse anche gioia nel disco, perché la vita deve essere così.
Ogni volta che ti ho vista suonare hai sempre avuto una presenza sul palco molto forte, anche con diversi cambi d’abito, come sarà il prossimo tour?
Sì, avrò diversi outfit interscambiabili, a me piace mentre sto cantando liberarmi delle cose che ho addosso. Non vedo l’ora di stare sul palco, anche la questione dei live e dei concerti è in evoluzione piano piano capisco come gestirli, perché quando si portano dei pezzi nuovi c’è sempre una sorta di piccolo scarto, si capisce man mano come essere al meglio. Per me fare concerti è un’esigenza, io cerco di dare sempre il massimo. Farò del mio meglio e voglio essere generosa per me e per il pubblico, perché deve esserci uno scambio, è una cosa necessaria. Non sarei una musicista se non volessi fare più concerti possibili e incontrare più persone possibili.