La proliferazione delle fake news e il loro impatto sui processi democratici è stato il tema al centro di “Democrazia, partecipazione e informazione” che oggi in occasione di Internet Festival ha riunito alla Scuola Sant’Anna di Pisa esperti della comunicazione che si sono addentrati nel mondo sfuggente della disinformazione partendo da un presupposto non così scontato: le bufale nella storia sono sempre esistite, ora hanno solo trovato un megafono più grande con cui diffondersi.
Ad esempio la celebre frase “se non hanno pane che mangino le brioche” attribuita a Maria Antonietta è una fake news, così come anche il Protocollo dei Savi di Sion sul complotto ebraico per dominare il mondo che tanto ha contribuito a disseminare l’odio razziale.
“Le fake news sono sempre esistite nella storia, il problema è il modo in cui funzionano, perché vanno a confermare i nostri bias cognitivi, ovvero i pregiudizi che abbiamo già” spiega l’hacker ed esperto in digital reputation Matteo Flora.
La moltiplicazione delle fake news è dovuta anche ai social bot, ovvero gli account fasulli e automatizzati che diffondono velocemente e a livello capillare le bufale, contribuendo a inquinare il dibattito pubblico anche in occasione di importanti decisioni politiche come ad esempio il referendum sulla Brexit o la campagna elettorale per elezioni statunitensi del 2016.
Al di là delle fake news poi c’è un problema di disinformazione più ampio che colpisce anche i media tradizionali.
“La decontestualizzazione è alla base di molti di questi processi a livello mediatico e politico – sottolinea Carola Frediani – come ad esempio quando vengono hackerate le email di un politico, ne vengono estrapolati alcuni brani e poi manipolati. Solo avendo chiaro il contesto ci si può avvicinare alla verità e quindi sviluppare quel fiuto che ci fa capire quando una notizia è falsa.”
Per combattere questi fenomeni il fact checking, ovvero la verifica puntuale delle fonti da cui arriva una notizia, è essenziale e deve essere compiuto dai media, ma non basta. Serve una cultura digitale più diffusa, un’alfabetizzazione che deve iniziare sin dalle scuole e diffondersi nella società come un anticorpo che metta le persone in grado di comprendere da sole quando un’informazione è stata falsata o manipolata.