In Toscana le botti di castagno erano molto diffuse nelle aziende vinicole. Fino a quando non si sono diffuse sempre di più le barrique in rovere. Il dipartimento DAGRI dell’Università di Firenze ha avviato il progetto ToSca per approfondire le peculiarità e le caratteristiche dei vini fermentati o affinati nei carati di legno di castagno locale e valutare il loro ruolo per conferire identità e territorialità all’enologia toscana.
Il progetto ToSca, finanziato nell’ambito della sottomisura 16.2 del PSR Regione Toscana 2014-2022, è il terzo di una serie di progetti destinati a ricreare in Toscana la filiera bosco-vino. Un modo per recuperare e reinterpretare in chiave moderna un elemento della tradizione enologica toscana: la botte di castagno.
Il legno utilizzato per le botti in Toscana
“Nei due progetti precedenti, il progetto ProVaCi e il progetto ReViVal, ci siamo chiesti inizialmente da dove venisse il legno con il quale in passato si facevano le botti e l’indagine storica e genetica ha confermato che erano i boschi della Toscana, spesso quelli dell’azienda stessa, a dare il legname, prevalentemente castagno, che veniva utilizzato per realizzare i contenitori presenti nelle cantine” spiega Marco Mancini della Fondazione per il Clima e la Sostenibilità.
“Successivamente ci siamo posti l’esigenza di creare un modello di gestione forestale adatto per far ripartire la produzione di legno destinato a utilizzi di valore come quello delle botti. Lo scopo è quello di valorizzare i prodotti del bosco, perché se anche solo una piccola parte delle utilizzazioni forestali potessero essere indirizzate verso questa filiera, l’incremento di valore per il comparto forestale potrebbe essere significativo” aggiunge.
Le botti di castagno e le barrique in rovere
Secondo lo studio che il dipartimento DAGRI sta portando avanti il legno di castagno potrebbe essere reintrodotto nelle cantine quale elemento distintivo dopo essere stato abbandonato con l’introduzione soprattutto delle barrique in rovere. Il progetto ToSca potrebbe quindi offrire un modello enologico nuovo e diverso da quello tradizionale delle botti in castagno del passato.
“Lo scopo -ha spiegato Valentina Canuti del Dipartimento DAGRI dell’Università di Firenze e responsabile scientifica del progetto –è quello di creare le conoscenze e le condizioni perché i produttori possano arrivare a produrre vini riconoscibili nella loro identità e in grado di differenziarsi. Vini riconducibili al territorio e realizzati con la scelta di stile derivante dall’uso del legno del castagno”.
Lo studio si propone di unire “un profilo di identità con un profilo di stile, che sia capace al contempo di valorizzare il modello di Cultural heritage, nel quale un’antica tradizione artigianale viene recuperata e fa da motore per valorizzare le risorse e le filiere locali”.
Le valutazioni enologiche sui carati
Nelle attività previste dal progetto ToSca saranno valutate le prestazioni enologiche dei carati di castagno da 250 e 500 litri sottoposti a tre diversi livelli di tostatura. Carati poi utilizzati nell’affinamento dei vini rossi di Sangiovese, nella fermentazione e nell’affinamento sur lies dei vini da uve bianche: Trebbiano e Vermentino.
Le prove, con l’applicazione dei protocolli sperimentali messi a punto dall’Università, saranno svolte nelle cantine delle aziende partner, Podere Scurtarola di Massa, capofila del progetto, Castello di Verrazzano di Greve in Chianti e Podere 1808 di Pistoia.
Controlli e prime esperienze di affinamento
I controlli permetteranno di valutare il profilo qualitativo dei vini e le loro caratteristiche di stabilità chimico-fisica. Lo scopo è quello di definire dei protocolli che possano dare indicazioni su scelta, gestione e durata ottimale per la vinificazione e la maturazione nel legno di castagno. Tutti i progressi, le attività e i risultati saranno pubblicati sul sito della Federazione delle Strade del Vino e dei Sapori della Toscana, anch’essa partner del progetto.
I produttori partner del progetto, Giovanni Luigi Cappellini, titolare del Castello di Verrazzano e Pier Paolo Lorieri di Podere Scurtarola hanno raccontato le prime esperienze di affinamento rispettivamente di un Sangiovese e un Vermentino toscano nei carati in castagno. Per ottenere un prodotto, ha ricordato Cappellini che possa essere corretto, piacevole e al tempo stesso unico e “diverso da qualsiasi altro vino”.
I caratelli per il Vin Santo e per la birra
Infine, Andrea Triossi ha descritto il progetto di recupero paesaggistico dei vigneti su gradoni del Podere 1808 in provincia di Pistoia, dove il legname dei roveri derivanti dall’esbosco è stato utilizzato per realizzare dei carati in legno locale del volume di 500 litri che saranno utilizzati nell’ambito del progetto.
Ma la proposta di filiera non si ferma alla produzione dei carati per l’affinamento dei vini rossi o la fermentazione e affinamento dei bianchi, in quanto una serie di caratelli più piccoli è già stata realizzata per la produzione del Vin Santo, mentre altri saranno testati nella produzione della birra artigianale.
Lo studio su come classificare il legno
Francesco Maioli del DAGRI dell’Università di Firenze ha poi presentato gli studi più recenti del gruppo di ricerca di Ignacio Nevares e Maria del Alamo Sanza, professori dell’Università di Valladolid, sulle trasformazioni che avvengono nel corso dell’affinamento in barrique.
Le caratteristiche fisiche di permeabilità ai gas proprie del legno fanno della doga il luogo di scambio e di reazione tra l’ossigeno e il vino. Il ricercatore fiorentino ha quindi spiegato in che modo l’OTR (Oxygen Transfer Rate) può essere un indice utile a classificare il legno, comprendere le vie di accesso dell’ossigeno nel vino e produrre botti con permeabilità calibrata. Gli studi sul modello offerto dal legno di rovere possono quindi aprire un nuovo corso anche per i carati in legno di castagno.