Da ormai cinque anni le ecoballe stanno inquinando le acque in profondità del Golfo di Follonica. Per capire meglio l’impatto ambientale che questi ammassi di plastica stanno avendo sul nostro mare abbiamo intervistato Ezio Amato, responsabile dell’area emergenze ambientali in mare di ISPRA – Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale.
Che danni hanno prodotto queste ecoballe al fondale e al mare del Golfo di Follonica?
Il tema era quello che non sapevamo in che condizione fossero queste balle affondate, per questo abbiamo agito d’urgenza. Ipotizzavamo che dopo 5 anni di permanenza sul fondale, quello che teneva insieme le ecoballe poteva essersi disgregato. Dopo i primi recuperi, abbiamo verificato che le ecoballe erano tutte integre e che la frammentazione paventata della plastica in microplastiche è ancora molto lontana dal poter avvenire. Le ecoballe recuperate sono venute su tutte perfettamente integre con tanto di fascetta, scongiurando i nostri timori iniziali.
Siamo di fronte ad un danno di tipo ecologico, causato proprio dalla presenza delle ecoballe sul fondale. Quando su un substrato di tipo fangoso mettiamo un substrato di tipo rigido come una ecoballa, una cassetta di legno o qualunque altro substrato solido, consentiamo a certi organismi di insediarsi e di viverci sopra, cosa che non potrebbe verificarsi su un fondale fatto completamente di sedimenti sciolti, fango, sabbia o di qualunque cosa sia mobile con l’azione delle correnti e delle onde. Su alcune delle ecoballe recuperate abbiamo trovato una intensa colonizzazione da parte di organismi che vivono in stretta aderenza con il fondo. L’ecoballa si è trasformata in un falso fondale rigido che ha prodotto una diversa composizione della fauna ma quali siano in termini economici ed ecosistemici le conseguenze è molto ma molto arduo da dirsi.
Le operazioni di recupero possono nascondere ulteriori rischi?
Nessuno ha mai raccolto ecoballe dai fondali marini, è un qualcosa di mai affrontato prima. Per questo motivo le operazioni di recupero sono portate avanti con la cooperazione di ISPRA, Arpat – Agenzia regionale per la protezione ambientale della Toscana e il Ministero dell’Ambiente. Tutta l’attività si è svolta agli inizi sulla base della pianificazione operata dalla Marina Militare, esperti delle attività subacquee. Ci siamo affiancati, con ISPRA, proprio per fare sì che le tecniche adoperate fossero quanto più sicure possibili dal punto di vista ambientale.
Nel 2015 sono state affondante, secondo le dichiarazioni del comandante, 56 ecoballe, 16 sono state recuperate dai pescatori o ritrovate spiaggiate. Con questa missione sarà possibile recuperare tutte le ecoballe mancanti?
Ne abbiamo recuperate 12 ed individuato la tredicesima. Questa si trova sul fondo ed è difficile da recuperare. Per questo motivo stiamo aspettando l’intervento degli specialisti della nave Anteo, capaci di lavorare a maggiori profondità e per tempi più lunghi. Restano però alcune domande: sono state gettate tutte qui? Quante ne hanno recuperate i pescatori? Quando le hanno recuperate, le hanno consegnate tutte alla Capitaneria di Porto o alcune sono state rigettate in mare? Che fine hanno fatto? Purtroppo non ci sono risposte a queste domande. Una volta recuperata dal fondale, una balla galleggia per un periodo di tempo non determinabile e può essere portata in giro dalle correnti che nel Golfo di Follonica sono particolarmente intense e in superficie.
Il Governo ha dichiarato lo stato di emergenza per sei mesi. È un tempo sufficiente per le operazioni di recupero o con l’arrivo dell’autunno si rischia di andare in contro a dei ritardi per le condizioni avverse del mare?
È chiaro che in questa stagione l’evenienza di condizioni meteomarine che ostacolino le operazioni è molto inferiore rispetto a quello che si aspetta in autunno e ancora di più in inverno. Bisogna fare i conti con le condizioni meteorologiche. I tempi delle operazioni sono e saranno determinati dal meteo e dal sapere dove si trovano le ecoballe che devono ancora essere recuperate. Abbiamo esplorato tutto l’esplorabile e anche di più. Potremmo andare in giro per il Mediterraneo a cercare le ecoballe, potrebbe essere un’attività di interesse ma alla fine il bilancio costi/benefici andrebbe pesantemente dalla parte dei costi e peserebbe sulle spalle dei cittadini.
Nonostante siano passati 5 anni, possiamo dire di essere intervenuti in tempo?
Siamo in tempo perché abbiamo scoperto che le ecoballe non si stanno disfacendo e sono sostanzialmente integre. È tardi rispetto al fatto che non sappiamo realmente quante ecoballe possono essere state intanto ripescate e lasciate disperdersi in mare.
Per recuperare le ecoballe è intervenuto tutto il sistema di protezione civile, da questo evento possono nascere delle soluzioni replicabili per altre emergenze ambientali?
Abbiamo creato un disequilibro e le cose non torneranno come prima
Il sistema nazionale di protezione civile esiste perché mette insieme le risorse di cui dispone il paese per affrontare una emergenza. Il caso delle ecoballe è un esempio di questo perché c’è una collaborazione fattiva e professionale tra tutti i partecipanti: Marina Militare, Dipartimento della Protezione Civile, Arpat, Ispra, Ministero dell’Ambiente, i colleghi che si occupano di comunicazione. Il sistema ha espresso i migliori professionisti a disposizione.
Mi occupo di emergenze ambientali in mare da moltissimi anni e posso dire che non ci sono mai stati due casi identici. Ogni volta affrontiamo scenari simili ma che sono diversi nelle soluzioni che attuiamo. Il recupero delle ecoballe di Follonica è diverso da recuperare 17mila tonnellate di carbone sparse sui fondali della Sardegna come avvenne nel 2000. Il tema è sempre lo stesso, cercare di eliminare la causa di inquinamento pur sapendo che non sarà mai possibile eliminarla completamente. Neanche la scienza, una volta che creiamo un disequilibro, può dire quali saranno le conseguenze a lungo termine.