“Sebbene io sia la prima donna a ricoprire questo incarico, non sarò l’ultima”. È questo il passo del discorso che ha già consacrato Kamala Harris alla storia. La neo eletta vice presidente degli Stati Uniti d’America ha rotto molti tabù nella sua carriera, fino alla casa Bianca. Tabù di razza, lei che ha origini indiane e giamaicane, tabù di genere. Una donna alla guida degli Stati Uniti, altre ci hanno provato, lei ce l’ha fatta.
Sembra quasi assurdo che nel 2020 esistano ancora traguardi da raggiungere per le donne, eppure è così. Ce ne sono, ancora tanti e ogni volta che ciò accade si eleva un grido di vittoria.
Ogni volta sembra un passo avanti per l’intero universo femminile, sognando una società di persone con meriti e demeriti, una società dove gli stipendi sono erogati solo in base alle capacità dimostrate sul campo, non agli abiti indossati. Ogni volta che una donna è la prima in qualcosa, tutte noi altre ne rivendichiamo l’importanza con un moto di orgoglio (ovviamente quando non ci facciamo prendere dal verme dell’invidia diventando la peggior copia di noi stesse. Ma sono casi rari). Ogni volta sentiamo che è un successo di tutte.
È pur vero, tuttavia, che se ogni qualvolta una donna è “la prima” in qualcosa sentiamo il bisogno di un titolone che ne rimarchi la “straordinarietà”, significa che è ancora lunga la strada per una società di diritto.
Il gender gap esiste, non è una parola glamour coniata da qualche intellettuale di Bloomsbury.
Tuttavia non si può negare che qualcosa sta cambiando e quando vediamo Kamala, nel suo abito bianco sul palco di Wilmington pronunciare il suo discorso della vittoria, ci convinciamo un po’ di più che davvero ogni bambina, a prescindere dalle proprie origini e dalle proprie possibilità economiche, possa diventare chiunque essa voglia diventare.
Certo, non dobbiamo per forza puntare alla Casa Bianca, non è questo il punto. E ce lo dimostrano le motivazioni con cui il settimanale D di Repubblica ha selezionato 50 italiane eccellenti per incoronare una di loro “donna dell’anno 2020”.
Si tratta di 50 donne (oggi diventate 20 dopo una prima scrematura) che hanno lasciato un segno in questo 2020, caratterizzato da una pandemia mondiale ma fortunatamente non solo da questo. E questi volti femminili ne sono l’esempio.
Tra le venti donne ancora “in gara” (la votazione resterà aperta fino a lunedì 23 novembre) c’è anche un po’ di Toscana.
Alessia Bonari è un’infermiera di Grosseto, l’abbiamo conosciuta nei mesi più duri dell’emergenza sanitaria quando sul suo profilo Instagram pubblicò una sua foto con il volto rigato dalla mascherina che portava ogni giorno impegnata come tante colleghe sanitarie a combattere il Covid-19.
Francesca Sivieri è la maestra di Prato che nel maggio scorso, sfidando anche qualche parere contrario, ha invitato i suoi alunni della scuola dell’infanzia nei giardini per leggere insieme e lo ha fatto quando nessuno si preoccupava della vita sociale dei più piccoli con le scuole chiuse. Dalla sua iniziativa è nato il movimento Prati nelle storie invitando, che da Prato si è diffuso in tutta Italia con altre maestre che hanno seguito il suo esempio.
Non è toscana, è di Messina, Anna Grassellino ma è a Pisa che si è laureata in Elettronica e da Pisa ha iniziato il suo percorso che l’ha portata negli States a ricevere l’incarico di progettare il computer quantico più potente mai creato.
Nella lista ci sono anche donne più note al grande pubblico come Marta Cartabia, prima donna alla guida della Consulta e Chiara Ferragni, non tanto perché l’influencer più “influente” al mondo, ma per il suo impegno profuso nell’emergenza sanitaria, raccogliendo cifre record per il reparto di terapia intensiva al San Raffaele di Milano. E Poi Elly Schlein, attualmente vice presidente dell’Emilia Romagna, le campionesse di sport invernali Dorothea Wierer , Federica Brignone e Michela Moioli, e la cantante Eloide Di Patrizi.
Alcune delle donne nella lista delle venti sono state “la prima donna” nel proprio settore (Chiara Giamundo, ad esempio, è la prima donna ad essere entrata nel Gos, il Gruppo operativo subacquei, fino ad allora esclusivamente maschile) ma non è per il primato raggiunto che Repubblica è pronta a eleggere una di loro donna dell’anno, non è neppure per quanto sono famose.
È per il loro impegno, per il loro lavoro, per la caparbietà con cui hanno raggiunto i propri obbiettivi, ognuna nel proprio ambito, per la dedizione con cui si sono battute per una causa che ritenevano giusta o per la forza con cui hanno perseguito un’intuizione avuta grazie ad anni di studi e di esperienza sul campo.
Queste venti donne, le altre trenta della prima lista e le altre che non sono nella selezione, sono donne come Kamala, come lei ci danno la speranza che qualcosa stia davvero cambiando, che gli orizzonti si stiano davvero aprendo. Non è una questione di quote rosa. È una questione di competenze e di professionalità. Ognuna di loro può essere un modello per una bambina che crescerà prendendo coscienza che i limiti sono solo dentro di noi.