A Firenze c’è un pittore bizzarro e geniale che ha saputo lasciare la propria impronta, seguendo il suo stile e la propria ricerca, a costo di non essere apprezzato dai suoi contemporanei
Firenze non è solo Michelangelo, Leonardo da Vinci, Brunelleschi, Leon Battista Alberti, Donatello e Verrocchio. A Firenze c’è un pittore bizzarro e geniale che ha saputo lasciare la propria impronta, seguendo il suo stile e la propria ricerca, a costo di non essere apprezzato dai suoi contemporanei. Quell’uomo è Jacopo Carrucci, noto come Pontormo, una delle personalità più affascinanti della storia dell’arte, riscoperta purtroppo solo tardivamente, quando nel XX secolo l’artista catturò l’attenzione dello storico d’arte americano Frederick Mortimer Clap, folgorato dalla bellezza sconvolgente della Cappella Capponi, nella chiesa fiorentina di Santa Felicita. Siamo ad appena dieci passi da Ponte Vecchio, direzione Piazza Pitti ed è qui – nella penombra della piccola chiesa – che Pontormo rivela la sua opera in tutta la sua grandiosa modernità. E’ il 1916 quando Clap racconta come nasce la sua ‘ossessione’ per Pontormo.
‘Quando, nelle prime ore di una mattina di alcuni anni fa, entrai nella chiesa di Santa Felicita, non sapevo di muovere il primo passo in una direzione che da allora ha invece sempre impegnato ogni mio momento libero. Era autunno e pensavo – scrive ancora lo storico americano – che in una giornata così bella mi sarebbe stato possibile vedere una pala d’altare che invano avevo cercato di decifrare nell’oscurità della Cappella Capponi. Non mi ingannavo, infatti. La luce che irradiava dalle finestre più alte della navata cadeva anche su quell’angolo così oscuro e in quel fuggevole splendore vidi veramente per la prima volta la Deposizione di Pontormo. Fu il momento di una rivelazione inattesa. Mentre studiavo il quadro in un lieto stupore mi resi conto non solo della sua bellezza ma anche della cecità con cui avevo accettato il pregiudizio di quelli che considerano Andrea Del Sarto l’ultimo dei grandi artisti fiorentini e che pensano che tutti i suoi contemporanei più giovani fossero nell’insieme solamente dei futili eclettici…’.
Clap nel suo scritto si riferisce sicuramente a Vasari che non apprezzava l’opera del Pontormo, criticando aspramente non solo la sua ‘maniera’ artistica ma anche la vita e il carattere. Si dimostrò estimatore del pittore solo nelle opere giovanili che catturarono anche l’attenzione di Raffaello e Michelangelo. Ma il ‘bambino prodigio’ non seppe convincere nel percorso successivo il Vasari che definì le opere di Pontormo ‘bizzarre, eccessive e smodate’ e criticò anche lo spirito inquieto dell’artista che – secondo Vasari – ‘avrebbe escogitato continuamente qualcosa di nuovo e abbandonato in modo funesto il cammino già intrapreso dei buoni modelli italiani’.
Eppure Pontormo – che tra l’altro fu uno dei pittori più amati dai Medici (sua la lunetta di Vertumno e Pomona nella villa medicea di Poggio a Caiano) – non si curava di gloria e fama.
Era sì malinconico, schivo e irrequieto ma proprio queste sue caratteristiche esercitarono la giusta spinta per farlo avanzare nella ricerca di una cifra stilistica tutta sua, anticonformista e straordinariamente nuova
Era sì malinconico, schivo e irrequieto ma proprio queste sue caratteristiche esercitarono la giusta spinta per farlo avanzare nella ricerca di una cifra stilistica tutta sua, anticonformista e straordinariamente nuova. Era uno spirito moderno e innovatore Pontormo che scappava dei recinti per spingersi oltre, anticipando con la sua indagine quelle che sarebbero state le tendenze del barocco. Sarà per questo che i suoi quadri colpirono nel segno gli artisti e gli storici dell’arte dei primi anni del Novecento a cavallo con il primo conflitto mondiale, mentre dirompevano in Europa le avanguardie artistiche, segnando una linea di confine con ciò che c’era stato prima e proponendo un’espressione artistica e un pensiero totalmente nuovi.
E riscoprire Pontormo in quegli anni fu come portare luce su una penombra che per secoli aveva celato lo spirito provocatore del pittore. La sua ‘Deposizione’ in Santa Felicita (1525-28) rompe totalmente gli schemi con il passato, seppur ritrovando in alcune figure lo studio dell’opera di Michelangelo.
In quest’opera Pontormo sfida se stesso in un’articolazione spaziale complessa, movimentata e commovente nella quale lo spettatore prende parte all’intreccio del dipinto ed alla narrazione della scena della Passione, che ruota intorno ad una sorta di perno vuoto. I colori innaturali con preponderanza di sfumature rosa e azzurre, alternate al verde ed a tonalità di uno sgargiante arancio, sembrano bagnati di una luce magnifica e celestiale. Il Cristo sbalza in primo piano e il gioco di sguardi degli attori della scena è una continua scoperta della pala che racconta una storia e poi, subito dopo altre mille. Manca un punto fermo a fissare la composizione che assomiglia invece ad un moto perpetuo, in divenire continuo.
Le figure allungate e sproporzionate sono il segno della rottura con il passato, con la raffigurazione del vero. Una contrapposizione forte e decisa, quella di Pontormo che taglia la composizione con linee geometriche, le stesse che ritroviamo nelle campiture piatte dei tessuti.
Pontormo in Santa Felicita è la Firenze che non ti aspetti, non è prospettiva rigorosa, né tantomeno ricerca spasmodica di bellezza e perfezione. No, Pontormo ti prende per mano e ti porta dentro alla sua Pala, in quella piccola chiesa nella quale entri timoroso, a passi lenti nel buio intenso
Pontormo in Santa Felicita è la Firenze che non ti aspetti, non è prospettiva rigorosa, né tantomeno ricerca spasmodica di bellezza e perfezione. No, Pontormo ti prende per mano e ti porta dentro alla sua Pala, in quella piccola chiesa nella quale entri timoroso, a passi lenti nel buio intenso che la caratterizza. Poi ecco, la luce improvvisa si accende sulla Cappella Capponi e diventa esperienza strabiliante, stupore che cattura. Jacopo Carrucci in Santa Felicita può diventare davvero ‘ossessione’ per chi ama l’arte, proprio come per quel Frederick Mortimer Clap che scoprì in un viaggio a Firenze un uomo che aveva saputo guardare oltre, non fermandosi alle tendenze imposte dagli altri, un pittore che seppe osare e trovare la sua arte, infrangendo regole e provando a vedere dove gli altri non sapevano guardare.