La Divina Commedia di Dante Alighieri ha fatto all’italiano quello che Michelangelo ha fatto alla storia dell’arte, un vero e proprio terremoto, un evento cardine della storia che ha cambiato per sempre il destino dell’Italia.
In occasione delle celebrazioni dantesche per i 700 anni dalla morte del Sommo Poeta l’Accademia della Crusca, la celebre roccaforte della lingua italiana con sede a Firenze ha dato il via a un’iniziativa che per tutto l’anno proporrà una parola di Dante, “fresca di giornata” attraverso i suoi canali social (Facebook, Twitter, Instagram). Ogni giorno fino al 31 dicembre 2021 saranno raccontati e spiegati locuzioni, motti, latinismi, neologismi creati da Dante, che in gran parte fanno ancora parte del nostro patrimonio linguistico.
Paola Manni accademica della Crusca e professoressa ordinaria di storia della lingua italiana all’Università di Firenze ci parla della rivoluzione dantesca che sta all’origine della lingua italiana che tutti noi parliamo.
Ecco la nostra intervista
Salve professoressa Manni, perché Dante Alighieri viene definito il “padre della lingua italiana”?
Ha questo appellativo perché con la sua opera ha fatto sì che uno dei volgari italiani acquisisse un tale prestigio, spiccasse su tutti gli altri ponendo così il primo pilastro per l’unificazione della lingua nazionale italiana su base fiorentina. Dante con il volgare fiorentino ha scritto un capolavoro, la lingua usata da Dante pur aperta a numerosi influssi è una lingua fiorentina. Dopo che lui ha scritto questa opera il fiorentino è balzato in avanti, si è messo in luce e ha assunto un ruolo egemonico in Italia.
Sì può dire che quando uscì la Divina Commedia diventò immediatamente un “best seller” dell’epoca?
Io l’ho usata spesso questa espressione, sì è un best seller dell’epoca. Oggi è la tiratura di un libro che fa il best seller allora era il numero dei codici. Della Divina Commedia noi abbiamo un numero di codici altissimo, nessun’altra opera medievale anteriormente all’invenzione della stampa ha avuto una diffusione e un successo tale. Noi abbiamo oltre 800 codici fra quelli trecenteschi e quattrocenteschi.
In che modo la Divina Commedia è riuscita a infrangere le barriere sociali?
È un’opera letteraria che però ha avuto un successo che è andato al di là della solita cerchia di intellettuali e letterati che leggono i libri. La Commedia è stata un’opera che ha colpito anche coloro che avevano un’istruzione e una cultura più bassa. L’ha fatto attraverso la sua memorabilità. La Commedia è un’opera che si è anche recitata, si è declamata, imparata a memoria presso un pubblico vasto. Ci sono tanti segni, tante prove di questa capacità della Commedia di raggiungere un pubblico enorme.
Dante ha fatto un grandissimo lavoro creativo sul lessico, potrebbe farci qualche esempio?
Dante ha coniato delle parole nuove, neologismi, però spesso ha agito in modo creativo su parole che già esistevano dandogli un nuovo significato. Per esempio la parola “bolgia” era una parola già esistente, un francesismo che significava “sacca”, “valigia”, i mercanti mettevano i loro oggetti nelle bolge. Dante gli da un significato nuovo, ne fa un elemento della toponomastica e della topografia infernale. Le bolge sono le fosse infernali e quello poi è stato il significato che ha prevalso nell’italiano ed è arrivato fino a noi. Ci sono anche tanti altri casi, il linguaggio dantesco fa tantissimo uso di metafore, usi estensivi. Mi viene in mente un termine della matematica: “tetragono”, che indicava una figura geometrica con quattro angoli. Dante lo usa in senso metaforico “tetragono ai colpi di ventura” vuol dire ben saldo di fronte ai colpi e alle difficoltà della vita, un uso nuovo.
La Divina Commedia è una visione, un viaggio incredibile. Nel Paradiso si trovano elementi che non fanno parte del nostro mondo, quasi impossibili da definire a parole. Eppure Dante ci è riuscito, come ha fatto?
Dante ci è riuscito tendendo al massimo le sue risorse linguistiche. Il tasso di neologismi, significati metaforici si moltiplica nel canti del Paradiso. E si moltiplica anche il tasso dei latinismi. I latinismi sono un altro grande ingrediente della lingua paradisiaca, cioè parole che Dante riprende dalla lingua per eccellenza della cultura: il latino. Tanti dei latinismi che Dante usa nella Commedia erano già in circolazione, però ce ne sono anche tanti altri che Dante introduce per primo nell’italiano. Lui li riprende e li mette nel poema, la concentrazione delle voci latine di prima mano è massima nel Paradiso.
Ancora oggi Dante viene citato in film, canzoni, libri, videogiochi, nel linguaggio comune e persino nei tatuaggi. Come mai la Divina Commedia è così potente dopo secoli?
Per la sua capacità di infrangere le barriere sociali e culturali e questo non solo oggi, è successo anche nei secoli passati. Evidentemente la Commedia ha una forza impressiva che è dovuta al suo contenuto ma anche alla lingua che è capace di rendere il contenuto così particolare ed esaltante. Certamente alla fortuna popolare ha contribuito molto l’Inferno, perché nell’Inferno c’è la carnalità, c’è la vita reale bella e brutta, brutta soprattutto che è sempre stata qualcosa che ha appassionato le masse. Nell’Inferno Dante mette la cronaca nera dell’epoca, anche oggi ci si appassiona a questi argomenti. La carica dirompente dell’Inferno ha dato un contributo decisivo a questa capacità di parlare a tutti.