Dagger Moth è il progetto musicale di Sara Ardizzoni, una specie di one-woman-band, che con chitarra elettrica, voce e elementi elettronici miscela loop, noise e melodia in bilico fra caos e struttura.
Il primo album omonimo esce nell’aprile del 2013 su Psicolabel e vede la collaborazione di Giorgio Canali, Joe Lally (Fugazi), Alfonso Santimone, Luca Bottigliero. Il secondo album “Silk around the marrow” del 2016, è stato registrato e mixato da Franco Naddei e si avvale anche dei contributi di Marc Ribot e Antonio Gramentieri.
Dagger Moth ha suonato ovunque: club, festival, piccoli bar, teatri, musei, giardini, houseconcert, anche come opening act per: Marc Ribot, Shannon Wright, Fennesz, Mike Watt, Peter Hook, Pumajaw, Keziah Jones, Sam Amidon, Marlene Kuntz, Hugo Race, Perturbazione, East Rodeo.
Nel novembre 2021 ha collaborato con la Fire!Orchestra CBA di Mats Gustafsson per residenza e concerti in Italia. Oltre al solo-set Sara suona inoltre come chitarrista con i Massimo Volume (dal 2018) e con Cesare Basile e Caminanti (dal 2016).
Il suo ultimo album, che la cantante ferrarese presenterà per la prima volta in concerto a Firenze venerdì 12 gennaio al Circolo Arci Il Progresso, si intitola “The Sun Is A Violent Place” ed è nato durante i lunghi mesi della pandemia.
Ecco la nostra intervista a Dagger Moth
Ciao Sara! Tu hai sempre fatto tutto da sola all’insegna del ‘do it yourself’ come mai questa scelta?
È un approccio che ho sempre avuto fin da ragazzina quando suonavo in band e non ero da sola, sono sempre stata votata all’autoproduzione. Un po’ perchè ho sempre fatto cose di nicchia, non per un grande pubblico, e chiaramente quando non fai girare molti soldi è difficile trovare delle “sovrastrutture” che si prostrino ai tuoi piedi per darti una mano. Molto spesso si rischia di rimanere incastrati in alcuni meccanismi, diciamo che non è tutto oro quel che luccica. Da subito ho preso questa abitudine di arrangiarmi da sola sia per l’ufficio stampa che per i concerti. Nonostante una notevole fatica questo mi ha consentito dei margini di libertà.
Infatti tu sei sempre stata al di fuori di certe logiche di mercato, questo ti ha consentito maggiore libertà anche in senso creativo?
Quello direi di sì, assolutamente. Grandi fatiche ma ho sempre fatto quello che volevo come volevo.
la cosa che ancora oggi mi lascia stupita è che mai mi sarei immaginata di salire su un palco da sola
Cosa ti ricordi della giovanissima Sara che prendeva la chitarra in mano per la prima volta? So che sei cresciuta in una famiglia di musicisti
Una gran passione, la cosa che ancora oggi mi lascia stupita è che mai mi sarei immaginata di salire su un palco da sola, perchè ho sempre affrontato il palco con un certo timore e disagio. Per anni ho suonato in band e quindi mi sentivo “protetta”. Poi questi progetti si sono arenati più di dieci anni fa e per non fare compromessi con nessuno ho provato a fare da sola. Devo dire che a livello psicologico è stato un grande lavoro ma mi ha dato anche grandi soddisfazioni.
Approposito di palchi quest’estate sei salita su quello ambitissimo del Primavera Sound di Barcellona, cosa ci puoi raccontare di questa esperienza?
Avevo già suonato lì nel 2018 con Cesare Basile, però esserci arrivata questa volta tramite una selezione con il mio progetto è stata una bella soddisfazione e anche una bella prova. Fare tre live in due giorni in un festival enorme con i tempi super contingentati e un’organizzazione ferrea non è stato facile. Se ho superato quello posso fare qualsiasi cosa, diciamo che è stata un’esperienza formativa (ride).
Passando al tuo ultimo disco “The Sun Is A Violent Place”, ho letto che è stato realizzato durante la pandemia, ma prima di tutto volevo chiederti com’è nata la copertina che ti vede emergere come una sirena dalla schiuma del mare…
Più che altro dal cellofan (ride), il fotografo Davide Pedriali è un mio carissimo amico ed è anche regista teatrale, sono anni che collaboriamo incrociando suoni e immagini. Ogni volta che realizzo un lavoro nuovo lo coinvolgo perchè è più visionario di me. Questa volta gli avevo semplicemente dato qualche suggestione relativa ai brani e ai testi ed è stato lui a partorire queste immagini marittime. L’evocazione principale era una sospensione del tempo e dello spazio, sono nate così queste foto sulle nostre spiagge locali dell’Adriatico in una fredda giornata di agosto peraltro.
Per questo disco in particolare, ma anche più in generale, cosa ti ispira a scrivere musica, quando nascono le idee?
Non ho una risposta precisa, soprattutto quando ho del tempo per coltivare alcuni pensieri, bozze e idee che tengo ad accatastare in maniera disordinata. Per l’ultimo disco, come per molti altri musicisti, l’occasione è stata il Covid. C’è stato questo blocco che per me è stato salvifico e mi ha dato l’opportunità di concentrami per mesi su un progetto e sviscerarlo. Sono sempre travolta da corse, ritmi serrati, ma c’è sempre un germoglio che riesce ad uscire.
Quindi sei una di quelle persone che è stata bene durante il Covid?
Oddio dopo un po’ di tempo cominciavo anch’io a traballare in preda al panico. Ma essermi imposta l’idea di concentrarmi in maniera creativa su una serie di cose mi ha svoltato le varie chiusure. Prima l’ho scritto, nel secondo lockdown ho iniziato a registrarlo da sola, in casa, quindi mi ero importa di stare a testa bassa sul lavoro. Chiaramente il tema del disco è la sospensione del tempo, l’incertezza declinata in vari modi, è questo il filo rosso.
A distanza di qualche anno, secondo te il Covid ci ha restituito qualcosa oppure no?
Di sicuro non ci ha resi migliori, questa è una certezza, anzi mi sembrano tempi di una tetraggine non indifferente. Musicalmente di sicuro è arrivata una valanga di dischi da parte di musicisti chiusi in casa che non sapevano cosa fare (ride).