Arriva nelle sale giovedì 21 marzo il nuovo film di Federico Bondi, Dafne, vincitore al festival di Berlino 2019 del Premio Fipresci della critica internazionale, nella sezione Panorama. Il film, prodotto da Vivo Film e sostenuto dal programma Sensi Contemporanei Toscana per il Cinema, è incentrato sulla vita di Dafne, trentacinquenne con la sindrome Down, che abita con i suoi genitori e ha una vita autonoma e realizzata, nel lavoro e nelle amicizie.
Ma l’improvvisa scomparsa della madre, manda in pezzi gli equilibri della famiglia e Dafne si trova davanti al dramma del lutto e contemporaneamente a sostenere il padre, sprofondato nel buio della depressione. E’ infatti Dafne che, con coraggio e determinazione, trova la forza di reagire e scuotere il padre. Un giorno, mentre camminano insieme in un sentiero di montagna, per andare verso il paese natale della madre scomparsa, i due scopriranno molto l’uno dell’altra e un rapporto ancora più profondo.
Federico, nel primo film, Mar Nero, raccontavi del rapporto di amicizia tra un’anziana signora fiorentina e la sua badante romena, in questo film di un rapporto padre-figlia: i sentimenti sempre in primo piano nel tuo cinema?
Parto dal presupposto che se vuoi emozionare devi emozionarti, evidentemente questi sono temi che mi smuovono dentro. Mi emoziono cercando di sviscerare i sentimenti, in un rapporto a due, almeno fino ad oggi per il mio cinema è stato così… non so per i prossimi film se andrò ad aggiungere qualche personaggio (ride).
Il tuo è comunque un cinema che scava nel profondo dell’animo umano..
Nel film Dafne, come in Mar Nero, si gioca su più registri. I miei sono film drammatici che slittano nella commedia: ci sono molti momenti, anche in Dafne, nei quali si ride, come ho verificato al festival di Berlino. Definisco i miei film Dramedy, nei quali realizzo una commistione di dramma e commedia
Dafne è una ragazza Down. Come è affrontata la diversità nel tuo film?
Nel film, a poco a poco, ci si scorda della diversità di Dafne e si seguono le sue vicende così come si farebbe per una protagonista normodotata, della quale si racconta del rapporto con il padre. Dafne ha delle risorse interne tali, date dal lavoro, dalle amicizie, che non ti aspetteresti…
A sorprendere il pubblico che guarda il tuo film è infatti proprio la forza di una ragazza Down di fronte al lutto. Spesso le apparenze ingannano?
In questo caso sicuramente sì. Dafne è infatti forte e conta principalmente su se stessa. La sua energia la trae dal rapporto con l’altro, e da una sincerità, con se stessa e con gli altri, che ti spiazza, nella vita come nel film. Pensa che quando ha saputo del premio a Berlino mi ha detto al telefono: “Federico, abbiamo vinto, ma non sono stata brava solo io, sei stato bravo anche te!”. Ovviamente non si rendeva conto del lavoro di anni che ho portato avanti per fare questo film. Ma la cosa bella, dal suo punto di vista, è che si preoccupava di rassicurarmi che anche il mio talento fosse stato premiato, non solo il suo…
Nel 2009 Mar Nero è stato premiato al 61° Festival di Locarno con il Pardo d’oro alla migliore interprete femminile, a Ilaria Occhini, il Premio della Giuria Ecumenica e il Premio Giuria Giovani; nel 2019 Dafne riceve il premio Fipresci alla Berlinale: bilancio più che positivo di questi ultimi 10 anni?
Sicuramente sì. In questi dieci anni, tra i due film citati, c’è stato anche il documentario, Educazione Affettiva, che mi ha dato molte soddisfazioni, incentrato sulle esperienze educative della scuola elementare Pestalozzi di Firenze; e c’è stato il mio lavoro quotidiano da insegnante. Torno a fare film ogni volta che sento che ho una storia importante da raccontare, come avvenuto per Dafne.