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Da Chianciano alla Apple con Steve Jobs, Marco Landi: “L’AI non potrà mai sostituire la mente umana”

Ha lavorato in tutto il mondo, ma in tasca porta sempre con sé la foto di piazza del Campo. Il super manager ora investe in start-up: “Formare i giovani, sin da piccoli,  all’utilizzo della tecnologia”

Marco Landi

Porta sempre con sé una foto di piazza del Campo di Siena, “perché è la bellezza e la perfezione”, ma soprattutto perché, per un uomo di mondo nato a Chianciano, è soprattutto casa. Parlare di intelligenza artificiale con chi è stato nella rivoluzione Apple (ne è stato presidente) è un bagno di realtà. Ecco Marco Landi, 81 anni, il super manager che nel ’97 ha riportato in Apple Steve Jobs, tanto per capirne il peso. Ha visto la Cupertino che stava per creare gli smartphone e che cambiava le nostre vite. Con lui non parliamo del passato, ma di un presente che è già futuro, perché con la tecnologia il tempo ha un’altra velocità. Landi parla subito chiaro: non chiamiamola intelligenza artificiale, ma sistema esperto. “L’intelligenza appartiene all’uomo”, e questo non può cambiare.

Lo contattiamo in Francia, dove vive e dove ha creato, in Costa Azzurra, una scuola che insegna ai bambini delle medie come rapportarsi con l’intelligenza artificiale (“perché si deve imparare da piccoli”, dice). Il 22 luglio invece sarà a Firenze, all’evento organizzato dalla Regione Toscana dedicato a questa rivoluzione e all’Ai Act, la normativa europea che vuole regolamentare il trasferimento, e quindi la tutela, dei dati sensibili degli utenti.

L’intelligenza artificiale è entrata nel vocabolario comune, ma è una parola che racchiude una rivoluzione in atto e che corre più veloce della burocrazia e delle leggi di tutela della privacy. Lei che ne pensa?

Intanto se ne parla troppo e male, tutto di un colpo è venuta fuori questa IA generativa, che è alla portata di tutti. Fino al 2022 non c’era tutta questa ansia, questa attività frenetica. Si è come scatenato il desiderio di dire “anche io voglio esserci, anche io voglio utilizzarla”. Soprattutto i giovani hanno cominciato a scoprire chat gpt che gli facilita di molto la vita.

Quindi, perché non è il modo giusto di parlarne?

Finché se ne parli va bene, nessuno può impedirlo. Intanto le dico che non è intelligenza, non si potrà mai copiare la mente umana, per tanti motivi. La nostra è frutto di esperienza, è frutto di amore, di intuizione, di relazioni con gli amici e i parenti, mentre averla chiamata “intelligenza artificiale” oggi fa solo paura, Guardi, quando ero un po’ più giovane ed ero presidente nella Texas Instruments, curioso, andavo nei laboratori di Dallas o Houston e cercavo di capire quali erano le novità e non ho mai sentito parlare di “intelligenza artificiale”.

E come la chiamavano?

Sistemi esperti. Che dovrebbe essere il suo vero nome.  Quindi è fuorviante, soprattutto per i giovani, perché ha creato solo ed esclusivamente paura, preoccupazione. Quando a Dortmund, nella famosa conferenza del 1956, il gruppo di professori si riunì e cominciò a parlare di come fare avanzare la ricerca per imitare il cervello  e metterlo in una macchina per creare delle applicazioni, delle attività, che potessero facilitare l’attività umana, è chiaro che era affascinante chiamarla “intelligenza artificiale”. Ma quel fascino si è rivelato completamente minatatorio e crudelmente sbagliato.

Oggi la macchina è ancora talmente stupida, talmente limitata, che per cambiarci è necessario essere veramente stupidi

Lei che è stato al centro della rivoluzione che Apple ha portato nelle vite di tutti noi – è ricordato per aver riportato a Cupertino Steve Jobs – ci può dire che tipo di rivoluzione oggi stiamo vivendo con l’intelligenza artificiale.

Come ogni tecnologia, tutto dipende dall’uomo. Se in una macchina gli daremo sempre più dati – milioni, miliardi di dati, perché così si può fare oggi con i big data – è chiaro che abbiamo uno strumento che ci permette di prendere decisioni con più velocità ed efficienza. Questa intelligenza artificiale, che voglio chiamare sistema esperto, deve essere al servizio dell’uomo. La decisione finale non deve essere della macchina. Questo è il punto fondamentale che bisogna capire.

E se stessimo delegando troppo alla macchina e la tecnologia cambiasse noi, esiste questo rischio?  

Diciamo che la macchina oggi come oggi è ancora talmente stupida, talmente limitata, che per cambiarci è necessario essere veramente stupidi. Noi dobbiamo essere capaci di utilizzare questa macchina, ma non di diventarne schiavi. Altro discorso sono i social network. Allora qui  le dico: stiamo diventando schiavi. I nostri giovani, purtroppo, ne stanno diventando talmente attratti che sono inquinati al punto da generare delle malattie psicologiche.

C’è un gap enorme tra la quantità di tecnologia che è messa sul mercato e l’utilizzo che le imprese ne fanno

È un altro discorso certo, però c’è un trasferimento di dati anche attraverso i social che ha molto a che fare con quella che chiamiamo intelligenza artificiale generativa

Si’. Tra un paio d’anni – ovviamente non siamo velocissimi – entrerà in vigore la normativa europea sull’intelligenza artificiale. Utilizzando i social produciamo una quantità enorme di dati che possono essere utilizzati in una maniera inappropriata. Le aziende mi possono profilare e possono indurmi all’acquisto con un pubblicità targhettizzata. Ma peggio ancora, e qui è il vero pericolo, si possono conoscere le mie opinioni e metterle a disposizione di un gruppo politico che le utilizza per influenzare la mia decisione di voto. Lo scandalo Cambrindge Analytica con l’elezione di Trump è un esempio. La normativa cerca di proteggere questi dati e diversi paesi stanno prendendo come modello quello che la Commissione Europea, con l’Ai Act, ha cominciato a fare.

Quindi affinché l’intelligenza artificiale sia un’opportunità e un vantaggio, qual è la strategia che i paesi devono attuare?

Prima di tutto bisogna creare i talenti che sappiano utilizzare l’intelligenza artificiale perché ad oggi c’è un gap enorme tra la quantità di tecnologia che è messa sul mercato e l’utilizzo che le imprese ne fanno. E il gap non si sta chiudendo, ma si sta allargando. Bisogna che formiamo, sin da piccoli, i ragazzi all’utilizzo della tecnologia e accelerare la formazione dei professionisti. Io ho creato la maison dell’intelligenza artificiale qui in Costa Azzurra. Poi devo dire un’altra cosa: ci sono poche donne in questo settore, soprattutto nel sud dell’Europa e questo è grave. Ho creato l’Istituto Europea dell’intelligenza artificiale anche per sensibilizzare il grande pubblico sul tema.

Bisogna creare centri di ricerca, scuole per i giovani e per le giovani

Ora si occupa molto di giovani talenti, di start-up. Ha investito anche in un’azienda del senese?

Sì, sono  presidente della più bella azienda, QuestIt, l’intelligenza artificiale in Italia. Se fossimo in California, tutti parlerebbero di quello che facciamo.

Lei è di Chianciano, poi le sue scelte di vita lo hanno portato lontano. Cosa ha conservato dello spirito toscano?

Prima di tutto la bellezza, perché ci rende felici e bisogna capirla e preservarla. Io sono stato a Hong Kong, a Londra, a Bruxelles, in Francia, a Dallas, a Cupertino e ho portato sempre con me la fotografia di piazza del Campo: è la perfezione, la bellezza che dobbiamo preservare. È il nostro umanesimo, che ci ha portato i grandi personaggi come Lorenzo de’ Medici. I toscani hanno fatto cose eccezionali.

Un’ultima domanda: come vede la Toscana fra qualche anno?

Una Toscana che se si sveglia e punta sulle nuove tecnologie può cambiare. È una regione ricca di tantissime cose, che tutti ci ammirano e ci invidiano. Però non basta, oggi bisogna creare centri di ricerca, scuole per i giovani e per le giovani. La Toscana dovrebbe diventare un centro di eccellenza del turismo tecnologico. Questa è una sfida, la sfida principale.

 

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