L’imponente macchina del Festival di Sanremo si è messa in moto e tra l’auto-battesimo di Achille Lauro e le gag di Checco Zalone tutti gli occhi sono puntati sul palco per ammirare i look delle conduttrici e ascoltare le canzoni in gara, ognuno di noi ha già le sue preferite.
Dopo solo due giorni già si stanno delineando il possibile o la possibile vincitrice, in testa alla classifica generale della sala stampa ci sono: Elisa, Mahmood e Blanco, La Rappresentante di Lista, Dargen D’Amico, Gianni Morandi, Emma, Ditonellapiaga e Rettore, Massimo Ranieri.
Anche un’istituzione antica come l’Accademia della Crusca guarda con interesse alle canzoni di Sanremo e all’uso che i e le cantanti fanno della lingua italiana.
L’accademico Lorenzo Coveri dal profilo Instagram della Crusca ha scritto “le pagelle” linguistiche che riguardano ovviamente solo i testi e non la musica, vediamo chi sono i migliori e i peggiori.
I bocciati
4 a “Duecentomila ore” di Ana Mena scritta da Rocco Hunt. “Questo brano facile facile che profuma di America Latina e di Cuba Libre, ma per il resto si accontenta di rime, assonanze e allitterazioni tipiche della canzone italiana: sera-andata, attesa-disperata, fredda-giornata, fretta-dimenticata. Un po’ poco a parte il titolo “numerico” e la citazione niente meno che da “I corvi” 1966 (Un ragazzo di strada).”
4 a “Voglio Amarti” di Iva Zanicchi. “Voglio amarti – scrive Coveri – non sembra indimenticabile, tutta giocata com’è sulla ripetizione a inizio verso della frase del titolo: voglio amarti nei pensieri, nelle mani / voglio amarti nell’anima e di più / voglio amarti nelle braccia, nel calore e cosi via. Tradizionalissimi anche altri tic: le rime baciate (brucerei-rifarei-stai, tu-più), le inversioni sintattiche (vita mia), echi di Lucio Battisti (ma se vuoi…se lo vuoi). E addirittura l’ormai impresentabile rima cuore-amore. Comunque sia onore al coraggio di Iva.”
5 a “Tantissimo” de Le vibrazioni. “Il testo (che porta anche la firma di Roberto Casalino) del brano proposto dalla band ha un incipit alto, anzi biblico (c’era un tempo per dare e avere), ma poi si destreggia tra immagini più o meno riuscite (L’amore sotto pelle è un’arma nella mano) e incertezze semantiche, con echi di parlato quotidiano (per salvare quello che comunemente chiamiamo amore) e malapropismi (ma di profilo c’è il tuo seno che mi vuole / dietro quel sogno mai pronunciato, il nome / che sulla pelle poi si confonde/ quando le labbra vogliono poggiarsi altrove). Insomma. C’è da sperare che musica e interpretazione dal vivo possano risultare più convincenti”.
5 a “Miele” di Giusy Ferreri. “Squadra che vince non si tocca. E così Giusy (Giuseppina Gaetana) Ferreri dopo cinque anni, si è assicurata la collaborazione di Takagi & Ketra (i produttori discografici Alessandro Merli e Fabio Clemente) che già l’avevano vista in featuring con tormentoni estivi di successo (Amore e capoeira, 2018). Il brano porta anche le firme dei bravi Achille Petrella e Federica Abbate. Nonostante tutto ciò, il testo non esce dai collaudati binari del canzonettese pop. Le rime anche monosillabiche me-perchè-va-te-no; immagini non proprio inedite (ti ho lasciato nel vento una musica); altre meno scontate ma un po’ faticose (vola via ma poi torna da te/ come un treno preso di domenica, non cercarmi in un altro abbraccio no). Si ricorderà soprattutto che la vita (…) è una lama che sa di miele ( e anche un po’ di Gianna Nannini). Risaputa.”
I promossi
9 a “Ciao Ciao” de La Rappresentante di Lista. “Il loro brano, in apparenza ironico e svagato, in sottotraccia è molto sofisticato, tra citazioni-tributo più e meno riconoscibili (a partire dal titolo identico a quello di un brano di Cristina D’avena del 1984 e a uno di De Gregori del 1985): Modugno (bambina), Zucchero (con le mani), Mina (mi scoppia nel cuore), ancora Modugno (buonanotte, bonne nuit) e altri. E poi, rime e assonanze ironiche (rovina-regina, spavento-vento, fine-vetrine), sberleffi ai luoghi comune della canzonetta (occhi dolci, cuori infranti, mamma mamma) e anche engagé (mentre mangio cioccolata in un locale / mi travolge una vertigine sociale, / mentre leggo uno stupido giornale / in città è scoppiata la guerra mondiale). Per non dire del ritornello “anatomico”: con le mani con le mani con le mani / ciao ciao; ma non solo con le mani, anche con i piedi (…) con la testa (…) con il petto (…) con il cuore (…) con le gambe (…) con il culo (…) coi miei occhi. Che è successo? La fine del mondo dolce disdetta (ossimoro). Sofisticati”.
9 a “O forse sei tu” di Elisa. “Sono passati ben 21 anni da quando Elisa (Toffoli) portò al festival Luce (Tramonti a Nord Est) suo grande successo e inizio di una carriera luminosa. Ora ritorna con un brano scritto con Davide Petrella in un limpido italiano senza tempo che fa tesoro con eleganza dei cliché della canzone classica, dai monosillabi (tu, blu, più, giù) e dalla tronche in fine di verso (città, pubblicità, porterà, felicità) a più difficili rime sdrucciole (ridere, vivere, vertigine, sorridere), con minime variazioni dell’endecasillabo: quella scusa per farti (poi farmi) un po’ ridere – una scusa per farti sorridere – quella stupida voglia di vivere. C’è anche un più colloquiale sarà che tra tutto il casino (parola ormai desemantizzata) sembra primavera. Elegante”.
8 a “Tuo padre, mia madre, Lucia” di Giovanni Truppi. “Il napoletano Giovanni Truppi sembra sia uno dei pochi, se non l’unico, a rappresentare la quota della canzone d’autore. Esordiente a Sanremo nonostante non sia di primo pelo (40), Truppi affronta la gara con una ballata d’amore ben scritta (anche con la complicità di una firma di qualità come quella di Pacifico) con immagini delicate anche se non inedite: amarti è credere che / che quello che sarò sarà con te; ti vedo all’incrocio, mi fermo a guardarti / e aspetto l’attimo in cui / ti girerai e mi sorriderai vedendomi arrivare. Stride un po’ quel lui riferito a momento. Delicato”.
8 a “Ogni volta è così” di Emma. “A dieci anno dal successo sanremese “Non è l’inferno” si ripresenta con una canzone (testo scritto in collaborazione con il prolifico Davide Petrella) di notevole complessità sintattica. (io per appartenere alle tue mani / non ci ho messo niente / e ti credevo quando mi giuravi che / eri pazzo di me), con porzioni di discorso diretto (mamma mi diceva sempre siamo come gli angeli / io ripetevo sempre per favore abbracciami ). Qualche rieccheggiamento forse da Muccino, forse da De Gregori (come sei bella nessuna mai / non c’è niente da dire) e un accoppiamento un po’ scontato (siamo sante o puttane) non altera la costruzione dell’insieme. Complessa”.