All’interno della rassegna “Musica da Abitare” a cura di Music Pool, arriva in concerto al Brillante Nuovo Teatro Lippi giovedì 21 novembre.
Cristiano Godano ha certo bisogno di presentazioni, il frontman dei Marlene Kuntz è un artista poliedrico che in oltre trent’anni di attività ha lasciato il segno nella storia della canzone italiana, con la sua band fondata nel 1989, ha prodotto oltre 130 canzoni.
Nel 2008 ha esordito come scrittore con “I Vivi”, un’opera narrativa di sei racconti. Nel 2019 ha pubblicato “Nuotando nell’aria” ripercorrendo canzone per canzone i primi tre dischi della band e illustrandone i retroscena del processo creativo,
Il suo ultimo libro “Il suono della rabbia”, che raccoglie gli articoli scritti per Rolling Stone, racconta l’arte come impegno, personale e politico: un modo di abitare il mondo senza restare in silenzio, cantandolo con tutta la passione possibile.
Ecco la nostra intervista a Cristiano Godano
Ciao Cristiano, negli ultimi anni parallelamente alla musica hai iniziato un’avventura nella scrittura, pubblicando ben tre libri. È molto diverso scrivere una canzone rispetto a un libro, in cosa si differenziano questi due processi creativi?
Sono due scritture che hanno due esigenze differenti, scrivere il testo di una canzone deve soddisfare due necessità: far suonare bene le parole e anche riuscire a renderle evocative, in grado di suggerire immagini, sensazioni, emozioni. Molto difficilmente la parola poetica e di una canzone può spiegare qualcosa, può solo evocare. Scrivendo articoli si ribalta tutto e cerco di essere il più esaustivo possibile. Quando per esempio scrivo di articoli per Rolling Stone, che sono finiti nel mio ultimo libro, mi allungo tantissimo, mi prendo tutto il tempo che serve.
l’umanità è al bivio credo. C’è un problema pressante che tra poco pagheremo, si chiama riscaldamento climatico. Inoltre c’è un lento progressivo spostamento in territori lontani dalla Democrazia
Il tuo ultimo libro “Il suono della rabbia” è stato da pochissimo premiato anche al Premio Fiesole, come mai hai scelto questo titolo, cosa ti fa arrabbiare?
Il mondo in cui siamo, l’umanità che è al bivio credo. C’è un problema pressante che tra poco pagheremo, si chiama riscaldamento climatico. Inoltre c’è un lento, progressivo spostamento in territori lontani dalla Democrazia e temo che stiamo entrando in un periodo complicato, per non dire brutto, cerchiamo di mantenere un po’ di ottimismo.
Mi hai citato il cambiamento climatico, l’ultimo disco dei Marlene Kuntz del 2022 “Karma Clima” era dedicato proprio a questo argomento, c’è qualcosa di nuovo che bolle in pentola per la band?
Non ancora, quest’anno lo abbiamo dedicato alla dimensione performativa, abbiamo girato l’Italia in lungo e in largo per festeggiare il trentennale di Catartica. Abbiamo fatto una vera e propria festa e le energie da impiegare erano tantissime, quindi abbiamo tralasciato la dimensione creativa.
per me è impensabile non poter salire su un palco, credo sia la più grave condanna che si potrebbe infliggere a un musicista
In effetti siete sempre in tour, non vi fermate mai, mi sembra una dimensione che amate particolarmente, forse perché riuscite ad essere voi stessi al 100%
Per quel che mi riguarda sì, sicuramente, la stragrande maggioranza dei musicisti ha un bisogno radicale del palco. Sul palco andiamo a raccogliere l’affetto della gente, l’energia, possiamo esplodere con la nostra performance. Per me è impensabile non poter salire su un palco, credo sia la più grave condanna che si potrebbe infliggere a un musicista. Infatti sono sempre abbastanza infastidito quando certa gente incattivita dice con insolenza a una band che dovrebbe smettere. Che deve fare un musicista se non suonare su un palco? Se c’è la gente che va vederlo fine, il discorso non sussiste.
Beh mi auguro che voi non smettiate mai di suonare! Prima mi parlavi di Catartica, io quando riascolto quelle canzoni sento un’energia, un’urgenza che faccio fatica a ritrovare nella band di oggi in Italia, anche se c’è tantissima bella musica in giro. A te piace qualcuno del panorama contemporaneo?
Io credo che di musica buona e artisti creativi ce ne siano tantissimi in giro. La maggior parte delle persone e a volte anche me stesso che sono un addetto ai lavori, non sono in grado di intercettarla perché purtroppo in Internet gli algoritmi decidono per noi, questo è triste però è un fatto. C’è anche da dire che mi sembra che ci sia un’intensità diversa nella musica che si fa adesso, sono quindi abbastanza d’accordo con te. Questo accade per milioni di motivi, penso che uno di questi motivi sia connesso al fatto che internet ha modificato tantissime cose, ad esempio ha tolto la remunerazione della musica al 90% dei musicisti del pianeta. Si fa musica motivati da altre cose, sapendo che è gratis. Questo dovrebbe generare rabbia, ma è cambiato il contesto sociale, non sono un sociologo ma prendo atto che manca qualcosa a livello di intensità con cui la musica viene fatta, c’è meno visceralità, meno potenza.
Oggi sono tanti i problemi per chi fa musica, tra cui la difficoltà di trovare banalmente spazi in cui suonare. Cosa si potrebbe fare per cambiare tutto questo? Le istituzioni potrebbero avere un ruolo?
L’assenza di locali purtroppo è connessa con milioni di problemi, intanto molti sono spariti a causa della pandemia di Covid, non sono riusciti a contenere i costi di gestione. La musica suonata dal vivo ormai in questo momento è divisa in due ambiti: ci sono i grandissimi concerti che costano un sacco di soldi sia per chi li porta in giro, sia per il pubblico. Poi ci sono tutti i musicisti non mainstream che sono il 90% dei musicisti del pianeta, che hanno a che fare col fatto che la gente dedica tutti i soldi che ha per due-tre concerti l’anno e non per concerti che magari costano 15 o 20 euro. Ma i problemi sono tanti forse connessi anche con la musica che si ascolta oggi, non c’è più la fascinazione per il rock che è la musica per definizione ‘live’. Quindi non sono sicuro che le amministrazioni possano fare più di tanto se poi il pubblico non c’è.
Cosa ci farai sentire il 21 novembre a Firenze?
In genere ho una trentina di pezzi tra cui scelgo li per lì, in base al feeling che sento con il pubblico che ho davanti. Scelgo tra il repertorio Marlene Kuntz, il mio disco solista, cover. Quello che alla fine emerge è l’intensità di cui parlavamo prima. Per me intensità non vuol dire essere necesariamente rabbiosi e suonare con il volume, per me ha a che fare con la qualità della performance, l’anima con la quale stai facendo le cose, il pathos. Io credo che pathos e anima nella mia musica non siano mai mancati, nelle mie performance solitarie per certi versi questa cosa è al cubo, perché essendo io solo con me stesso, è tutto giocato su questo equilibrio molto delicato che se ce la fa a resistere diventa dirompente.