Sei anni dopo la loro ultima volta in Italia conclusa con la trionfale apertura del concerto di Bruce Springsteen al Circo Massimo di Roma il 16 luglio 2016 i Counting Crows tornano giovedì 6 ottobre al Tuscany Hall di Firenze.
I Couting Crows fondati dal cantante Adam Duritz con i suoi inconfondibili dreadlocks e dal chitarrista David Bryson (già insieme nei The Himalayans) hanno avuto un debutto fulminante nel 1993, anno in cui hanno pubblicato la hit “Mr Jones” presente nell’album d’esordio “August and Everithing After”.
Da allora i Counting Crows non si sono mai fermati pubblicando sette album in studio, incantando gli ascoltatori di tutto il mondo con la loro interpretazione intensa e appassionata di un rock’n’roll senza tempo e vendendo complessivamente più di 20 milioni di dischi in tutto il mondo.
Il tour segue l’uscita di Butter Miracle: Suite One, una suite di quattro pezzi per una durata complessiva di 19 minuti uscita la scorsa estate su etichetta BMG.
L’ultimo full-length dei Counting Crows è Somewhere Under Wonderland, uscito nel 2014, che The Daily Telegraph ha definito la miglior raccolta di canzoni dal loro debutto.
Ecco la nostra intervista a Adam Duritz
Adam stai per partire per un grande tour in Europa. Immagino che tornare a suonare dopo il Covid-19 sia una grande emozione
Siamo appena tornati dal tour in America, siamo stati fuori per circa un paio di mesi, è stato grandioso! Molto stressante perché abbiamo dovuto prestare davvero molta attenzione alle varie misure di sicurezza, abbiamo dovuto mantenere molto rigida la nostra bolla di contatti, non potevamo avere ospiti, ma è stato anche molto molto esaltante tornare a suonare. Non ero mai stato così a lungo senza! Da quando ho iniziato con la mia prima band ho sempre suonato almeno una volta al mese, ma adesso siamo stati fuori dai giochi per due anni, è stato molto strano per me.
Negli anni ‘90 i Counting Crows hanno riscosso un enorme successo, tutti nel mondo cantavano “Mr Jones”. Come hai affrontato l’esperienza del successo a livello planetario?
Semplicemente continuando a fare musica. Non penso che ci siamo soffermati a pensarci così tanto. Sicuramente è stato un po’ strano passare dall’essere completamente sconosciuti all’avere tutti che ti fissano per strada. Mi fece sentire molto a disagio al tempo, ma insomma, si può sopravvivere, si va oltre certe cose. Per me la cosa più importante era semplicemente continuare a fare altra musica, e mi sono concentrato su quello.
Pensi che il mondo dei social network e delle piattaforme come YouTube e Spotify abbia cambiato la musica? Quali sono seconde te le differenze più significative con gli anni ‘90, quando era puro rock’n roll, e c’erano solo i negozi di dischi e le riviste specializzate?
Penso che sia molto meglio ora sotto tanti punti di vista, certo ci sono anche degli svantaggi. Probabilmente era molto più semplice essere una rock star negli anni ‘90 ma era molto più difficile essere un musicista. Intendo, le sale di registrazione costavano una fortuna, era davvero difficile per una band indipendente stampare un disco, la distribuzione era impossibile, incidere le tracce sui cd e spedirli attraverso i camion in tutto il mondo era un’impresa, soprattutto da musicista indipendente, avevi bisogno di avere una casa discografica e la maggior parte fanno schifo.
Oggi puoi creare i tuoi pezzi sul tuo computer a casa, farlo è molto più semplice per chiunque, e puoi anche distribuirli mettendoli su Bandcamp: fa un’enorme differenza per la maggior parte dei musicisti. Ci sono molti più vantaggi per tutti adesso, l’unica cosa che è una vergogna, è davvero una vergogna, è che adesso nessuno paga più per la musica. Quello è un problema, perché, per dire, le gomme nuove hanno il loro prezzo, la televisione ha il suo prezzo, qualunque cosa ha il suo prezzo ma l’arte non vale nulla. Non è colpa di internet, ma la gente se ne è approfittata e quindi nessuno vuole più fare musica, o meglio, pagare più per la musica. In quel senso è dura, ma da tutti gli altri punti di vista è molto meglio.
Qualche giorno fa ho letto un articolo nella stampa italiana che parlava molto del tuo nuovo taglio di capelli e mi sembra piuttosto ridicolo che ci sia sempre bisogno, nella nostra società, di concentrarsi sull’aspetto estetico. Cosa ne pensi?
Sì e no, da un lato sono sbalordito dall’interesse che c’è nei confronti del mio taglio di capelli, dall’altro lato capisco che sono stato una persona molto famosa che portava i dreadlocks e che li ha portati a lungo, quindi posso capire. Penso che le persone che sono davvero interessate alla nostra band si concentrino di più sulla musica, ma posso anche capire il motivo per il quale il pubblico in generale si interessi del mio taglio di capelli, ha senso per me, sarebbe ingenuo, sarebbe falso dire che non capisco. Mi sembra stupido parlare di un taglio di capelli ma capisco perché vogliano parlarne (ride).
La scorsa estate è stato lanciato “Butter Miracle: Suite One”, come è nato questo album? Stai già scrivendo Suite Two?
Negli ultimi cinque anni ho speso molto tempo nella fattoria di un amico che vive nella parte occidentale dell’Inghilterra. Ero lì, più o meno ad agosto del 2019, e passavo spesso molto tempo da solo. Ho iniziato ad avere la voglia di suonare il piano, ed ho affittato una pianola, e dopo un paio di giorno scrissi The Tall Grass, e il giorno dopo cercavo di suonarla di nuovo, pensando a quale dovesse durare la canzone, magari dovevo allungarne la fine. Ho provato diversi accordi, mi sembravano molto buoni e mi sono ritrovato a cantare questo verso “Bobby was a kid from round the town”, suonava davvero bene e per un minuto ho pensato “Oh, mi sa che questa è una canzone molto più lunga”, capito, “mi sa che questa è come Palisades Park, c’è tanto altro movimento qui”, e ho iniziato a lavorarci ma dopo un qualche altro minuto ho capito “Questa non è una canzone più lunga, ma una canzone diversa”.
Mi intrigava, wow! Sembrava fosse parte della stessa canzone, era semplicemente fluita fuori da The Tall Grass, e poi mi sono chiesto: “che succede se scrivo una serie di canzoni che scorrono insieme come se fosse un’unica lunga canzone?”. E questo mi ha dato l’idea di scrivere una Suite di musica come questa, mi sono gasato un sacco a riguardo, ed è stata la prima volta dopo tanto tempo che mi sono sentito eccitato all’idea di scrivere musica. Questa è la storia della nascita della Suite One. Per quanto riguarda la nuova Suite… Ero di nuovo alla fattoria a giugno di quest’anno, non ci tornavo da un anno o due, e ho scritto gran parte della quarta canzone, ci stavo lavorando anche la notte scorsa.
Posso chiederti qualcosa sulla line up del tour? Cosa suonerete quando arriverete in Italia?
Oh, non lo so! Cambiamo la set list ogni sera, perciò non so con cosa inizieremo, ma apriamo molti concerti con Round Here, è una buona apertura!
L’ultimo viaggio in Italia è stato cinque anni fa, quando avete trionfalmente aperto il concerto di Bruce Springesteen a Roma, cosa ricordi di quella esperienza?
Avevo viaggiato un paio di anni prima di quell’evento con il mio manager e il mio tour manager perché volevo parlare con i promoters per capire come espandere le nostre tappe in Europa. Ci siamo seduti con Claudio Trotta, in Italia, e Claudio che aveva una serie di suggerimenti mi disse: “Sai, penso che sarebbe bellissimo se voi poteste aprire il concerto di Springsteen in Italia” e io gli dissi “Claudio, nessuno apre i concerti di Springsteen, non succederà mai”, e lui mi disse: “Penso che sarebbe ottimo per voi, e penso di poter organizzare qualcosa, proverò a farvi aprire un concerto di Springsteen, credetemi”. A me lui piaceva davvero, ma pensai che era solo una cosa molto carina da dire, ma non sarebbe mai successo.
Poi, un anno dopo, mi chiama e dice “Ho la possibilità di farvi aprire il concerto di Springsteen a Roma, al Circo Massimo”, e io ero basito, perché ho seguito Bruce tutta la mia vita e non avevo mai visto nessuno aprire i suoi concerti, e poi eccoci lì. C’era molta più gente a quel concerto che in tutti gli altri che abbiamo fatto in Italia messi insieme. E’ stata un’opportunità straordinaria per noi.
Per me è stato bello vedere un concerto di Springsteen, ma è stato incredibile avere la possibilità di essere lì, in una venue con 2000 anni di storia, uno dei posti più famosi sulla faccia della terra, l’abbiamo visto ricreato in Ben Hur, è il posto dove ha luogo la corsa dei carri e noi siamo andati a suonare proprio lì. Penso che sia stata una delle esperienze più emozionanti della mia vita.
Ho avuto più uscite sulla stampa per questo tour di quanto ne abbia mai avute prima in Italia, non ho mai fatto così tante interviste, al massimo una o due per ognuno dei dischi precedenti, ma ne ho avute più di venti per questo, ovviamente ci ha portato molta fortuna. L’Italia è un posto che amo e dove ho molti amici cari. E’ stato magico aprire il concerto di Springsteen, ha significato tantissimo per noi come band, dobbiamo molto a Claudio Trotta.
Se ami Roma amerai anche Firenze, non so se sei mai stato in Toscana, è un posto magico
Firenze è uno di quei posti dove sono andato quando ero un ragazzo con lo zaino in spalla, quando ero più giovane, è una città bellissima, penso che abbiamo suonato lì solo un paio di volte con la band. E’ una di quelle città in cui penso sia grandioso andare a suonare.
C’è qualcosa che conosci e ami della musica italiana? Morricone forse?
Beh, Puccini, è un ottimo compositore. Lui era un tipo che sapeva davvero scrivere un ritornello, era il Paul McCartney del suo tempo, scriveva della musica che continuiamo a canticchiare ancora oggi, beh, mi sembra davvero brillante! Lui è probabilmente il più grande.
Traduzione dell’intervista di Emanuela D’Antonio