Deposta in mare, davanti a punta Gabbianara, una corona di fiori in ricordo delle 32 vittime della Costa Concordia nel decennale del naufragio. All’Isola del Giglio la cerimonia in mare si è svolta dopo la messa di suffragio celebrata dal vescovo di Grosseto, padre Giovanni Roncari, in una gremita chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano a Giglio Porto, che ospitò alcuni dei naufraghi tratti in salvo, alla presenza di una sezione della banda nazionale dei vigili del fuoco.
La memoria? Un dovere
Molte le persone sbarcate sull’isola per le commemorazioni odierne, in attesa della fiaccolata serale dalla chiesa di Giglio Porto alla lapide commemorativa sul molo di levante. Infine la “tufata” a cui seguirà una preghiera collettiva per le vittime e la benedizione della lapide, proprio nell’ora esatta in cui avvenne la tragedia.
“Fare memoria di questi nostri fratelli e di quell’evento e farlo qui, in chiesa, celebrando l’Eucaristia, non è un’appendice né un compito da dover assolvere. No, al centro di questo momento c’è Cristo Signore, crocifisso, morto e risorto, che ha vinto la morte, ogni morte e che ci ha fatti per una vita che non abbia fine”. È quanto ha detto il vescovo di Grosseto durante la messa in ricordo delle vittime. Hanno concelebrato il parroco don Lido Lodolini, l’allora parroco don Lorenzo Pasquotti ed il gigliese don Carlo Brizzi.
Roncari si è soffermato anche sul tema della speranza, “da non confondere con il desiderio o la probabilità” o addirittura “l’illusione” che è “un equivoco ancor più insidioso”. La speranza, ha aggiunto, “non un anestetico per sopportare la vita, per difendersi dai fallimenti, dai dolori e in definitiva dalla morte”, ma “una persona: Gesù. La sua storia e la sua parola sono il fondamento della nostra speranza. La speranza cristiana – ha detto – non cancella la tragedia, né il dolore che ne è scaturito, ma ci educa a guardare ben oltre il momento presente, per spingere in avanti il nostro cuore“.
La solidarietà
Alla celebrazione erano presenti varie autorità, tra le quali il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e il sindaco di Isola del Giglio Sergio Ortelli. “Essere oggi al Giglio è un dovere” ha scritto su facebook il governatore toscano. “Per la piccola Dayana che aveva solo 5 anni e per le altre 31 vite spezzate. Tutti sull’isola aprirono le porte delle proprie case per aiutare i naufraghi, una straordinaria solidarietà che dette il via a una delle più grandi operazioni di soccorso della storia“ ha aggiunto Giani. “Tutta la Toscana si stringe nel ricordo di quella terribile notte”.
Chi non dimentica
Immancabili, in questo decennale, le tante testimonianze. Come quella di Kevin Rebello, fratello di Russell, il cameriere indiano morto nel naufragio e il cui corpo fu ritrovato solo molti anni dopo, quando la nave stava per essere smantellata al porto di Genova. “Mi ricordo tutto perfettamente” ha detto. “È bello vedere che la nave non è più adagiata su quella scogliera. Significa che tanto è stato fatto. L’importante è ricordare, mio fratello, come tutte le altre vittime di questa immane tragedia. Sono qui anche per rispetto per tutti loro. Essere qui mi fa un effetto incredibile” ha aggiunto. “Dopo dieci anni l’Isola è rimasta sempre la stessa, con le persone sempre più accoglienti”.
Il sopravvissuto
Oggi, al Giglio, c’era anche Luciano Castro. Lui, romano, è uno dei sopravvissuti del disastro della Costa Concordia. “Tornare in questo luogo è un’emozione come allora. Ero a cena al ristorante a poppa, all’altezza del ponte 4, quando ho sentito una vibrazione molto forte, poi un colpo che non era altro che lo strappo provocato dallo scoglio sulla chiglia” ricorda Castro.
[/mark]“Ci fu un blackout ma nessuno ci disse cosa era accaduto. Molti di quelli che erano con me non avevano fatto ancora le esercitazioni in caso di incidente a bordo, cosa che era in programma il giorno successivo” aggiunge[/mark]. “Dopo pochi minuti scoppiò il caos. La mia fortuna fu di trovarmi difronte a una scialuppa, la numero 14, che stava imbarcando le prime persone. Era piena, ma chiesi per favore di farmi salire. Eravamo sul lato sinistro della nave, quello che poi si ribaltò. Se non fossi salito su quella scialuppa chissà cosa mi sarebbe successo”. Un altro ricordo indelebile? “È quando sbarcammo al molo rosso del porto del Giglio. Mi diressi subito alla chiesam che era già piena di naufraghi infreddoliti e alla ricerca di un riparo. Un ragazzo mi dette delle arance e dell’acqua. Un gesto che non dimenticherò mai”.
L’isola che ha “aperto il cuore”
“Quando abbiamo messo piede sull’isola l’impatto è stato scioccante”
“Arrivati sopra al Giglio, la prima immagine dall’elicottero è stata una miriade di luci che risaltavano nel mare nero della notte, erano le barchette del posto che cercavano i passeggeri dispersi in acqua, e poi quel gigante ferito ancora illuminato, appoggiato su un lato. Uno spettacolo surreale che ci ha fatto subito capire la gravità dell’accaduto, anche se ancora non sapevamo cosa ci avrebbe aspettato”. Tra i tanti ricordi c’è quello di Stefano Barbadori, direttore dell’elisoccorso della Asl Toscana sud est, primo medico dell’emergenza-urgenza ad arrivare al Giglio la notte del naufragio insieme all’infermiera Silvia Buonomi.
L’elicottero Pegaso 2 del 118, fece la spola con Grosseto per portare i sanitari e trasferire chi avesse bisogno di cure ospedaliere. A prestare i primissimi soccorsi furono la guardia medica in turno al Giglio, Domitilla Ordini, e il medico di medicina generale che abitava sull’isola, Armando Schiaffino, oltre ai volontari della Misericordia.
“Quando abbiamo messo piede sull’isola l’impatto è stato scioccante” racconta sempre Barbadori. “Centinaia di persone sconvolte e in preda al panico che chiedevano aiuto e cercavano i propri cari. Nella drammaticità del momento, per fortuna le persone con traumi importanti, soprattutto ortopedici, non erano molte in rapporto al numero dei passeggeri”. Piuttosto la difficoltà è stata gestire il momento dal punto di vista emotivo. “Ci ha messo alla prova”.
La dottoressa Ordini ricorda in particolare la prima ora dopo il disastro, quando era ancora sola: “Ho visitato e medicato non so quanti pazienti, erano centinaia. Riscaldavo in continuazione le fisiologiche per somministrarle a tutti quelli che arrivavano in stato di assideramento. Ho fatto tutto quello che ho potuto, tanto da finire i farmaci e i presidi sanitari presenti nell’ambulatorio. Dalle 23 fino alle 8 della mattina successiva sono andata avanti senza sosta insieme agli altri sanitari”.
L’esperienza, aggiunge, “mi ha segnato per sempre, ho impiegato sei mesi prima di scaricare completamente la tensione accumulata e riacquisire un sonno tranquillo, ma oltre l’aspetto di assoluta e indiscutibile tragicità” c’è anche il ricordo di quanti si sono mobilitati. “Tutta l’isola, nessuno escluso, ha aperto il proprio cuore”.