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Come l’età degli alberi influenza la lotta al cambiamento climatico: la ricerca del Cnr e dell’Università di Firenze

Sono stati presi in esami le foreste di pino silvestre, faggio e abete rosso: attraverso un modello tridimensionale che simula la dinamica dei flussi di carbonio, azoto, energia e acqua è stato rilevato come l’età dei popolamenti influisca sul bilancio del carbonio

Faggi – credits: Alessio Collalti, Cnr-Isafom

Il faggio, il pino silvestre e l’abete rosso  – le specie più comuni in Europa – assorbono in maniera diversa Co2 a seconda della loro età. Un’informazione importantissima per le foreste europee e per il loro ripopolamente nell’ottica di una lotta sistematica al cambiamento climatico. Lo affermano due ricerche dell’Istituto per i sistemi agricoli e forestali del Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche di Perugia (Cnr-Isafom), che hanno coinvolto il Laboratorio di Geomatica Forestale dell’Università di Firenze. Le ricerche sono state pubblicate sulle riviste Journal of Environmental Management e Forests.

Adottando un modello tridimensionale che simula la dinamica dei flussi di carbonio, azoto, energia e acqua in foreste con diverse specie di vegetali – per età, diametri degli alberi e classi di altezza -, è stato rilevato come l’età dei popolamenti influisca in maniera fondamentale sul bilancio del carbonio, sulla sua assimilazione e, quindi, sulla produttività bioclimatica dei popolamenti.

“La produttività delle foreste raggiunge il picco nei popolamenti giovani e di mezza età (16-50 anni), indipendentemente dalle condizioni climatiche”, spiega Elia Vangi del Forest Modelling Lab del Cnr-Isafom, primo autore di entrambi i lavori. “In particolare – osserva – le faggete si dimostrano stabili e resilienti con l’aumento di Co2 atmosferica e temperatura mostrando un aumento della biomassa epigea, cioè chiome e tronchi, che invece diminuisce nelle foreste di abete rosso, soprattutto nelle classi di età avanzate. Il pino silvestre mantiene una capacità di stoccaggio della Co2 più stabile rispetto alle altre specie, ma vede una diminuzione dell’incremento annuo di volume”.

“Questi risultati sottolineano la necessità di tenere conto della diversità delle classi di età, mancante nella maggior parte, se non in tutti, i modelli globali di vegetazione”, osserva Gherardo Chirici, coordinatore scientifico del Laboratorio di Geomatica Forestale. Tale diversità va tenuta di conto “per fare valutazioni affidabili e robuste degli impatti del cambiamento climatico sulla stabilità e capacità di resilienza delle foreste future”.

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