Viviamo nell’epoca del consumismo in cui tutto viene comprato, consumato rapidamente e poi gettato via che si tratti di cibo, di vestiti, di tecnologia o anche di giocattoli per bambini. Un mondo molto diverso da quello dei nostri nonni in cui i vestiti venivano rattoppati oppure passati al fratello più piccolo e gli oggetti quando si rompevano si portavano a riparare come le scarpe o anche un semplice ombrello. “Zero Waste” significa evitare il più possibile di generare rifiuti, non è una moda, non è una cosa strana, è sempre più una necessità in un mondo che si trova ad affrontare problemi molto gravi come l’inquinamento o il riscaldamento climatico e c’è chi come l’aretina Claudia Maffei ne ha fatto prima una vocazione, poi addirittura una professione.
Claudia infatti lavora da anni come Education Officer e fa formazione sui temi legati ai diritti umani, alla cittadinanza attiva e allo sviluppo sostenibile ad adulti, adolescenti, docenti, formatori di formatori di ogni nazionalità. Vede il suo lavoro di “coach” ed educatrice soprattutto come un modo per liberare la vita di ognuno di noi dai troppi oggetti inutili di cui spesso ci circondiamo, renderla più semplice e quindi anche più bella. La sua ispirazione in un percorso che è iniziato tanti anni fa è la sua nonna ormai 94enne, una contadina che le ha insegnato il valore delle cose, i suoi gesti adesso si riflettono in Claudia anche a 60 anni di distanza.
Ecco la nostra intervista
Ciao Claudia come nasce la tua passione per lo “zero waste”?
Nasce da un insieme di circostanze che nel 2015 coincidono. Da una parte il fatto che io sono cresciuta con i miei genitori e mia nonna. Lei era una contadina quindi quello che noi oggi chiamiamo “zero waste” era la sua quotidianità. Non ha mai abbandonato l’attenzione fortissima non solo per la coltivazione della verdura, ma anche per conservare, per ingegnarsi a costruire cose da soli e un’incredibile attenzione verso l’ambiente. Fin da piccola non solo sono cresciuta in campagna, ma l’ho sempre vista fare dei gesti che oggi si potrebbero definire ‘civici’, come per esempio raccattare dalla terra i rifiuti che trovava in giro e differenziarli. Questo nonostante sia una donna di 95 anni che ha la quinta elementare. Poi nel 2015 le Nazioni Unite hanno lanciato l’Agenda 2030 con 17 obiettivi per uno sviluppo sostenibile. Io all’epoca avevo iniziato a lavorare in Oxfam Italia come formatrice quindi mi sono trovata a studiare questi obiettivi per lavorare poi con studenti e docenti. Le Nazioni Unite hanno innescato questa forte curiosità in me. Andando in classe a fare formazione su queste tematiche la mia coerenza tra quello che insegnavo e quello che facevo nella mia vita è aumentata esponenzialmente. Il mio pensiero è rivolto alle generazioni future.
Da dove possiamo partire nella nostra vita per raggiungere lo “zero waste” ovvero produrre meno rifiuti, dacci qualche consiglio
Innanzi tutto è importante aprire gli occhi su quello che ci circonda, la difficoltà più grande è questa. Viviamo in un mondo di marketing che ci dà tanti stimoli a comprare, comprare, comprare. Ti faccio un esempio, una delle cose più semplici da fare è guardare l’etichetta dei vestiti, vedere dove sono stati prodotti, e di quali materiali sono fatti. Mi posso chiedere cosa succede quando li lavo, se è una fibra sintetica le microplastiche vanno a finire nello scarico, pensa che tracce di microplastiche recentemente sono state trovate anche nella placenta umana. Oppure in cucina, una cosa fastidiosissima nella nostra vita è proprio la produzione di rifiuti. Costa tantissimo e ci riempie casa di tantissime cose, quali scelte posso fare per vivere in maniera più libera, più serena senza dover buttare tutti i giorni la spazzatura e evitare di avere cattivo odore in casa? Cosa può rendere più bella la mia quotidianità? Se osserviamo la nostra vita possiamo chiederci: è davvero semplificata oppure è resa molto più complessa dal consumismo? Se ci facciamo queste domande forse è arrivato il momento di compiere scelte diverse. Io adesso sono arrivata all’estremo opposto nel senso che io e il mio ragazzo siamo andati a vivere in una casa che abbiamo costruito con criteri di bioedilizia cioè con materiali totalmente naturali e con un sistema di autoefficienza energetica in modo da essere off grid cioè “fuori dalle reti”, staccandoci dalla corrente, dal riscaldamento, dall’acqua. Ci siamo trovati in questa “follia”, lui dice che quando scrivo la lista della spesa io sto scrivendo un manifesto politico.
Sei anche una “zero waste coach”, che tipo di servizi offri a chi vuole abbracciare questa filosofia, questo stile di vita?
Ho creato questo “servizio” perchè mi scrivevano tante persone chiedendomi: come posso fare per fare come te? Persone con esigenze anche molto diverse che magari hanno bisogno di supporto pratico nel poter semplificare la loro quotidianità a vantaggio sia loro sia dell’ambiente in cui vivono. Quindi l’idea è nata da persone che mi scrivevano su Instagram il luogo virtuale dove ho iniziato a condividere la mia passione. Il mio è un supporto pratico a seconda delle esigenze, ovviamente adesso è a distanza. Per esempio ho lavorato per una ragazza che aveva una stanza a Parigi e non riusciva a creare un armadio che avesse pochi capi, quelli che le servivano di base. Non riusciva a capire i suoi bisogni per poi fare delle scelte. Abbiamo creato insieme un guardaroba-capsula in base alle sue abitudini, ai suoi impegni e anche ai suoi valori, e il resto l’ha donato tutto. Mi ha detto che per tornare a casa per Natale ha fatto la valigia in 35 secondi e si è accorta che tutto quello che aveva era tutto quello di cui aveva bisogno. Diciamo che in generale si parte dalle abitudini di spesa e dalle possibilità. Cerco di capire in base alla situazione che azioni consigliare alla persona che mi chiede aiuto. Per esempio ha vicino a casa un mercato o un negozio di prodotti sfusi? Alcuni prodotti si possono continuare a comprare in supermercato perchè non sono nella plastica, altri invece si possono comprare altrove, faccio anche uno studio del territorio.
Qual è il rifiuto che si produce di più, la plastica?
Il concetto di “rifiuto” è molto ampio, puoi guardarlo dal punto di vista del materiale, dal punto di vista di ciclo di vita di un prodotto. Sicuramente la plastica è una grossa piaga perchè viene da fonti non rinnovabili, principalmente petrolio, dopo di che c’è tutto il processo per raffinarla e questo crea gas inquinanti durante la produzione. Poi anche lo smaltimento della plastica nonostante quello che ci fanno credere è molto complesso. Ad oggi ci si attesta su delle percentuali che sono sul 30% ma è una media ottimistica. In più le plastiche vengono incenerite creando altri gas che alterano il clima. La plastica si trova spesso in luoghi in cui noi non ce la immaginiamo come i microgranuli del dentifricio oppure le fibre dei nostri vestiti che generano le microplastiche che vanno in mare e vengono ingerite dai pesci che le scambiano per plancton e addirittura noi le beviamo. Green Peace mesi fa ha fatto uscire un report in cui si dice che noi ogni settimana ingeriamo l’equivalente in plastica del peso di una carta di credito. Quando ho letto delle microplastiche trovate nella placenta delle madri non mi ha stupito. Quindi sì la plastica è una piaga enorme anche perchè la maggior parte dei prodotti ha un packaging fatto di plastica.
Sembra una battaglia contro i mulini a vento, forse anche i governi potrebbero fare di più, al di là di quello che possiamo fare noi individualmente. Tu cosa ne pensi?
Ti dico una delle cose che ripete più spesso anche Luca Mercalli il climatologo e divulgatore che vediamo spesso in televisione: se fosse stato semplice cambiare completamente modelli produttivi ed economici sarebbe già stato fatto. Perché il danno enorme che viene causato da uno stile di vita consumistico di questo tipo è evidente, è sotto gli occhi di tutti. I governi a partire dalla conferenza di Rio de Janeiro del ’92 stanno cercando di trovare dei compromessi, il problema è che sono sempre compromessi debolissimi che non vincolano gli stati. Allora può entrare in gioco un attore che spesso snobbiamo: i comuni. I comuni a volte lavorano bene nella direzione della sensibilizzazione, delle decisioni e delle scelte. Penso per esempio al comune di Sesto Fiorentino che ha impedito la costruzione di una nuova discarica e ha negli anni abituato i cittadini a una raccolta differenziata che è arrivata ad altissimi livelli. Quindi i comuni a differenza di quello che possiamo pensare hanno la possibilità di giocare un ruolo chiave. La mia diciamo “teoria” è che visto che è evidente che ci sono lobby che fanno pressioni sulla gestione dei rifiuti l’individuo con le proprie scelte può fare la differenza e deve farla perchè si rischia di negare una vita dignitosa alle future generazioni. La scienza ci dice che la pandemia che stiamo vivendo è solo una delle prime conseguenze dell’alterazione dell’ambiente.