Cercatori di pace è il tema dell’edizione 2022 del Premio Pieve Saverio Tutino, promosso dall’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano che dal 1984 raccoglie nel piccolo borgo in provincia di Arezzo le memorie di gente comune, oltre 9mila diari di piccole storie attraverso cui si può leggere la grande Storia, del nostro paese e non solo.
Gli otto finalisti di quest’anno sono accumunati dal ripudio della guerra e dalla ricerca degli ideali di pace: il vincitore sarà annunciato domenica 18 settembre nella giornata finale della 38esima edizione del Premio.
L’orrore della guerra
La violenza della trincea è al centro del diario del giovane militare Eugenio Brilli, classe 1892, intellettuale e convinto repubblicano che inizia a scriverlo all’indomani dell’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale. Eugenio parte per il fronte del Carso, persuaso di dover difendere la patria in pericolo, i deboli, gli oppressi di combattere “La guerra giusta”, come si intitolano le sue memorie. Scoprirà invece l’orrore del conflitto in trincea, la paura di non rivedere i propri cari: i suoi ultimi pensieri, la sua disperazione, sono raccolti nelle pagine che scriverà fino al giorno prima di morire, vittima di un bombardamento.
Anche Ado Clocchiatti, nato a Udine nel 1883, si trova suo malgrado a dover combattere nella Grande Guerra. Inizia a scrivere la sua memoria “Addio patria matrigna” poco prima della chiamata alle armi per difendere quella “maledetta patria” che lo ha costretto, a soli 10 anni, a una vita di migrazioni, povertà, lavori durissimi in condizioni al limite della sopravvivenza, e ora gli sta chiedendo di combattere il “nemico”, dal quale ha dovuto elemosinare il lavoro per sopravvivere. Ado infatti aveva lavorato in Baviera, Austria e Slovenia. Arruolato il 27 luglio 1916, muore di febbre spagnola a Legnano il 7 ottobre 1918.
Storie di donne del secolo scorso
La Seconda Guerra Mondiale e le lotte politiche degli anni Settanta emergono invece nel diario di Enrica De Palma, che ha lavorato come Ispettore generale dell’Archivio di Stato di Roma e a 80 anni scrive la sua autobiografia per lasciare ai nipoti “Le cose che non ci sono più”. Nata a Bari nel 1928, Enrica vive la Seconda Guerra Mondiale a Torino e poi a Firenze, dove frequenta il liceo con Oriana Fallaci, assiste alla Liberazione della città, si laurea con Gaetano Salvemini. A Napoli studia Storia moderna con Frédéric Chabod, frequenta Renzo De Felice e Piero Melograni, si sposa con un brillante avvocato e poi si sposta a Roma. Le pagine sugli anni romani consegnano un affresco della società dell’epoca attraverso il racconto dei pregiudizi nei confronti di una donna determinata e affermata nel suo lavoro.
La quotidianità della Firenze del tempo di guerra è raccontata invece ne “L’età raggiunta” di Egizia Migliosi, che inizia il suo diario il 27 luglio 1943, quando compie 18 anni. Lo scriverà fino al 1947, annotando le gioie e i dolori di una ragazza del XX secolo: gli errori giovanili commessi, i primi amori, la voglia di conquista così contrastante con la moralità dell’epoca.
È l’avversità della malattia quella narrata da Anna Mazzoli ne “La voce del dolore”, il diario che tiene dal 2002 al 2004 in cui racconta le sue sofferenze, il dolore e l’ansia ma anche la speranza di recuperare la luce, come poi è stato.
Memorie dal mondo al Premio Pieve
“Hola preciosa, ciao piccolo” è l’epistolario tra due giovani di 22 e 24 anni, Luisa Pistollato e Ramiro De La LLana, che si conoscono durante una vacanza-studio in Serbia nel 1976. Sono due studenti di medicina, diventeranno lei neurologa, lui cardiochirurgo: la loro relazione durerà fino al 1979 quando si esaurisce: su un filo che collega la Madrid di Ramiro alle diverse città e cittadine del Veneto in cui Luisa ha vissuto, il loro affettuoso rapporto via lettera vive e si alimenta tutt’ora.
È il racconto di un viaggio on the road “Alexander ’69”, intrapreso da otto amici che appunto nel 1969 partono alla scoperta di luoghi archeologici unici al mondo. A bordo della Guersa e della Matta – una Fiat 1400 cabriolet e una Alfa Romeo AR 51- vanno a Zagabria, Sofia, Istanbul, Smirne, Beirut, Ankara e Palmira. Le note di viaggio sono affidate alla penna del Bobaccia che giorno per giorno riporta descrizioni, aneddoti, impressioni, con spirito goliardico: il suo diario diventa lo specchio delle condizioni socio economiche di quei territori a due anni dalla guerra dei Sei giorni.
Infine in “La forza di andare avanti” Vincenzo Iacieri, nato in un piccolo paese in provincia di Campobasso nel 1929, racconta le avventure di una vita. Prima i viaggi, quando giovanissimo arriva in Francia da clandestino, poi da lì raggiunge Rio de Janeiro, il Messico, New York. Stringe facilmente amicizie, impara presto qualsiasi lavoro ed è determinato “a farsi una posizione”. Lavora anche sulla Andrea Doria, studia per diventare disegnatore tecnico meccanico, si sposa, crea la sua azienda industriale metalmeccanica, finisce per scontrarsi con i sindacati, le banche, la politica. Senza uso di punteggiatura, con lucidità e un coraggio sfacciato, Vincenzo si racconta in un flusso di coscienza che fa riflettere sui diritti delle classi meno agiate, sulla capacità di non arrendersi alle avversità.