Non finiremo mai d’imparare, e forse è per questo che esistono certi promemoria. Si è soliti dire che la storia è ciclica e che si ripete in una sorta di loop infinito che passa dal male al bene, dal disordine all’ordine, dalla rovina alla grandezza. Viaggi di andata e di ritorno, non proprio uguali ma quasi, ognuno dei quali trova collocazione nel proprio tempo. Ecco, nonostante una certa ineluttabilità storica, oggi sappiamo bene che ci sono pagine che vorremmo non ritornassero mai più. Come l’olocausto, ad esempio.
È anche per questa ragione che continuano a esistere esperienze come quelle pensate e promosse dalla sezione fiorentina dell’Unione nazionale veterani dello sport (Unvs), che porta il nome di Oreste Gelli, ovvero un “pioniere” del calcio che contribuì concretamente alla rinascita delle attività sportive nella Firenze post bellica. Ebbene, da anni l’associazione gira l’Italia con una mostra nata proprio con l’obiettivo di non dimenticare. Anzi, lo scopo è proprio quello di far ricordare.
La mostra
Il titolo del progetto, “Campioni nella memoria”, è già un preludio alla ricchezza del patrimonio esposto, qua sintetizzato e rappresentato in 48 pannelli, ognuno dei quali contiene altrettante storie e immagini di atleti deportati. Alcuni sono morti nei campi di sterminio, altri sono sopravvissuti, diventando così testimoni viventi dell’orrore del nazifascismo.
Ora la mostra torna a essere visitabile a Firenze, nello spazio espositivo Carlo Azeglio Ciampi del palazzo Pegaso, in via dè Pucci 16. Resterà aperta dal 25 al 31 gennaio, abbracciando virtualmente il Giorno internazionale della memoria che come ogni anno si celebra il 27. Stavolta hanno collaborato all’organizzazione sia la presidenza del Consiglio regionale della Toscana sia il Coni, che ha concesso il proprio patrocinio.
Carlo Castellani
Tra le storie che emergono dal percorso espositivo ci sono anche quelle di Carlo Castellani e Arpad Weisz, i due sportivi forse più conosciuti. Entrambi sono legati al mondo del calcio. I toscani – ma non solo loro – associano il nome di Castellani allo stadio di Empoli, ma non tutti sanno chi sia stato davvero. Nato nel 1909 a Fibbiana, nel comune di Montelupo Fiorentino, ha giocato sia nel Livorno (negli anni della serie A) sia nell’Empoli. Qua non solo è rimasto per nove stagioni, ma con 61 reti in 145 presenze è stato a lungo il miglior marcatore della storia della società. Un record infranto solo negli anni recenti da Maccarone e Tavano. Il giorno in cui i fascisti bussarono alla sua porta, cercavano suo padre. Lui si offrì al suo posto e fu arrestato e deportato a Mauthausen. Morì nel campo di concentramento di Gusen, dove fu trasferito, il 14 agosto 1944.
Arpad Weisz
Arpad Weisz era invece ungherese, proprio come Erno Egri Erbstein, che riuscì a scampare ai campi di concentramento e morì nella strage di Superga col Grande Torino dopo aver portato la Lucchese in serie A (facendole ottenere uno storico ottavo posto, ma più raggiunto). Entrambi hanno incarnato per la prima volta i principi dell’allenatore moderno. Mentre Weisz fu il primo a sperimentare i ritiri, Erbstein fu il primo a introdurre piani regolari di allenamento. Le loro vicende sono state raccontate anche dallo storyteller Federico Buffa, la cui narrazione emotiva è ormai ben riconoscibile. In particolare quella di Weisz, che dopo aver vinto due campionati consecutivi col Bologna fu costretto a lasciare l’Italia dopo la promulgazione delle leggi razziali. Insieme alla moglie e ai figli su deportato ad Auschwitz, dove morì il 31 gennaio 1944.
Renato Cattaneo
A essere sopravvissuto è invece Renato Cattaneo, che oggi ha la bellezza di 98 anni. Il suo nome è forse meno noto degli altri, ma la sua storia, strettamente legata alla Toscana, è ugualmente commovente. Lombardo, nasce in provincia di Como nel 1923, esattamente a Rovellasca, un piccolo comune di origine romana. La famiglia esprime consenso al fascismo. Lui studia, diventa un meccanico e inizia a giocare a calcio. Ma la guerra e un certo spirito di rivalsa verso i genitori porta la sua vita a un bivio. Di fronte al possibile arruolamento in aviazione, Cattaneo fugge e trova rifugio in un gruppo di partigiani. Viene arrestato e condannato ai lavori forzati, ma riesce di nuovo a scappare. Dopo aver raggiunto l’Isola d’Elba si consegna agli americani. È salvo, la guerra finisce e la sua vita riprende. Dove? Sul campo di calcio. Gioca nel Como, nella Cremonese, nel Vincenza e nella Lucchese, dove in due stagioni di serie A segnerà 15 reti collezionando 67 presenze. Il 16 dicembre del prossimo anno compirà 100 anni.
Un patrimonio di 2.700 storie
Queste e altre storie di atleti atleti deportati nei campi di concentramento, oltre che in mostra, son consultabili da chiunque anche sul sito Campioni nella memoria. “Questa esposizione si riferisce a fatti storici, ma se oggi assume ancora più rilevanza è perché purtroppo, a circa ottant’anni di distanza, nel mondo assistiamo ancora a barbarie di questo genere”. A parlare è Ugo Ercoli. Lui, stella d’oro al merito dello sport e pioniere nella disciplina del tiro con l’arco, oltre a essere uno scrittore è anche presidente della sezione fiorentina Unvs. “Abbiamo portato questa mostra nelle scuole di tutta Italia, dove abbiamo incontrato migliaia di ragazzi” ci racconta Ercoli. “A tutti cerchiamo di spiegare che lo sport è un’attività sociale, e come tale deve ispirarsi a valori assoluti e a principi etici inalienabili”.
“Un patrimonio unico e una ricerca senza precedenti, né in Italia né all’estero”
Ma l’attività di educazione e ricerca dell’Unione nazionale veterani dello sport non si ferma qua. Paolo Allegretti, past president della sezione Oreste Gelli e referente per le attività culturali e storiche, ci anticipa che il percorso va avanti. [/mark]Sono state infatti individuate e raccolte più di 2.700 storie di atleti italiani e internazionali vittime delle barbarie durante la seconda guerra mondiale[/mark]. “Non più solo deportati, ma anche esuli, civili, partigiani, oppositori, discriminati, militari, prigionieri…” spiega Allegretti. La lista degli status è lunghissima. “Un lavoro di ricerca di questo tipo non ha precedenti. Né in Italia né all’estero” assicura Allegretti, che già pensa alla nuova mostra di storie di atleti toscani che attingerebbe proprio da questo corposo data base. “Il titolo? Oltre la vittoria”.
Da Mario Andretti al “Monument men”
Un patrimonio immenso che per prendere forma ed essere condiviso ha solo bisogno di qualche sostegno economico. “Ma il tema è troppo delicato e importante. Per questa ragione abbiamo rifiutato sponsorizzazioni private. Non vorremmo abbinare a queste storie un qualsiasi marchio commerciale” ci confessa Allegretti prima di elencare alcune delle storie contenute in questa nuova, straordinaria e immensa raccolta.
A cominciare da Mario Andretti, che prima di diventare pilota di Formula 1 guidando Lotus, Alfa Romeo e Ferrari, fu un esule. Dalla Jugoslavia la famiglia trovò rifugio in un campo profughi a Lucca, dove Andretti lavorò come meccanico e dove assistette per la prima volta, giovanissimo, al passaggio della Mille miglia. Un preludio al mondiale che vincerà nel 1978.
In questo nuovo elenco ci sono anche il poeta livornese Giorgio Caproni (che fu partigiano e che partecipò alle Olimpiadi dell’arte), l’alpinista e antropologo Fosco Maraini (discriminato e imprigionato in Giappone, dove insegnava) e un certo Salvatore Scarpitta. Ai più, il suo nome non suonerà certo familiare. Eppure, a suo modo, lo è. Nato da padre siciliano e madre polacca, Scarpitta fu uno dei “Monument men” che operò anche a Firenze per recuperare le opere d’arte trafugate dai nazisti. Ma questo italoamericano ha un altro merito involontario: quello di aver ispirato Italo Calvino per la scrittura del Barone rampante. Il giovane Scarpitta, per fuggire agli ordini del padre, salì su un albero, dove rimase per ben seicento ore. Aveva 11 anni. Quella storia, assai più complessa di così, fu raccontata da un vicino di casa che, guarda caso, era giornalista di mestiere. Quel racconto arrivò poi all’attenzione di Calvino. Il resto è storia. Anzi, letteratura.
E a proposito di lettere (e letteratura), ecco che Paolo Allegretti, prima di congedarci, ci parla del suo carteggio personale con Liliana Segre e di quella volta che, un po’ scorato, dopo aver condiviso le sue perplessità si vide rispondere così: “L’importante è seminare, qualcosa germoglierà”.