Le restrizioni per il Coronavirus hanno colpito anche la filiera di produzione e distrubuzione dei brigidini, il dolce tipico di Lamporecchio che adesso rischia di scomparire.
I fabbricanti e i venditori ambulanti della cialda dolce, che tipicamente viene venduta e consumata nelle feste di piazza, i mercati, le fiere popolari e le sagre della Toscana, per protesta hanno consegnato le chiavi dei loro furgoni e dei loro laboratori al sindaco di Lamporecchio, il paese noto per essere la capitale di questo dolciume.
Questi commercianti saranno gli ultimi a tornare in “pista” e, con ogni probabilità, si troveranno davanti un contesto completamente cambiato dalle abitudini delle persone. Oggi le aziende (tra produttori, distributori e commercianti) sono un centinaio e, compreso l’indotto, sono 350 le famiglie il cui reddito dipende dal brigidino.
“Purtroppo si tratta di un settore molto specifico – sottolinea il sindaco di Lamporecchio Alessio Torrigiani – che si sviluppa soprattutto attorno gli appuntamenti fieristici e che, per avere successo, ha bisogno proprio di quegli assembramenti oggi vietati dalla legge. Per questo ho chiesto ai brigidinai di elaborare un documento con alcune proposte da portare assieme in Regione: cominciamo a pensare a come tornare a lavorare in un quadro di mutate condizioni sociali”.
Il brigidino è infatti il prodotto tipico di Lamporecchio, e attorno a questo gira buona parte dell’economia locale addirittura fin dall’Ottocento, quando i brigidinai percorrevano chilometri e chilometri per portare i loro prodotti nelle fiere e nei mercati di mezza Toscana. Secondo la tradizione il brigidino è stato inventato per errore dalle monache del convento di Santa Brigida (da cui deriva il suo nome), che nella preparazione delle ostie aggiunsero anche uova, zucchero e anice dando così vita alla cialda sottile che consumiamo ancora oggi.