C’è un’identità della Versilia che affonda nella storia e nel lavoro. Dobbiamo andare sulle spiagge disegnate da lunghe file di ombrelloni, pattini di salvataggio, tavoli da ping pong, bandiere che sventolano mosse dal Libeccio per respirare la vita dentro gli iconici stabilimenti balneari, che tengono gelosamente stretti a sé i ricordi di milioni di viaggiatori e famiglie, in quelle distese di sabbia setosa che si lanciano verso il mare.
C’è chi – come Alessandro Montaresi, balneare di Lido di Camaiore – sa bene cosa significhi quell’identità, quella storia, quel legame con i suoi ospiti, quelli che scelgono il “suo” Oceano da oltre 50 anni e che ormai sono amici, oppure i clienti nuovi che ancora non conoscono quanta memoria di vita c’è dentro quel luogo.
Il giardino curato con dedizione custodisce frammenti del tempo che fu. Alessandro si commuove mentre ripensa. “Il giorno che è venuto a mancare mio padre ero a pitturare quella scaletta laggiù. E poi la mia mamma che ogni tanto usciva dalla porta con in mano un piatto per i bagnanti, in segno di ospitalità”. Ed è qui che la malinconia si apre in un sorriso, come un raggio di sole che taglia d’improvviso nuvole nere.
Alessandro Montaresi ripercorre la sua infanzia all’Oceano, ci tiene a raccontare tutto per filo e per segno in quella che potrebbe essere la sua ultima estate da balneare visto che le spiagge – in Versilia come nel resto d’Italia – sono destinate ad andare tutte all’asta.
A quei tempi i bagni venivano presi non tanto come attività aziendale ma per soggiornarci
“Questo stabilimento nasce negli anni Cinquanta con la mia carissima nonna Lina – spiega Alessandro seduto vicino a me nei tavolini sormontati da un tetto a pagoda che tiene a disposizione dei clienti. Ha scelto di non aprire il bar e neppure il ristorante. Racconta. “Mia nonna prese questo bagno qui per divagare dal lavoro pesante che faceva con suo marito al mercato ortofrutticolo. A quei tempi i bagni venivano presi non tanto come attività aziendale ma per “soggiornare”. C’erano una casetta minimale e 7-8 cabine. Così lei passava l’estate qua con i suoi clienti, magari faceva anche il sughetto all’arselle, ci chiacchierava, teneva i contatti d’inverno. Era un’amicizia quasi viscerale. Ancora vengono qui i nipoti di quei bagnanti”.
Il bagno è una grande famiglia, l’aspetto sociale è fortissimo
Maglietta rossa da bagnino, la pelle abbronzata di chi del mare vive tutto, voce sincera. Alessandro non si ferma. “Il bagno è una grande famiglia, l’aspetto sociale è fortissimo”. Poi prende in mano il cellulare, apre il messaggio di un cliente. Mi chiede di leggere: “Se penso che il prossimo anno non ci sarete più mi viene da piangere”.
Si commuove anche Alessandro che però non demorde e punta dritto a contestualizzare il momento, la situazione. Non ci sta che venga fatta di tutta l’erba un fascio. “Noi siamo la tipicità”, dice. “Siamo come le storiche cantine del vino, l’artigianato. L’identità di questo posto è fatta anche dal nostro lavoro. Sa una cosa? Ho sempre creduto che sarei morto tra gli ombrelloni”.
Ed ecco la versione romantica della faccenda che Alessandro Montaresi mette davanti con parole chiare e una semplicità che sbaraglia. Lui che ama scrivere, definisce con la poesia anche la fine del lavoro del bagnino, al calar della sera. Torna indietro con la memoria, in quella linea d’orizzonte che unisce l’ieri a oggi.
Al tramonto tutto è allineato, gli ombrelloni sono birilli e la spiaggia è come un biliardo
“Al tramonto, quando si staccia ci si mette al cima delle cabine e si guarda se è tutto allineato. Gli ombrelloni sono birilli e la spiaggia è come biliardo, pettinata. Con i riflessi del sole si vede se si è andati dritti o meno con il rastrello. La mattina e la sera sono i momenti più belli. Quando i bagnanti vengono qui la mattina c’è una pace meravigliosa e la sera invece c’è quell’arietta, il Maestrale sulla pelle, si sta da dio”.
Alessandro riprende fiato, il magone evidente stoppa per un attimo la voce. “Questo bagno è la mia casa, la mia storia, la famiglia. Ho dato mandato, un domani, di essere bruciato e anche se non si può, di nascosto, voglio tornare al mare. Per me questo è l’Oceano”.