Tornabuoni Arte ospita nella sua sede di Firenze “Avanguardie al Femminile” una mostra unica che riunisce tre delle più importanti protagoniste dell’arte italiana del dopoguerra: Carla Accardi (1924-2014), Marina Apollonio (1940) e Dadamaino (1934-2004).
Con oltre 40 opere, che abbracciano la seconda metà del XX secolo, la galleria vuole rendere omaggio al fondamentale e personale contributo che ognuna di queste artiste ha dato all’evoluzione dell’arte astratta.
Il percorso espositivo inizia al piano terra dove sono esposti i lavori di Carla Accardi, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita.
Si apre con Assedio Rosso n.3 (1956) dell’Accardi, una tela di oltre un metro e mezzo di lunghezza, in cui è racchiuso tutto il suo linguaggio fatto di segni, simboli e colore. Il dipinto richiama alcuni degli ideali del gruppo romano Forma 1 che enfatizzava l’importanza dell’astrazione e rifiutava ogni forma di realismo e rappresentazione figurativa.
Del periodo successivo è presente un monumentale quadro del 1967, lungo quasi quattro metri, su sicofoil, un materiale plastico trasparente, che sostituisce il tradizionale supporto della tela e caratterizza il quadro stesso come un diaframma luminoso, un esempio iconico di una delle serie più note dell’Accardi. È dedicato alla critica d’arte Carla Lonzi, alla quale la pittrice fu legata da uno straordinario sodalizio durato circa un decennio, e con cui fondò Rivolta Femminile, all’inizio degli anni Settanta, uno dei primi movimenti femministi in Italia.
Dell’Accardi in mostra c’è anche Arancio verde del 1972-76, dove c’è un ritorno ad una pittura più tradizionale, una pittura su stoffa, di grandi dimensioni, di forte impatto cromatico.
Sempre su tela sono le opere che dagli anni Ottanta arrivano al Duemila, scelte per questa occasione, dove la sua sperimentazione è sempre più indirizzata verso il colore, fatta eccezione per Bianco nero, del 2004, memoria di un’astrazione ridotta nei segni e nella tavolozza più vicino all’Informale degli anni ’50.
Dadamaino, pseudonimo di Edoarda Emilia Maino, più giovane di un decennio, mentre l’Accardi operava a Roma tra la fine degli anni Cinquanta e gli inizi dei Sessanta, si trovava, invece, a Milano.
Autodidatta, affascinata dalla pittura, casualmente, scopre in una vetrina un quadro di Fontana, e, influenzata dalla corrente dello Spazialismo, elabora una sua personale versione delle opere con i buchi dell’artista che intitola Volumi.
Grandi ovali ritagliati nella tela monocroma, che rivelano il bianco retrostante: il buco diventa il negativo, il vuoto, e la tela è percepita non più come superficie ma come spazio tridimensionale.
Sono anche gli anni in cui Dadamaino frequenta il bar Giamaica a Milano, dove, nel 1957, conosce Piero Manzoni, con cui nasce una profonda amicizia. Manzoni la invita ad esporre i suoi Volumi nella galleria Azimut, spazio autogestito dal gruppo di cui faceva parte insieme a Agostino Bonalumi ed Enrico Castellani.
Agli inizi degli anni Sessanta, in questa sua veloce parabola creativa, l’artista intraprende la sperimentazione optical, una nuova percezione, un nuovo modo di vedere, che coinvolge anche la partecipazione dello spettatore.
Il delicato Oggetto ottico-dinamico (1963-65), precedentemente esposto al Centre Pompidou a Parigi e successivamente al Guggenheim di Bilbao, è la dimostrazione della sua capacità di spingersi nella ricerca e testimonia anche la sua partecipazione al movimento internazionale “Nove Tendencija” di Zagabria, una delle maggiori espressioni dell’arte cinetica, alla quale prese parte anche Marina Apollonio, più o meno negli stessi anni.
Dadamaino, come Carla Accardi, abbandona la tela come supporto in favore delle potenzialità della plastica, lasciando solo i segni, il movimento, il gesto. In mostra anche le delicate Passo dopo passo, 1988, e Sein und Zeit, 1999, dove interviene minuziosamente su fogli trasparenti di poliestere con numerosi trattini di inchiostro di china, per lo più nero. Trattini che si susseguono a distanze regolari, cambiando inclinazione, secondo concentrazioni e diramazioni, creando un movimento dinamico delle superfici, quasi fossero delle maree.
A Marina Apollonio è riservato il primo piano della galleria. L’artista è di sicuro una delle rappresentanti più significative del movimento ottico-cinetico internazionale.
Già nei primi anni Sessanta, hanno inizio le sue ricerche sulla percezione visiva, sulla creazione di stimoli percettivi attraverso una combinazione di forme pure. Con gli esponenti dell’Arte Optical condivide una visione di un’arte depersonalizzata in opposizione al concetto di astrazione espressiva.
Nei lavori della serie Dinamica Circolare la Apollonio ha ideato dei congegni meccanici che mettono in movimento le sue sinuose spirali bicolori, inserendo una dimensione cinetica al dinamismo ottico delle sue opere.
Si aggiunge a questa serie Blu su rosso fluorescenti 6A, 1966-68, che si distingue dalle altre per l’uso del colore, fluorescente appunto, su masonite.
Marina Apollonio è un artista meticolosa, rigorosa che ha sempre continuato nella sua ricerca visiva – dalla pittura alla scultura e al disegno, dalle opere statiche a quelle in movimento – a inventare, a sperimentare nuovi materiali, abbracciando le innovazioni tecnologiche del suo tempo, pur mantenendo una programmazione geometrica, matematica, non lasciando mai niente al caso.