La Toscana si conferma tra le regioni più green d’Italia quando si parla di vino: con il 14% di superficie a vite coltivata a biologico si piazza al secondo posto dietro la Sicilia. La viticoltura biologica è ormai una realtà consolidata e basta dare un’occhiata ai numeri per rendersene conto: a fotografare bene la situazione ha pensato il report La filiera vitivinicola biologica realizzato da Ismea. Un exploit avvenuto negli ultimi dieci anni per un trend che è ancora in crescita. Il fenomeno è molto diffuso tra le cantine cooperative e i consorzi. Tra le province con la più alta percentuale di vigneti biologici rispetto alla superficie totale a vigneto troviamo Pisa (38,5%) mentre Siena con 6.795 ettari è tra le province con la più alta presenza di vigneti biologici.
In Toscana sono diversi i consorzi che hanno intrapreso una strada green e nel segno della sostenibilità. L’85% della produzione del Montecucco è certificato bio e il 2% risulta in conversione dall’analisi condotta dal consorzio della denominazione amiatina su un campione di 30 cantine socie per una realtà che si estende su sette comuni del territorio grossetano.
Percentuali altissime, in linea con i dati del 2020 registrati e condivisi da Artea (Agenzia regionale Toscana erogazioni agricoltura): in base a questi risultati il Montecucco finisce sul podio delle Docg toscane grazie all’82% di Sangiovese Docg biocertificato sul totale della produzione (hl/vino).
Un lavoro pulito in vigna e cantina
“Il lavoro ‘pulito’ in vigna e in cantina è proprio nel Dna di questo territorio – sottolinea Giovan Battista Basile, alla guida del Consorzio -. I risultati di questa indagine, che ci ha impegnato molto negli ultimi mesi, ci porta non solo ad avere un riconoscimento di territorio ecosostenibile, ma ci incentiva a fare sempre meglio, considerato anche il numero di aziende attualmente in conversione: l’obiettivo è avere il 100% di produzione biologica. Il nostro territorio è naturalmente vocato alla sostenibilità, e siamo certi di poter ottenere risultati ancora migliori di questi“. “Il mio impegno come azienda – aggiunge Basile – parte naturalmente dalle buone pratiche agronomiche, come la lotta biologica e l’utilizzo di prodotti naturali per favorire una maggior resistenza della vite, come l’utilizzo di un’alga della costa atlantica del Canada dalle proprietà benefiche, agli impianti fotovoltaici in cantina e alla bioedilizia“.
La denominazione amiatina parte in vantaggio rispetto ad altre realtà sia perché molte vigne sono state impiantate su terreni non coltivati o abbandonati ma anche per le particolari condizioni climatiche così da non rendere necessari interventi invasivi. Insomma all’ombra del Monte Amiata la sostenibilità era già realtà prima ancora che da altre parti diventasse una moda. Ma le aziende del consorzio sono anche in prima fila nella promozione di studi e progetti di ricerca per l’innovazione. Basti pensare al programma Organic Wine con l’Università di Firenze per il miglioramento delle pratiche colturali attraverso l’agricoltura di precisione o il Biopass (acronimo di Biodiversità, paesaggio, ambiente, suolo, società) che punta ad analizzare la biodiversità e la vitalità del suolo e delle sostanze organiche in esso contenute, per poi progettare interventi mirati.
L’esempio di Brunello e Chianti Classico
Si assestano attorno al 50 per cento di superficie a vite coltivata a biologico altre storiche realtà della viticoltura toscana. Le aziende del Consorzio del vino Brunello di Montalcino, da sempre attente alla qualità, scommettono sul green con una produzione bio che sfiora il 50% del totale coltivato per la Docg. I viticoltori convertiti o in fase di conversione sono 106 su 257 aziende.
“Siamo soddisfatti per una transizione che si sta rivelando più veloce del previsto – ha detto il presidente del consorzio, Fabrizio Bindocci -. A Montalcino la vigna ha sempre avuto un ruolo rispettoso dell’ambiente, e rappresenta solo 15% delle aree rurali, in un territorio contraddistinto da una notevole biodiversità con un patrimonio boschivo che rappresenta il 50% del totale ma anche con oliveti (10%), seminativi, pascoli e altre piantagioni. Una tendenza, quella bio, che ha pure una ratio economica se si considerano le intenzioni di acquisto per tipologia dei consumatori nei nostri mercati chiave“.
Ha superato la quota del 52,5% la destinazione dei vigneti a coltivazione bio. E’ quanto emerge dai dati sulla vendemmia 2020 del Consorzio del Gallo Nero. Un significativo balzo in avanti nell’ottica di una rivoluzione green per una delle Docg, quella del Chianti Classico, tra le più grandi per le dimensioni del territorio e il numero di produttori.
Si avvia sulla strada della denominazione interamente bio per disciplinare anche il consorzio della Doc Valdarno di Sopra, guidato da Luca Sanjust, produttore e titolare della Tenuta Petrolo. La proposta per la modifica del disciplinare è stata inviata al comitato vini.