Era la notte del 13 gennaio 2012, quella dell’inchino fatale. Una notte fredda. Quel giorno la nave da crociera Costa Concordia naufragò proprio di fronte all’Isola del Giglio dopo essersi incagliata negli scogli delle Scole, proprio in prossimità del porto. A bordo c’erano 3.216 passeggeri e 1.013 membri dell’equipaggio. Alla fine le vittime del più grande naufragio della marineria italiana saranno 32. Ora il Giglio ricorda tutte quelle persone, una a una.
Giornata della memoria
“Questa sarà l’ultima celebrazione pubblica. Non vogliamo dimenticare, ma desideriamo rispettare le vittime” ha detto il sindaco dell’isola, Sergio Ortelli, intervenendo nel giorno del decennale. “Il consiglio comunale ha infatti deciso di celebrare questo giorno per sempre”. Il 13 gennaio, per il Giglio, sarà quindi la “Giornata della memoria”. Una scelta “doveroso nei confronti dei parenti delle vittime del naufragio” ha proseguito Ortelli. “Sulla nave c’erano persone di 54 nazionalità, è giusto che vengano ricordate per sempre”.
La “lezione” del naufragio
Proprio nel giorno un cui è uscito il suo libro (“Naufragi e nuovi approdi. Dal disastro della nave Concordia al futuro della Protezione civile”, scritto insieme a Francesca Maffini e edito da Baldini e Castoldi), l’allora Capo della protezione civile Franco Gabrielli è tornato sull’isola. “Questo disastro c’insegna che si possono fare degli errori tragici e anche sistemici” ha detto Gabrielli. “Ritengo che ci sia un responsabile penale, ma ci sono anche altri responsabili di questa tragedia. Inoltre c’insegna che è possibile riscattarsi, porre rimedio agli errori, e anche che laddove si realizzano corrette sinergie si possono conseguire cose straordinarie”.
Ma quali sono le “sinergie” che si sono realizzate? Per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gabrielli, che fu anche commissario per l’emergenza, “sono quelle tra un privato chem preso atto del disastro, non ha perso tempo e non ha lesinato denari per riscattarsi, e un pubblico che ha saputo creare le cornici affinché il privato potesse lavorare al meglio senza lacci e lacciuoli”.
I ricordi, la commozione, l’approdo sicuro
“Il ricordo più indelebile è riferito alle tante persone che non ci sono più”
“I gigliesi sono stati i più affidabili compagni in questo viaggio tragico e incredibile” ha proseguito Gabrielli. “Il ricordo più indelebile è riferito alle tante persone che non ci sono più e il mio pensiero va a Israel Moreno Franco, l’operaio spagnolo che morì durante le attività di rimozione della nave in un tragico incidente sul lavoro. Ricordo anche gli strazianti incontri con i familiari delle vittime, ma il mio approdo più sicuro era l’Isola del Giglio”.
“Nei trenta mesi di questa tragica vicenda, molto difficile per me, perché dovemmo affrontare anche altre emergenze come alluvioni e terremoti – ha aggiunto il sottosegretario – quando arrivavo al Giglio ricaricavo le pile. Era diventato tra noi un mutuo scambio di energie. Al Giglio ho festeggiato un compleanno, ci sono poi tornato perché mi hanno dato la cittadinanza onoraria. Il tema delle vittime è importante e fondamentale, che io continuo a sostenere. Non per un esercizio istituzionale o di carineria, ma perché credo che non si possa mai dare il giusto risalto alle cose dei vivi se non si onorano i morti“.
I primi soccorritori
“A bordo trovammo una situazione di panico”
Prima della posa della corona di fiori in memoria delle vittime, a Punta Gabbianara, è stata celebrata una messa di suffragio per le vittime nella Chiesa dei Santi Lorenzo e Mamiliano, a Giglio Porto. Presente la banda del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. E ai vigili del fuoco appartengono anche Massimiliano Bennati e Paolo Scipioni. Sono due sommozzatori, tra i primi soccorritori del naufragio. Anche loro, oggi, sono all’Isola del Giglio.
“Quando arrivammo, intorno a mezzanotte, la nave era già riversa su un fianco. Non sapevano che fosse adagiata sul fondale e pensavamo fosse imminente l’affondamento, spesso si sentivano scossoni e rumori“ raccontano i due. “A bordo trovammo una situazione di panico. Le persone erano come bloccate e dovevi quasi scuoterle per portarle via. Non si rendevano conto della situazione. Siamo stati tutta la notte a bordo, siamo scesi intorno alle sette cercando di salvare più persone possibile”.
Una volta arrivati alla Concordia, prima di salire a bordo, Bennati e Scipioni pensarono che in acqua potessero esserci centinaia di persone. “Per fortuna molti erano con giubbotto salvagente, e insieme a un altro collega siamo riusciti a salvare in acqua sette persone che erano quasi in ipotermia. Ricordo un francese che purtroppo non riuscimmo a salvare, perché lo trovammo già riverso nell’acqua. È stato una delle prime vittime accertate. La moglie continuava a urlarci in francese: ‘Mio marito, aiutate mio marito’…”.
“Schettino, salga a bordo…”
“Tornare significa riabbracciare le vittime che purtroppo non siamo riusciti a tirar fuori da lì”
In questo decennale non poteva mancare la presenza di capitano Gregorio De Falco della Capitaneria di Porto. Sì, il protagonista del famoso audio. “Quello del comandante Schettino fu un atto scellerato, incompatibile con la sicurezza” ha detto. “Se io punto con la nave a 16-17 nodi a 300 metri dalla costa non sto facendo un inchinom ma un atto scellerato”.
“Non sono tornato molto spesso al Giglio, come avrei anche desiderato” ha aggiunto De Falco. “Tornare significa per me riabbracciare idealmente le vittime che purtroppo non siamo riusciti a tirar fuori da lì. Abbiamo però registrato gesti di solidarietà enormi, sia della comunità gigliese, sia dell’equipaggio della nave”.
Tornando sulla celebre frase detta al comandante della nave Francesco Schettino (“Torni a bordo, cazzo”), De falco ha sottolineato che “è una frase che viene decontestualizzata, ma si inserisce in un percorso di comunicazione che andava avanti da ore. Poi erano spariti tutti dalla plancia, non rispondevano alla radio e neanche al telefono. Nell’interesse dell’azione di soccorso chiedevo che tornasse a bordo l’autorità, ovvero il comandante, che poteva assumere su di sé la responsabilità di derogare alcune norme, che pur giuste erano inefficaci per garantire la sicurezza di quelle persone”.
Le commemorazioni
Nel pomeriggio è stato presentato il libro “La notte della Concordia” di Sabrina Grementieri e Mario Pellegrini, in cui gli autori hanno ricordato la drammatica notte dei soccorsi. Alla presentazione parteciperanno il sindaco dell’isola del Giglio (modertatore è stato Guido Fiorini, direttore di MaremmaOggi). Infine è stata la volta dell’osservatorio di monitoraggio “Concordia”, con la relazione sui lavori di restauro dei fondali su cui la nave da crociera si arenò (“superiori alle attese grazie agli interventi di ripristino ambientale dei fondali marini“).
Il momento più toccante della giornata sarà la processione con le fiaccole a fiamma viva, che a partire dalle 21.30, dalla Chiesa di Giglio Porto, raggiungerà la lapide commemorativa posta sul Molo di Levante. Alle 21.45.7” la tufata, il suono delle sirene delle imbarcazioni che annuncerà la preghiera per le vittime e la benedizione della lapide.
“Per non dimenticare”. Questo è il titolo dell’evento commemorativo, in programma il 14 gennaio al Teatro degli Industri di Grosseto, per il decennale del naufragio della Costa Concordia, avvenuto appunto il 13 gennaio 2012 al Giglio. A organizzarlo è il Tribunale di Grosseto in collaborazione con i Comuni di Grosseto e del Giglio, l’Ordine degli avvocati di Grosseto, la Fondazione Polo universitario grossetano, TV9 e Banca Tema.
Nel corso della giornata, aperta anche agli studenti, verrà ricostruito il naufragio e i soccorsi prestati dagli abitanti del Giglio, ci sarà un approfondimento sulle risultanze del processo, che terrà conto anche delle pressioni mediatiche che ci sono state sul caso, e in due tavole rotonde si parlerà dei profili di interessi penale, civilistico e di diritto della navigazione.
La testimonianza
“Fu un processo difficile, molto emozionante. E la sentenza, visti anche i successivi gradi di giudizio, fu perfetta. E’ stata confermata in tutti i gradi di giudizio”. Così Giovanni Puliatti, presidente del collegio del tribunale di Grosseto ricorda l’11 febbraio 2016 quando condannò l’ex comandante della Costa Concordia Francesco Schettino a 16 anni di reclusione per il naufragio al Giglio della nave da crociera, di cui il 13 gennaio prossimo ricorre il decennale. “Giudicando bisogna spogliarsi del lato emotivo e sentimentale e quindi, adesso, posso dire che il calcolo fatto era giusto. Schettino? Non mi ha mai fatto pena e non è stato il capro espiatorio come qualcuno ha voluto far credere”.
La commozione
“Spesso non riuscivo a controllare le emozioni, devo essere sincero”
Puliatti, andato in pensione nel gennaio scorso, è intervenuto alla presentazione dell’evento commemorativo organizzato per il 14 gennaio 2022 in ricordo della tragedia costata la vita a 32 persone. “Ci sono stati dei momenti drammatici. Il momento forse più toccante fu l’udienza della ricostruzione della morte della piccola Dayana: non ci permise di continuare”, ha aggiunto Puliatti spiegando anche che “sono immagini scolpite nella mia mente” quelle del primo sopralluogo effettuato dal tribunale a bordo della nave semisommersa dall’acqua.
“È stata un’esperienza preziosa e irripetibile. Sia dal punto di vista umano che professionale” ha aggiunto poi Sergio Compagnucci, giudice a latere di quel collegio. “Spesso non riuscivo a controllare le emozioni, devo essere sincero. Per la piccola Dayana ho pianto. Ricordo i volti dei testimoni, e la tristezza che respiravamo nel teatro, chiusi nella stanza per decidere e confrontarci”.
“Vorrei ringraziare la Procura per tutto quello che ha fatto” ha detto poi l’altro giudice a latere che giudicò Schettino, Marco Mezzaluna. “La nostra sentenza è figlia anche di indagini esaustive, puntuali e soprattutto celeri. Uno sforzo organizzativo lodevole da parte di tutti che doveva comunque essere fatto”.
La telefonata, poi l’allarme
“Ho pensato fosse uno scherzo, poi la descrizione dei particolari mi ha subito fatto comprendere la serietà della situazione: stava avvenendo un disastro“. Ciro Formuso, 62 anni, oggi in pensione, la sera del 13 gennaio di dieci anni fa era in servizio al comando dei carabinieri di Prato. Fu lui il primo a dare l’allarme per azionare la macchina dei soccorsi per il naufragio della Costa Concordia, nonostante la distanza dal luogo della tragedia.
Fu Lucia Calapai, residente a Prato, figlia di Concetta Rovi, scampata al naufragio della nave da crociera, a chiamare il 112 della città toscana. “La donna aveva ricevuto una telefonata della madre dalla nave. Calapai mi parlò dei giubbotti di salvataggio, del fatto che stavano calando le scialuppe, diceva che sulla nave non sapevano rispondere a nulla. Così ho chiamato la sala operativa dei carabinieri di Livorno: non ne sapevano nulla. Mi hanno passato la Capitaneria di Porto di Livorno: stessa risposta. Subito dopo – ricorda Formuso – chiamai il numero di cellulare della donna sulla nave. Mi disse ‘Guardi sono cascati i piatti e i bicchieri nel ristorante, c’è tanta confusione’. Provai a rassicurarla, le dissi che mi stavo interessando del caso, di tenere i nervi saldi“.
Concetta Rovi, che vive in Sicilia, chiamò poi in caserma a Prato per ringraziare qualche giorno dopo: “Ma parlò con il comandante, purtroppo da quel giorno non ci siamo mai più sentiti“.