È l’alba del 12 agosto 1944 quando i soldati nazisti della 16° Panzer-Grenadier-Division “Reichsfuhrer-SS”, comandata dal generale Max Simon e dagli austriaci, si inerpicano per le Alpi Apuane fino al piccolo paese di Sant’Anna di Stazzema.
Il borgo quell’estate ospita oltre mille persone, soprattutto sfollati provenienti dalla costa della Versilia che sono scappati per sfuggire ai bombardamenti e si credono al sicuro quassù. Non sanno che i nazisti hanno pianificato un vero e proprio attacco alla popolazione civile: vogliono colpire gli innocenti di Sant’Anna per dare un segnale agli abitanti dell’Alta Versilia, che spesso aiutano i partigiani che combattono in quella zona, per lo meno dividendo con loro il poco cibo a disposizione. Il massacro del 12 agosto, come dimostrerà in seguito la magistratura italiana, non è una rappresaglia ma un vero atto terroristico che vuole spezzare questo legame tra versiliesi e partigiani massacrando i civili inermi.
La trappola
Alle 7 di mattina il paese è già circondato dalle SS, che sono arrivate qui guidate da alcuni collaborazionisti fascisti e sorvegliano anche la strada che porta verso Valdicastello. La trappola è scattata, non c’è via di fuga e peggio ancora nessuno all’inizio prova a scappare perché non hanno idea di cosa sta per accadere. Gli uomini temono solo di essere deportati, così si nascondono nei boschi, mentre donne, bambini e anziani restano nelle case.
È lì che le SS li scovano, li tirano fuori dai loro letti e li uccidono barbaramente con i fucili e le bombe a mano: alcuni nelle abitazioni, altri li ammassano nella piazzetta del paese, davanti alla chiesa, e li falciano a colpi di mitragliatrice.
A nulla valgono le proteste di don Innocenzo Lazzeri, parroco di Farnocchia, un paese vicino che era stato bruciato pochi giorni prima, che offre la sua vita in cambio di quella dei prigionieri e per questo riceverà la Medaglia d’oro al valor civile alla memoria.
Il massacro
Alle 11 è tutto finito e Sant’Anna è un cimitero. I morti sono 560, tra cui un centinaio di bambini: la più piccola, Anna Pardini, ha appena 20 giorni di vita.
Dopo l’eccidio arrivano le fiamme: le SS danno fuoco alla pira dei cadaveri e degli agonizzanti e alle case, tanto che in seguito solo 350 delle vittime potranno essere identificate.
In pochi si salvano, per colpi di fortuna, veri atti di coraggio oppure lampi di compassione da parte dei loro carnefici. Come Enio Mancini, che quel giorno ha solo 6 anni: il nazista che deve fucilare lui e la sua famiglia è un ragazzo giovanissimo, appena rimangono da soli li fa fuggire e spara in aria fingendo di averli uccisi.
Genny Bibolotti Marsili invece, Medaglia d’oro al valor civile, che in seguito Piero Calamandrei definirà “simbolo della Resistenza popolana”, riesce a mettere in salvo suo figlio Mario nascondendolo in un camino: per sviare l’attenzione di un soldato tedesco gli tira in faccia il suo zoccolo e viene uccisa immediatamente.
L’eroismo delle donne spicca a Sant’Anna. Riceverà la Medaglia d’oro al valore civile anche a Milena Bernabò, che ad appena 16 anni riesce a sfuggire ai colpi dei tedeschi e gravemente ferita salva tre bambini, imprigionati in una stalla che stava andando a fuoco.
Il processo e la memoria
Ci vorranno 60 anni per arrivare al processo, che inizia al Tribunale Militare di La Spezia nell’aprile del 2004 ed è possibile solo grazie ai documenti ritrovati dieci anni prima, nel 1994, nel cosiddetto “Armadio della vergogna” a Palazzo Cesi, a Roma. Qui il procuratore militare Antonio Intelisano – che si sta occupando del processo contro l’ex SS Priebke – rinviene per caso 695 fascicoli sui crimini di guerra commessi dai nazifascisti, compresa la strage di Sant’Anna. Nel 2005 vengono così condannati all’ergastolo dieci ex appartenenti alle SS, alcuni però ormai troppo anziani per scontare la pena.
Oggi il piccolo borgo è un luogo simbolo della memoria. Qui dal 2000 sorge il Parco Nazionale della Pace di Sant’Anna di Stazzema, con il Museo Storico della Resistenza e il Monumento Ossario alle vittime. L’obiettivo è educare le nuove generazioni alla pace e al rispetto tra i popoli e mantenere vivo il ricordo del terribile eccidio del 1944, il peggiore ma non l’unico che macchiò nei terribili anni di occupazione nazista la Toscana.
Sant’Anna ha il triste primato del maggior numero di vittime, seguito dall’eccidio del Padule di Fucecchio, dove persero la vita il 23 agosto del 1944 174 persone, mentre a Civitella in Val di Chiana il 29 giugno del 1944 furono trucidati 212 civili.