Fabio Capanni è un musicista e compositore fiorentino che può vantare nel suo curriculum collaborazioni prestigiose con musicisti italiani e internazionali.
Nell’ambito della ventennale collaborazione con Materiali Sonori, ha partecipato a progetti musicali insieme a musicisti come: Peter Principle, Luc Van Lieshout (Tuxedomoon), Dirk Descheemaeker (Wim Mertens), Harold Budd, David Torn, David Sylvian, Steve Jansen, Richard Barbieri, Roger Eno, Tim Story, Chris Karrer, Glen Sweeney, Alquimia, Arlo Bigazzi.
Sopra a tutte la collaborazione con il musicista tedesco Hans Joachim Roedelius, uno dei padri dell’Ambient Music, al fianco del quale Capanni ha lavorato, in studio e dal vivo, per oltre un decennio e con il quale ha anche fondato, insieme a Felix Jay e al sassofonista romano Nicola Alesini, il gruppo Aquarello.
Capanni dopo un lungo silenzio, torna sulla scena musicale con HOME, il suo primo album solista, un progetto mediante il quale il musicista mette in atto un’idea coltivata da lungo tempo: realizzare un disco solista incentrato sulla chitarra elettrica.
Il suo è stato un lungo percorso, una ricerca musicale che approda ad un lavoro maturo frutto di un’esperienza internazionale.
HOME è un album strumentale interamente composto e prodotto da Capanni, masterizzato al White Sound Mastering Studio da Tommy Bianchi, nel quale le corde del pianoforte sono prezioso complemento di quelle della chitarra e i rari frammenti ritmici vanno a completare un affresco musicale di rilevante forza espressiva.
Registrato esclusivamente con l’impiego della chitarra elettrica e del pianoforte, HOME è impreziosito dal sax alto di Nicola Alesini che interviene come ospite nella traccia conclusiva.
Ecco la nostra intervista
Ciao Fabio hai un curriculum incredibile, come hai iniziato a fare musica ambient?
Quando ero molto giovane suonavo la batteria in una band. Il chitarrista lasciava sempre la sua chitarra nella mia cantina, così iniziai a suonarla, da autodidatta. Ma da subito ho avuto la voglia di scoprire e tirare fuori dalla chitarra suoni che non erano caratteristici. All’epoca lavoravo a Controradio con una trasmissione di musica dal vivo. Fabio Crescioli grande intenditore mi chiese di dargli una cassetta con la mia musica, questi suoni anomali che producevo, per farla ascoltare a Materiali Sonori. Insieme a Simone Castaldi mettemmo su un piccolo ensemble per registrare un nastro. Il disco piacque a Materiali Sonori, mi cercarono e iniziò una collaborazione con un ensemble aperto di musicisti che si chiamava Nazca. Così ho cominciato a collaborare con tantissimi musicisti italiani e internazionali perchè la Materiali Sonori University aveva tanti musicisti sotto il marchio dell’etichetta e ci spingevano a lavorare insieme. Una delle collaborazioni artistiche più importanti per me è stata quella con Peter Principle Dachert dei Tuxedomoon che lavorò con noi per molti giorni.
L’esperienza con Hans Joachim Roedelius com’è stata?
In uno dei vari intrecci musicali e collaborazioni ho conosciuto Roedelius membro dei Cluster con lui ho collaborato per 15 anni e ancora siamo amici. Per me è stato un rapporto molto forte e importante a livello musicale ma anche umano, pensa che lui è stato mio testimone di nozze.
Un disco solista segna sempre un’urgenza, la necessità di dire qualcosa. Cosa ti ha spinto a farlo?
Hai centrato proprio un tasto preciso. Sono stato in silenzio per molto tempo, negli ultimi cinque anni non ho proprio suonato, non ho toccato lo strumento. Poi dal niente è nata questa urgenza, forse è stato il Covid che l’ha fatta esplodere. Il fatto è che nonostante tutte le collaborazioni come compositore o come musicista, circa 30 dischi, non avevo mai fatto un album solista. Era sempre rimasta una lacuna per me, il rammarico più grande della mia carriera da musicista. Volevo creare un lavoro che fosse tutto mio. Ho fatto questo album senza ragionamenti e senza calcoli, mi sono messo in gioco, volevo togliermi la soddisfazione di dire qualcosa, è semplicemente la mia musica, sono io.
Quando ho ascoltato per la prima volta il tuo disco mi sono trovata davanti qualcosa di assolutamente inaspettato, credevo di sentire una chitarra e invece è un suono ai miei orecchi molto diverso
Capisco che può essere spiazzante. Tutto quello che tu senti è solo chitarra, non c’è tastiera, non c’è midi, campioni o sintetizzatore. E’ tutta chitarra suonata in maniera non convenzionale. Quando incontrai Rodelius mi disse: “mi ricordi come suonava la chitarra Brian Eno. Anche lui la suonava in un modo che non era chitarra, ma la differenza tra te e lui, è che tutte le macchine che lui usava per modificare il suono se le costruiva da solo”.
Come ti immagini chi ascolterà questo disco?
E’ una domanda molto difficile, forse vale un po’ per tutta la musica, ma soprattutto per la mia: mi immagino una persona che ha voglia di immergersi in una dimensione completamente diversa dalla realtà. I miei sono paesaggi sonori che ti portano altrove. La mia non è musica “concreta” come il pop e il rock, è musica per staccarsi completamente dalla quotidianità.