“Quello in cucina è il tempo che non sento passare”. Il set preferito da Luca Calvani è diventato quello del luogo più familiare della casa, in mezzo ai fornelli, al fuoco della creatività per sperimentare nuove ricette.
Quando lo incontro nel suo casale immerso nel verde a Pontemazzori è intento a pulire le puntarelle. Grembiule in vita, dimestichezza nelle mani, nuove idee che si fanno strada in cucina e non solo, alcune sono riaffiorate dopo tanti anni di ‘sedimentazione’, come nel caso del film “Il cacio con le pere”, che dovrebbe uscire nelle sale appena i cinema riapriranno. Sarà l’esordio dietro la macchina da presa di Calvani.
Rimango all’ingresso della cucina e iniziamo a parlare. Poi Luca mi mostra “Le Gusciane”, un luogo che fai fatica a definire o inquadrare in una parola sola. Un cottage? Un agriturismo? Un bed&Brekfast? Per chi ci entra per la prima volta sembra di più una “casa nel verde” a due passi dal mare e dalle Apuane, una sosta agognata per i moderni pellegrini, per gli avventori, per chi oggi vuol rivivere le atmosfere romantiche del “Viaggio in Italia”. Un luogo in cui rifugiarsi quando si ha bisogno di ritrovare un punto di partenza. La sensazione è quella della “casa”, del luogo familiare, dove ci si sente subito a proprio agio.
E per questo ormai il casale di Pontemazzori è diventato il luogo da cui far partire i nuovi progetti: la produzione del gin, quelle di nuove ‘fragranze” (altra passione di Calvani insieme all’interior design) e poi il cinema, il primo amore.
A proposito di cinema: “Il cacio con le pere” è pronto per andare in sala, non appena l’emergenza covid sarà terminata. Un lavoro che hai portato avanti con l’amico di sempre, Francesco Ciampi. Che storia racconta?
Io e Francesco abbiamo iniziato a lavorare a questo film 12 anni fa. L’idea era quella di creare una nuova factory del cinema toscano, volevamo dar vita ad un’altra ondata. Poi ci siamo fermati ed abbiamo ripreso in mano la sceneggiatura tre anni fa. E’ stato lì che mi è venuta voglia di inserire nuovi elementi al film, più vicini ad un uomo di 45 anni. “Il cacio con le pere” è un film di “relazioni”, sono le storie che mi piace vedere.
Una relazione tra fratelli, in particolar modo tra te e Francesco Ciampi, protagonisti del film. Qual è l’idea di fondo?
La nostra è la storia di due fratelli profondamente diversi ma che si renderanno conto di essere l’uno la chiave di volta dell’altro per sbloccare le proprie vite. Il mio ruolo è quello di un immaturo sentimentale che vuole fare l’attore, vittima delle proprie manie di grandezza. Fosco (Francesco Ciampi n.d.r.) invece è il fratello che non ha mai avuto fiducia in se stesso, da sempre ripiegato sui libri e sulle piccole cose. Entrambi nonostante le differenze capiranno di essere fondamentali l’uno per l’altro per scoprire parti di sé e portare a compimento la ricerca della felicità.
La ricerca della felicità è l’obiettivo più difficile da cogliere nella vita. Tu provi a ricercarla in questa minuscola frazione di Camaiore dove stai dando forma alle passioni, le vecchie e le nuove. Tra queste c’è anche la produzione di gin. In tanti investono nel vino forse perchè ormai è diventato uno status symbol, tu hai deciso di prendere una strada diversa, forse meno scontata, perché?
Il ginepro toscano? L’ho scoperto in una cena a Londra chiacchierando con David Beckham che produceva whisky e Guy Ritchie che faceva la birra
Sono in continua evoluzione. Sai che oggi vorrei continuare a creare nel mondo dell’esperienza, che siano le fragranze, le produzioni come il gin, la cucina. L’amore per la cucina l’ho scoperto tardi, se l’avessi capito prima credo che mi sarebbe piaciuto fare lo chef, forse più dell’attore. Riguardo invece al gin devo confessarti che ho scoperto le sue origini in Inghilterra, frequentando un certo giro di artisti e personaggi: c’era David Beckham che faceva il whisky, Guy Ritchie la birra. Nelle nostre chiacchierate una sera esce fuori che il ginepro per produrre questo distillato era toscano, di Pontassieve. Non lo sapevo, rimasi basito. Era il 2015. Da lì ho approfondito le mie conoscenze ed ho dato vita a questo progetto di produzione del mio gin aromatizzato all’elicriso, una pianta che sta sia in vetta agli Appennini che sulle dune. L’elicriso mi piace perché profuma di mare e ti riporta in mente una passeggiata a Giannutri.
Quindi un gin 100% toscano?
Assolutamente. Il ginepro è di Pontassieve, l’acqua è di Pracchia. L’elicriso è delle Apuane. Pensa che abbiamo l’idea di piantare l’elicriso anche qui, a Pontemazzori. E non è l’unico progetto.
C’è dell’altro?
Ho una cosa che bolle in pentola molto interessante. Stiamo lavorando a finalizzare una collaborazione con Debora e Iginio Massari. Un prodotto in co-branding: delle praline con una ganache al nostro gin all’elicriso.
Sei ispirato. Da una parte hai trovato il tuo luogo nel mondo a Pontemazzori, tu che hai viaggiato e vissuto in America e in Europa, dall’altra il marchio di fabbrica nel tuo dna rimane Prato, la città che ha saputo reinventarsi.
I pratesi? Devono solo crederci un po’ di più
Non è una novità che Prato trovi sempre il modo di rilanciarsi, di reinventarsi. I pratesi fanno questo sempre. Come mi piace dire: ” Sono sempre stati molto bravi a prendere il fumo alle schiacciate”. Hanno sempre viaggiato moltissimo ed ogni volta che sono tornati hanno portato qualcosa da mettere in pratica, in continuo fermento. Credo che Prato non abbia bisogno di nulla se non di “crederci un po’ di più”.
A proposito di reinventarsi. Mi hai detto che avresti voluto fare lo chef. Magari anche in tv?
Mi guarda. Sorride.
Da bravo pratese non svela le carte in tavola. Borlotto, uno dei suoi bassotti gli salta in braccio, poi ballano insieme. Una perfetta coppia televisiva, per adesso nella cucina di Pontemazzori, domani chissà.