Oggi 7 ottobre 2020 possiamo dire che si pone forse la parola “FINE” a una disputa che da anni tiene con il fiato sospeso gli appassionati di Leonardo Da Vinci. Da molto tempo infatti ricercatori e studiosi da tutto il mondo cercano con l’aiuto delle tecnologie più innovative le tracce della Battaglia di Anghiari che il genio toscano avrebbe dipinto su una delle pareti del Salone dei ‘500 in Palazzo Vecchio a Firenze. L’affresco (così si pensava) subì nel 1503-1504 danni ingenti a causa di un errata composizione della pittura usata e per questo fu ricoperto in seguito da quello di Giorgio Vasari. Della battaglia ci resta oggi solo la copia della Tavola Doria conservata oggi agli Uffizi.
La scoperta
Nel 2012 ben otto anni fa lo studioso Maurizio Seracini con l’appoggio dell’allora sindaco Matteo Renzi e la collaborazione del National Geographic e dell’Università della California a San Diego svolse numerose indagini sulle pareti del Salone del Cinquecento senza però trovare tracce certe dell’affresco.
Uno studio multidisciplinare appena pubblicato dal titolo “La Sala Grande di Palazzo Vecchio e la Battaglia di Anghiari di Leonardo da Vinci. Dalla configurazione architettonica all’apparato decorativo“, curato da Roberta Barsanti, Gianluca Belli, Emanuela Ferretti e Cecilia Frosinini, presentato a Firenze alla presenza del direttore degli Uffizi Eike Schmidt afferma che Leonardo Da Vinci non realizzò mai la Battaglia di Anghiari ma solo il suo “cartone”. “I nuovi studi di hanno permesso di ridirezionare la ricerca – ha spiegato Francesca Fiorani, docente di storia dell’arte moderna dell’University of Virginia -, siamo passati dalla domanda fondamentale ‘dove sta la battaglia di Anghiari’ ad una domanda diversa, ovvero ‘c’è stata la battaglia di Anghiari?’ e ‘cosa ha fatto Leonardo da Vinci nella sala grande?’. Ecco a queste domanda si può dare una risposta basata sulla rilettura dei dati noti e sullo studio di nuovo dati: Leonardo non ha mai dipinto la battaglia su quel muro”.
“In pratica ci si è accaniti per decenni ad andare a caccia di un fantasma – ha aggiunto lo storico Marcello Simonetta – anche in base all’idea, colpa di un libro di Dan Brown, secondo cui la frase ‘Chi cerca trova’, vergata da Vasari in uno stendardo del suo affresco sulla Vittoria di Cosimo I a Marciano in Val di Chiana, fosse una sorta di gioco ad enigma, un indizio a rintracciare nella parete sottostante il capolavoro perduto di Leonardo. Questa idea si è rivelata totalmente infondata: La frase infatti non ha nulla a che fare con Leonardo, ma è uno sfottò molto pesante, fatto da Vasari per conto di Cosimo, nei confronti dei fuoriusciti, i suoi avversari, come una replica al motto “Libertà vo cercando”: una ricerca vana, perché, questo il messaggio, i Medici non se ne sarebbero mai andati. Cioè: “hai cercato la libertà, ecco, l’hai trovata”. Come possiamo vedere, l’ignoranza storiografica genera mostri”.
“Occorre rifondare completamente gli studi sulla Battaglia di Anghiari – ha quindi sottolineato Emanuela Ferretti – è necessario impostare una prospettiva di metodo che spesso, negli studi su Leonardo, anche a causa dell’esposizione mediatica, ha spinto a imboccare strade che non sono quelle maestre del rigore e della ricerca scientifica. In passato si è cercato la Battaglia senza nemmeno preoccuparsi di studiare la struttura e la storia della sala che, secondo il progetto, avrebbe dovuto ospitarla; questo è invece proprio quello che abbiamo fatto, il motivo per cui abbiamo dato vita al gruppo interdisciplinare che ha portato a termine questo studio”.
Cecilia Frosinini ha poi parlato degli aspetti dell’indagine riguardanti la ricerca del dipinto effettuata nel 2011 anche attraverso fori effettuati nel grande dipinto di Giorgio Vasari, sotto il quale si riteneva potessero rinvenirsi tracce del perduto capolavoro di Leonardo. ” Uno di quei tre famosi prelievi, tirati fuori bucando il lavoro del Vasari, fu magnificato come il ritrovamento del “Nero della Gioconda“. Ma non esiste alcun nero tipico di Leonardo: al tempo tutti gli artisti usavano gli stessi pigmenti, dal Medioevo fino alla metà del Settecento, con l’introduzione dei pigmenti di sintesi artificiale. Il punto è che questi tre celebri prelievi poi sono scomparsi: l’Opificio voleva analizzarli a fondo, ma non ci sono mai ‘stati dati. In ogni caso, in base alle descrizioni delle analisi chimiche dei materiali rinvenuti, Mauro Matteini, il più famoso esperto chimico nel campo dei Beni Culturali, ha chiarito nel suo saggio nel volume che non si trattava affatto di materiali pittorici ma semplicemente di elementi comuni a ritrovarsi in murature del tempo”.
Il museo della Battaglia di Anghiari
Se volete conoscere davvero la storia della battaglia di Anghiari, potete visitare il museo a lei dedicato che si trova nel paese omonimo. Il piccolo museo offre una ricostruzione esaustiva della storica battaglia combattuta il 29 giugno 1440 da Fiorentini e Milanesi.