“Siamo in contatto stretto con l’ong Cospe che sta seguendo la vicenda fin dall’inizio, così come con Prefettura e Ministero dell’interno, e abbiamo continui aggiornamenti. Ribadiamo la nostra disponibilità all’accoglienza, siamo in contatto costante anche con tutti coloro che fin dall’inizio si sono resi disponibili con generosità a collaborare”. A parlare è l’assessore al welfare del Comune di Firenze, Sara Funaro. Ribadisce come siano ancora in corso i contatti per accogliere in Toscana le calciatrici di Herat e le loro famiglie, che ieri hanno raggiunto l’aeroporto di Fiumicino con il ponte aereo da Kabul.
L’arrivo in Italia
Sono infatti arrivate in Italia alcune calciatrici del Bastan Fc di Herat, la squadra simbolo di emancipazione femminile in Afghanistan. Sono quattro, tra loro c’è la capitana. Sono sbarcate venerdì mattina. Nel gruppo ci sono 15 persone, anche i bimbi e l’allenatore. Le ragazze hanno 19 e 20 anni, due hanno portato i familiari con sé, una è con il fratello, una è da sola. Anche il tecnico è arrivato con i familiari. Scrivono messaggi ai loro contatti italiani, sono stremate e impaurite.
Firenze si prepara all’accoglienza
Hanno iniziato la quarantena, poi verrà data loro una accoglienza specifica. Per le calciatrici, come detto, si è fatta avanti Firenze. Il Comune ha preso contatti con le autorità italiane e con la ong Cospe, che a suo tempo seguiva il progetto del Bastan Fc. Il sindaco Dario Nardella giorni fa aveva alzato la mano. “Possiamo accogliere a Firenze le calciatrici afgane”, aveva detto. Circolava la disponibilità del centro Figc a Coverciano, espressa come opzione generale dal presidente Gabriele Gravina per chi scappa da morte certa.
La rinuncia
Purtroppo non tutte le giocatrici del Bastan ce l’hanno fatta a uscire dal loro Paese. Altre due, si apprende dai loro contatti italiani, hanno raggiunto Kabul ma sono bloccate dietro ai check point dei talebani messi sulle strade quando i loro leader hanno detto che gli afghani non dovevano più uscire dal Paese. Altre hanno rinunciato nel lungo viaggio da Herat e sono tornate indietro. E poi ci sono quelle mai partite dalla loro città. Ora temono di non poter proseguire gli studi, di non frequentare più l’università.
Il viaggio disperato verso l’aeroporto
Chi ha fatto la scelta di andare via ha viaggiato per Kabul alla spicciolata, ognuna separata dall’altra. Chi in pullman, chi su taxi collettivi, lungo tragitti presidiati da talebani in trionfo da settimane nelle province. Non dovevano farsi individuare e si sono mescolati ai viaggiatori che nel caos puntano alla capitale. A Kabul sono arrivate le vere difficoltà: fame, caldo, paura. Alcuni, in particolar modo i genitori anziani, prostrati dall’attesa davanti all’aeroporto, senza riparo e assistenza, sono tornati indietro. “Ci sono stati familiari feriti cadendo dentro il canale, già affaticati dall’attesa senza cibo e acqua”, raccontano.
Rientrato il coordinatore Cospe
Il canale è dove la folla si ammassa per arrivare ai varchi dello scalo (si tratta di una fognatura incompiuta) e dove giovedì si è fatto esplodere un kamikaze rendendolo di “color sangue”, come ha detto una testimone. Sta invece rientrando Abdul, coordinatore per ong Cospe di tutti gli attivisti dei diritti umani. “Non abbiamo ricevuto nulla, non c’è niente per noi su cui dormire e per coprirsi” ha scritto prima di partire. “Ma superiamo tutte le difficoltà solo per avere un futuro luminoso e perché i nostri figli imparino e vivano in un ambiente tranquillo”.