Il suo nome è un’allitterazione e solo a pronunciarlo crea un suono che sembra appartenere solo a certi poeti o a una certa prosa. Come il padre di Dante, ad esempio. Alighiero Alighieri. Invece lui è Fino Fini. Fiorentini entrambi, pur separati da un solco lungo secoli e da carriere e aspirazioni del tutto differenti. Ad accomunarli c’è il suono quasi onomatopeico dei loro nomi e il fatto che entrambi, pur con ragioni che nulla hanno a che fare l’una con l’altra, sono stati in qualche modo consacrati alla storia.
Fino… a Bearzot
Fino Fini, oltre a essere nato e morto a Firenze, è stato tante cose. Troppe per elencarle tutte. Prima di tutto era uomo, poi medico. E come medico è stato al fianco della nazionale italiana di calcio. Per dodici anni con gli juniores e poi con la nazionale maggiore, dal 1962 al 1982. Ovvero da Paolo Mazza e Giovanni Ferrari fino a Enzo Bearzot passando per Fabbri, Herrera, Valcareggi e Bernardini. Tutti commissari tecnici di un’epoca che fu.
Ha curato Giancarlo Antognoni e Paolo Rossi, un altro toscano che purtroppo non c’è più, fino al mondiale del 1982. Quello da cui uscimmo campioni. Dal Cile alla Spagna, Fini ha partecipato a ben sei competizioni mondiali. Sino al 1996 è stato anche direttore del Centro tecnico federale, dov’era apprezzato e amato da tutti. Ma non finisce qua. Perché sua fu l’idea di creare un Museo del calcio proprio a Coverciano. Nella sua Firenze, dedicato alla sua Italia, per tutti gli azzurri tifosi di ieri e di oggi.
Una stella tra le stelle
“Il Museo del calcio vuole essere un ricordo vero e autentico di coloro che hanno fatto la storia. Quella di un popolo che ha attraversato sofferenze e sacrifici” disse non molto tempo fa Fino Fini, forse inconsapevole di essere lui stesso un pezzo di quella storia che ora la Federazione italiana giuoco calcio ha pensato bene di fermare, fissandola con un riconoscimento che ha il sapore dell’atto incondizionato di eterna gratitudine. Fino Fini entra infatti a far parte della Hall of fame del calcio italiano.
Sul come e sul perché la gallerie dei più grandi protagonisti del calcio italiano di tutti i tempi abbia una definizione anglofona preferiamo sorvolare. Sul valore, sul significato e sull’impatto che ognuna di quelle storie ha, be’, no. Non vogliano né sorvolare né passare oltre. L’iniziativa, promossa da Figc e Museo del calcio, è infatti giunta alla sua decima edizione, anche se è nata ben undici anni fa. Purtroppo, proprio com’è accaduto per molti altri eventi, nel 2020 la cerimonia della Hall of fame è stata costretta a fermarsi a causa della pandemia.
I premi
L’obiettivo è quello di valorizzare la storia e il patrimonio calcistico attraverso i suoi più grandi protagonisti. Calciatori, allenatori, dirigenti, veterani, arbitri. E poi ci sono i riconoscimenti alla memoria, i premi per il calcio femminile (aggiunti solo negli anni più recenti) e per il fair play, intitolato alla memoria di Davide Astori. A scorrere la lista dei nuovi nomi che andranno ad aggiungersi alla galleria di stelle scopriamo anche tanti toscani. A partire da Fino Fini, ovviamente. Con lui ci sono l’arbitro fiorentino Gianluca Rocchi, il pisano Romano Fogli (anche se in realtà, a voler essere precisi, è nato e morto a Santa Maria a Monte) e colui che è comunemente considerato il più grande libero della storia del calcio, cioè il livornese Armando Picchi.
La relazione con Picchi
“Chi è egoista non può giocare a calcio. Il calcio è generosità” disse Fino Fini, che quei valori cercò di trasmetterli ai tanti, tantissimi giocatori incontrati, conosciuti e curati nel corso della sua lunga carriere. Tra loro c’era anche Picchi, morto per un tumore a soli 36 anni. Fu proprio Fino Fini il primo ad accorgersi che qualcosa in lui non andava. A Livorno – città in cui è amato e in cui è cresciuto anche sportivamente – la sua memoria è costantemente viva, riflessa nel nome dello stadio e nei gabbioni dove ancora oggi si continua a giocare a calcio respirando salmastro.
Gli altri nomi che entreranno a far parte della Hall of fame della Figc sono Alessandro Nesta, Karl-Heinz Rummenigge, Barbara Bonansea, Giovanni Sartori, Vujadin Boskov e Simon Kjaer, che dopo aver soccorso e fatto da scudo al compagno di squadra Christian Eriksen colpito da un malore agli ultimi europei si aggiudica il premio intitolato a Davide Astori.
Sportivamente toscani
Infine ci sono tre grandi personaggi che, pur non essendo toscani, hanno conosciuto, giocato e allenato qua. A cominciare dalla stella più brillante: Luigi Simoni. Gigi, così lo chiamavano tutti, è morto a Pisa dopo essere cresciuto da calciatore proprio nelle giovanili della Fiorentina. Da allenatore, invece, si è seduto sulle panchine di Pisa, Empoli, Carrarese, Siena e Lucchese. Nella Hall of fame anche Antonio Cabrini, la cui carriera di allenatore è iniziata ad Arezzo. E così è stato anche per Antonio Conte: prima vice a Siena, poi allenatore ad Arezzo.
Cannavaro e quella promessa mantenuta
Tutti i premiati i premiati consegneranno un ricordo della loro carriera al Museo del calcio, che metterà in mostra i cimeli che andranno ad aggiungersi a una collezione già ricca. Tra quei cimeli ci sono anche moltissimi oggetti usati e appartenuti a Fabio Cannavaro durante il mondiale vinto dall’Italia nel 2006. E sapete perché? Si trattava di una promessa fatta (e mantenuta) a Fino Fini. “Vinceremo. E quando ci rivedremo dopo il Mondiale donerò al Museo il completo utilizzato in finale” disse Cannavaro al Fini prima di partire per la Germania. E così fu.
Ancora oggi la maglia del capitano, quella che indossava quando ha alzato al cielo la Coppa del mondo, è ancora conservata e in mostra al Museo. Fino Fini è morto quattordici anni più tardi, il 16 settembre 2020. Aveva 92 anni. “La sua scomparsa è una grave perdita per il nostro movimento” disse quel giorno il presidente federale Gabriele Gravina. “Voglio ricordarlo per l’attenzione, che sconfinava quasi nella gelosia, con cui si prendeva cura dei cimeli del Museo, di cui conosceva benissimo l’origine e l’epica che amiamo celebrare”.