La sua vita sembra quasi un film, un ragazzino che va in skate e ascolta il punk-hardcore che diventa uno dei musicisti sperimentali più apprezzati d’Europa e si trasferisce da Verona a Berlino per proseguire il suo percorso artistico a livello internazionale.
Batterista, compositore e musicista sperimentale, Andrea Belfi ha costruito negli anni un linguaggio sonoro estremamente personale, facendo interagire un essenziale set di batteria con un altrettanto minimale set elettronico e miscelando così i suoni acustici con le infinite possibilità offerte dai supporti digitali.
Ha collaborato, in studio e sul palco, con artisti del calibro di Nils Frahm, Mouse on Mars, Jóhann Jóhannsson, Mike Watt, Circuit des Yeux e David Grubbs. Ha suonato alla Philharmonie de Paris, al Montreux Jazz Festival, al The Greek Theater (Los Angeles), all’Unsound Festival (Cracovia), al Barbican Center (Londra), alla Issue Project Room (New York), al CTM Festival (Berlino), alla Fondazione Prada (Milano).
Nel 2019 è stato invitato da Thom Yorke ad aprire i concerti del Tomorrow Modern Boxes tour.
Il suo ultimo progetto “Eternally Frozen” propone una serie di composizioni che nascono dall’utilizzo del canone, un’antica tecnica in cui una melodia iniziale è imitata da una o più parti in specifici intervalli di tempo, ricreando una sorta di ciclo infinito di ripetizioni.
L’opera si ispira al Deprong Mori, un pipistrello che secondo la mitologia era in grado di piegare gli atomi e volare attraverso la materia solida grazie alla sua naturale capacità di eco-localizzazione.
Un esemplare del Deprong Mori è conservato nel Museum of Jurassic Technology di Los Angeles, “eternamente congelato” in un muro di piombo, costruito nel 1952 da un ricercatore della Rockefeller University, Donald R. Griffith, per studiare le capacità del volatile.
Sabato 30 settembre Andrea Belfi sarà in concerto al PARC di Firenze, all’interno del cartellone di Fabbrica Europa, insieme al musicista e compositore Hilary Jeffery che suona il trombone, la tromba, la tuba e il pianoforte.
Ecco la nostra intervista a Andrea Belfi
Ciao Andrea, la tua storia sembra un po’ una favola, eri un ragazzino che a Verona andava in skate e amava il punk e poi sei diventato uno dei più interessanti musicisti italiani. Chi ha amato il punk se lo porta dentro per sempre, sei d’accordo?
Più che a livello musicale la mia formazione punk e hardcore è stato tutto quello che si relaziona al ‘do it yourself’, facevamo le fanzine, facevamo dischi, avevamo mille band, si era creata una comunità. Tutto questo aspetto è stato fondamentale nello sviluppo di quello che è stato il mio percorso al di fuori di una logica esclusivamente commerciale. Ho sviluppato questo aspetto idealista e allo stesso tempo tanti valori, questo mi ha portato ad essere sempre molto curioso, a fare cose, ad ascoltare un sacco di musica. I primi concerti li ho ascoltati al Circolo culturale anarchico Pecora Nera a Verona. Eravamo veramente quattro gatti ma ha fatto tanto la differenza quel tipo di attitudine e approccio all’esistenza, alla cultura, all’ascolto della musica e al rapporto con gli altri, è stato molto importante. Musicalmente adesso faccio un po’ fatica ad ascoltare le cose che ascoltavo al tempo. C’è qualcosa che sopravvive, ma poca roba.
forse può sembrare un po’ arrogante ma non lo è, io faccio musica perchè mi piace fare musica. Mi sembra naturale
Poi sei andato a vivere a Berlino una città che da tanti anni attira musicisti e artisti, come mai? Non credo sia solo un discorso economico, ma anche culturale
Assolutamente, onestamente è ancora la capitale che ti permette di farlo, senza dover fare sette lavori come a Parigi o a Londra. Magari te ne basta uno (ride). Quando sono andato su io era sconvolgente quanto poco si dovesse produrre per campare. Adesso funziona diversamente ma allo stesso tempo c’è un’offerta e una quantità di persone che fanno cose motivate, è una città che è esplosa a livello culturale e musicale. A livello artistico è una città che da tantissimo.
Ti ho sentito suonare molti anni fa e rimasi stupita da come una persona sola potesse produrre il flusso sonoro che stavo ascoltando, come ci riesci?
Intanto c’è una questione, i batteristi imparano molto bene la coordinazione. Una cosa che fanno i batteristi è coordinare mani e piedi e anche l’indipendenza tra gli arti. Per cui c’è molta tecnica, quello è un fattore sostanziale, poi c’è anche il fatto che a me è sempre piaciuta la combinazione tra elettronico e acustico e tutte le varie sfaccettature, l’ibridazione come quando l’acustico sembra elettronico e viceversa quando l’elettronico viene riportato in ambienti più acustici attraverso applicazioni particolari.
Un batterista solitamente suona in un gruppo, invece quasi da subito hai deciso di diventare un batterista solista, sperimentale, come mai hai preso questa strada?
Ho preso questa strada perchè molto semplicemente non c’era nessun altro che voleva fare la musica che mi piaceva. A Verona ero solo, cioè ero l’unico che ascoltava la musica che ascoltavo io purtroppo. O meglio c’erano un paio di persone della vecchia scuola ma sconnessi dai nuovi linguaggi. Ho sviluppato il solo per poter poi relazionarmi con gente a Milano come Giuseppe Ielasi o a Bologna come Stefano Pilia, Valerio Tricoli. Il solo parte dalla necessità di fare la musica che volevo io con le risorse che avevo in quel momento.
Passando a parlare del tuo ultimo progetto “Eternally Frozen” che si ispira al Deprong Mori questo misterioso pipistrello congelato nel piombo che è conservato nel Museum of Jurassic Tecnology di Los Angeles, non sono però riuscita a capire se sia reale e o se sia un fake…
È sicuramente un fake, è lì il bello. In quel museo ci sono tante cose vere che vanno al di là della nostra immaginazione, come miniature delle sculture fatte con dei capelli. Ci sono oggetti reali al limite dell’impossibile e, viceversa, ci sono cose impossibili al limite del reale, si gioca sempre sul filo tra reale e irreale. Una mia amica musicista Carla Bozulich una volta mi ha detto che dovevo assolutamente visitare questo museo senza dirmi nient’altro. Sono andato ed è un posto dove quando posso torno sempre, è magnifico, un museo che in realtà è una wunderkammer a tutti gli effetti. Mi ha affascinato moltissimo la storia di questo pipistrello, sono andato a leggere tutto il possibile, ma in realtà c’è veramente poco. Questa leggenda mi ha ispirato.
Come lavori alla composizione? Io ti immagino al computer
Non proprio, questo disco in particolare l’ho composto molto velocemente, mi sono messo al lavoro e in una sola sera ho scritto tutte le melodie e i canoni. Sono entrato in studio con un trio di fiati portando già un’idea compositiva e l’ho sviluppata ascoltando il loro suono.
Quando parti per un progetto di composizione, ti immagini un pubblico o è qualcosa che viene da dentro di te, lo fai cioè per te stesso?
Questa è un’ottima domanda, in realtà non lo faccio per un pubblico, sennò sarei più strategico su come e quando far uscire dei dischi (ride). Però c’è anche da dire che ci sono alcuni aspetti del mio fare musica in cui invece tengo in considerazione le persone a cui parlo. Nel caso di quest’ultimo progetto era proprio qualcosa che volevo fare, volevo lavorare col suono dei fiati perchè adoro il suono di questo trio. L’ho fatto per me, forse può sembrare un po’ arrogante ma non lo è, io faccio musica perchè mi piace fare musica. Mi sembra naturale.
Nel 2019 hai aperto le date del tour europeo di Thom Yorke, cosa ci puoi raccontare di questa esperienza?
È stato veramente emozionante per me. Ho fatto 10 date in Europa e 14 in Nord America tra Canada e Stati Uniti. È stata un’esperienza molto lunga che mi ha preso quasi tutto il 2019. Non capita tutti i giorni di essere invitato ad aprire i concerti di Thom Yorke. A me piace moltissimo quel disco, mi sono visto tutti i live. A volte ci si dimentica che è davvero un musicista incredibile, per come suona il basso, la chitarra, come canta. Ho una grandissima ammirazione per lui. È stato un momento cruciale della mia vita.