“Il rap è una passione bellissima da praticare anche solo per sé, è terapeutica, aiuta a tirare fuori parti di se stessi. Io grazie al rap sono riuscito a dire cose che non sarei mai riuscito a dire in altra maniera. Mai sarei riuscito a confessare cose che sono riuscito a confessare tramite un testo. E’ la maschera dell’artista, a volte le maschere rivelano. Molti pensano che la maschera nasconda, invece quando la indossi e ti senti al sicuro puoi far uscire tante cose di te che non faresti uscire diversamente.”
Sono queste le parole del rapper Anastasio vincitore di X-Factor 2018 e protagonista del “Rap Talk. Nuovi linguaggi della comunicazione giovanile” condotto da Deiv Agazzi e organizzato da Controradio in collaborazione con la Regione Toscana in occasione della Giornata mondiale della voce.
“In futuro vorrei fare qualcosa che prima d’ora col rap non è stata mia fatta – ha proseguito – Ho un grosso progetto, sto pensando in grande. Non posso dire nulla perchè i tempi non sono maturi, questa cosa non la sa neanche mia mamma, ma quando il settore ripartirà cercherò di realizzarlo. Vorrei portare il rap al di fuori dal rap. Vorrei fare altro da rap ma col rap. Perchè è una tecnica super espressiva ed è limitante trattenerla a forza nel suo immaginario, deve uscire dalla sua comfort zone”.
Enzo Brogi presidente del Corecom ha introdotto il tak affermando: “Mi incuriosisce molto ragionare sul linguaggio, mi sembra giusto cercare di comprendere qual è il linguaggio contemporaneo della comunicazione giovanile. Credo che sia tanto quello che i giovani hanno da esprimere col loro linguaggio. Io sono cresciuto con la musica di protesta nei primi anni ’70, oggi però vedo nel rap anche tanta politica. Sono canzoni che nascono nelle periferie e rappresentano un modo molto incisivo di raccontare la realtà. Un po’ come facevano nel secolo scorso nelle aie i cantori toscani in Ottava Rima.
Agnese Pini direttrice de La Nazione ha fatto un paragone interessante tra rap e giornalismo: “Le regole della pandemia sono il contrario dell’essere giovani. Quando si è giovani la scuola è l’unico modo per confrontarsi e vedersi attraverso gli occhi degli altri. Privarli di tutto questo è aver tolto qualcosa che non potrà essere recuperato. Il rap e la trap raccontano moltissimo di questa generazione sfortunata. Nella mia adolescenza la moda era il pop, il rap c’era ma era molto di nicchia, erano davvero pochi quelli che lo ascoltavano e sembravano anche un po’ strani. C’era una sensibilità diversa in chi faceva hip-hop erano i miei compagni più sensibili, a cui piaceva scrivere e anche a me piaceva scrivere. Il rap era un po’ come il giornalismo, parlava di cose che forse non volevi sapere o non sapevi. Allora forse il rap era più allegro, più scanzonato, oggi sento un velo di malinconia in questo genere musicale. Sicuramente porta i ragazzi a mettersi tanto in discussione. Nella trap e nel rap c’è più verità e c’è allo stesso tempo più accettazione. Si accetta cioè il fatto di essere diversi, magari immigrati come Ghali. A me piace molto Madame perchè riesce a parlare di se stessa. I sentimenti sono universali e quando sono autentici nella musica si trasformano in capolavori.”
Antonio Mazzeo presidente del Consiglio regionale della Toscana ha dichiarato: “La musica come mezzo di comunicazione fa parte della vita quotidiana di ognuno di noi. Per me è un veicolo potente di emozioni e messaggi forti che hanno segnato le varie fasi della mia vita. Il rap oggi è la colonna sonora dei giovani e un po’ a che la nostra. I giovani raccontano la loro vita, il loro problemi con un linguaggio semplice, diretto, privo di censure ed è per questo che ha avuto così successo in questa fase storica. Il rap è uno specchio che riflette la realtà nei suoi lati positivi o negativi. Io amo l’album di Marracash ‘Person’a un disco stupendo concentrato sul concetto del doppio, attraverso l’incontro tra l’artista e la persona. Noi adulti spesso non non abbiamo le lenti per vedere quello che accade, voi giovani potete aiutarci a scrivere una Toscana che sarà molto diversa da quella di oggi.”
Cat Cooperativa Sociale
Daniele Bertusi di Cat Cooperativa Sociale, ha raccontato la sua esperienza dei laboratori di rap negli istituti penitenziari, una realtà attiva dal 2001 in Toscana. “Per noi il rap è uno strumento educativo, abbiamo iniziato a usare questo linguaggio proprio perchè era il linguaggio dei ragazzi. Siamo noi adulti che ci siamo approcciati alla loro musica, partendo da una cosa loro che li attrae naturalmente ci siamo inseriti cercando di usare il loro linguaggio. Per noi è uno strumento educativo più che artistico. Il rap è una musica che ha una grossa forza attrattiva, è la musica che i ragazzi ascoltano, è un’attività naturale per loro. Ha una bassissima soglia di accesso non ha bisogno cioè di pre-condizioni come studiare uno strumento e la musica. Per fare rock devi conoscere gli accordi, per fare rap non ti serve niente, neanche essere intonato.
Il nostro è un approccio maieutico perchè noi forniamo ai ragazzi uno strumento espressivo con delle regole che loro devono seguire, questo è molto importante. Bisogna stare sul ritmo e sulla rima, deve venire fuori una cosa ascoltabile, è una regola dentro la quale devono stare. Ma all’interno della canzone possono dire tutto quello che vogliono. Vengono fuori delle storie abbastanza estreme che parlano della loro vita. Spesso nascono anche canzoni d’amore perchè i ragazzi in carcere parlano di quello che gli manca cioè una ragazza e a volte la mamma.
Loro vivono un senso di invincibilità, immortalità, lotta titanica contro l’oppressione, sfida al sistema costituito e alle istituzioni. La vita criminale è una fascinazione il nostro lavoro di educatori è proprio su questo. Una volta che hanno messo il testo nero su bianco cerchiamo di farli riflettere sulla loro vita, sui loro sbagli. Può essere divertente pensare alla rapina e alla fuga da film sulla scooter però poi guarda dove sei andato a finire. Si cerca cioè di far riflettere i ragazzi sulle conseguenze delle loro azioni.”