In cosa differiscono i neuroni di una persona amante del rischio da quelli di una persona prudente? A svelarlo è lo studio realizzato dall’Istituto di Biorobotica della Sant’Anna e dall’Aou di Careggi e pubblicato su Movement Disorders, che ha trovato tracce di questa differenza in un’area del cervello.
I neuroni modulano la tendenza al rischio
Capire come l’attività del nostro cervello ci porta a prendere una decisione piuttosto che un’altra infatti è una delle grandi sfide della neuroscienza. Anche di fronte a scenari incerti, il nostro cervello si trova valutare i rischi e le opportunità che ci offrono le diverse opzioni, ma qual è il meccanismo cerebrale che ce lo permette?
Una rete di piccole strutture di neuroni (i gangli della base) aiuta la corteccia a controllare i nostri movimenti e, secondo studi recenti, anche i nostri comportamenti, modulando la tendenza al rischio.
Purtroppo nei pazienti affetti da Parkinson i gangli della base non funzionano più correttamente e le conseguenze sono molto gravi non solo sui movimenti, ma anche sui processi decisionali, determinando un disturbo del controllo degli impulsi che aumenta l’attrazione verso tutto ciò che è rischioso.
Lo studio della Sant’Anna e di Careggi
Per capire i meccanismi alla base di questa patologia, l’Istituto di BioRobotica della Scuola Superiore Sant’Anna e l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Careggi, in uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Movement Disorders, hanno registrato e confrontato l’attività di singoli neuroni nei gangli della base di pazienti parkinsoniani con o senza disordini del controllo degli impulsi. Le differenze emerse hanno permesso di creare un algoritmo in grado di identificare i pazienti con disordini basandosi soltanto sull’osservazione dei loro neuroni.
“I nostri risultati – spiega Alberto Mazzoni, coordinatore dello studio e responsabile scientifico del Laboratorio di Neuroingegneria Computazionale dell’Istituto di Biorobotica – confermano che l’area che abbiamo studiato ha un ruolo di freno per le decisioni rischiose, ed è quindi fondamentale nel processo decisionale”.
Inoltre l’indebolimento delle attività parkinsoniane dei neuroni suggerisce che forse il Parkinson può colpire o allo stesso modo i circuiti motori e quelli decisionali, o soltanto quelli motori. Nella minoranza dei pazienti per cui è vero questo secondo caso, i farmaci per il Parkinson potrebbero ristabilire una attività normale nei circuiti motori ma mandare fuori strada i circuiti decisionali, e quindi far insorgere questi disordini.
Un algoritmo che svela la tendenza al rischio
“Identifichiamo le persone con tendenza al rischio grazie alla diminuzione nei loro neuroni dell’attività intermittente comunemente osservata nei pazienti parkinsoniani” spiegano Federico Micheli e Matteo Vissani, i due studenti della Scuola Superiore Sant’Anna che hanno sviluppato l’algoritmo.
“Questo studio rappresenta un passo con importanti implicazioni cliniche che consentirà di attuare una terapia estremamente personalizzata per ogni paziente” commenta Silvia Ramat, responsabile della Parkinson Unit dell’AOU di Careggi.
“I meccanismi che abbiamo identificato possono consentire di sviluppare tecniche per curare alcuni sintomi comportamentali del Parkinson, oltre a quelli motori – conclude Alberto Mazzoni – e allo stesso tempo ci danno un quadro più chiaro del ruolo delle varie aree del cervello nel processo decisionale”.