Risale al 1011 il primo documento che attesta la presenza di un monastero nei pressi del fiume Arno, già navigabile nell’XI secolo, fondato dal conte Lotario dei Cadolingi. L’abbazia di San Salvatore a Badia a Settimo è un piccolo scrigno.
La sua storia, i passaggi di proprietà l’hanno aperta nei secoli alle sensibilità di diverse arti, per secoli protagonista della storia economica, politica, spirituale e culturale della Firenze medievale e rinascimentale, l’abbazia ha vissuto anche periodi di grande difficoltà, con frammentazioni e divisioni ma dal 2020 è oggetto di un importante lavoro di restauro che sta restituendo al mondo ritrovamenti di grande valore storico e archeologico, al punto che per qualcuno questo tesoro sepolto sotto strati di fango nel territorio di Scandicci potrebbe essere paragonato a Pompei, in realtà la chiamavano già la “Pompei del Medioevo”.
Gli ultimi ritrovamenti sono dei giorni scorsi, si tratta di un antico sepolcro, probabilmente degli abati che la vivevano e la testa di un Cristo in terracotta, presumibilmente riferibile ad un busto della seconda metà del Quattrocento .
L’abbazia di Settimo continua insomma a restituire tesori nascosti, solo un anno fa era tornato alla luce il ponte di accesso al lato sud dell’abbazia, oggi queste nuove scoperte di grande interesse e valore.
Nei giorni scorsi, infatti, in seguito alla rimozione della pavimentazione moderna della sala capitolare, sotto uno spesso strato di sabbia e detriti, è emerso quello che è stato identificato come l’antico sepolcro degli abati e all’interno sono stati rinvenuti, “tra strati di fango ancora umido, più di 20 scheletri sovrapposti l’uno su l’altro il cui studio rappresenterà una ricca fonte di informazioni sullo stile di vita dei monaci dell’abbazia in un periodo di tempo che copre diversi secoli” , hanno spiegato in occasione della presentazione dei ritrovamenti.
A poca distanza dal sepolcro, tra frammenti di ceramiche ed elementi robbiani invetriati, è stata trovata la testa del Cristo in terracotta: restaurata è stata riconsegnata alla Badia.
Come dicevamo la storia dell’abbazia di Settimo è una storia di grande lustro e di vivacità culturale ma agli anni di splendore si sono alternati ad anni di grande difficoltà: fra questi il terribile assedio delle truppe di Carlo V del 1530 e le distruzioni provocate dalle alluvioni dell’Arno, in particolare quelle del 1333 e del 1557. Dal 1600 l’Abbazia si avviò verso un graduale declino fino alla soppressione operata nel 1783 dal granduca Pietro Leopoldo che portò alla divisione in due parti del complesso monastico: un terzo fu ridotto a semplice parrocchia di campagna mentre i restanti due terzi furono acquistati da una ricca famiglia del luogo e adibiti a villa e fattoria. Fortunatamente nel 2019, dopo decenni di abbandono la svolta, grazie all’impegno del priore, don Carlo Maurizi e dell’imprenditore Paolo Nocentini, è stata possibile la riunificazione del complesso e l’avvio del progetto di restauro. Un impegno che i ritrovamenti che ogni anno emergono dal fango stanno ripagando.