Sabato 13 aprile al Glue Alternative Concept Space di Firenze tornano in concerto dopo una lunga pausa dal palco gli A Toys Orchestra che presenteranno “Midnight Again”, il nuovo album pubblicato lo scorso 22 marzo. In apertura il dream-pop dei toscani oodal.
Punto di riferimento del panorama rock alternativo fin dall’esordio, gli A Toys Orchestra vanta centinaia di concerti in Italia e all’estero, con importanti partecipazioni a festival europei come l’Eurosonic Noorderslag in Olanda o il Reeperbahn Festival in Germania.
“Midnight Again” vede dodici tracce, capaci di raccogliere i pensieri, gli spunti e le suggestioni che si sono susseguiti negli anni di stasi, con uno stile tra soul e blues-rock in un quadro sonoro dalle atmosfere internazionali.
Per le registrazioni dell’album la band si è affidata a una produzione per larga parte analogica, lavorando tra gli amplificatori del Vacuum Studio di Bologna, una scelta dettata dalla volontà di restituire in ognuna canzone quell’urgenza espressiva e quella verità che da sempre ha caratterizzato la musica degli A Toys Orchestra.
Ecco la nostra intervista al cantante Enzo Moretto
Ciao Enzo, siete insieme da 26 anni, avete fatto nove album, avreste mai immaginato che questa esperienza sarebbe durata così a lungo?
In realtà il tempo è ingannevole alla volte, scorre velocemente. Fa impressione anche a me sentire queste cifre, forse il trucco è stato non pensarci, durante questo tempo, lasciare che le cose accadessero e basta senza focalizzarsi sul tempo che passava. È bello però sapere che un grande pezzo della nostra vita è andato avanti facendo quello che abbiamo creato e che volevamo fare.
La musica è diventata una forma di espressione della mia quotidianità, della mia vita vissuta nel personale oltre che nel pubblico
Il vostro ultimo disco, Midnight Again, uscito da pochissimo ha un impasto particolare, è stato definitivo il vostro disco più “americano”, anche perché siete andati a recuperare tecnologie analogiche che ricordano appunto un certo sound americano
Sì, in parte è dovuto al tipo di registrazione che appartiene a molti artisti USA. Dagli anni 2000 in avanti siamo abituati a sentire un suono più digitale, con altri tipi di tecniche. Visto che durante la scrittura del disco, mi sono reso conto che stavo attingendo in maniera involontaria dal soul, dal funk e da un certo tipo di cantautorato americano, mi è sembrato a quel punto giusto dover assecondare le canzoni. Non volevo fare un revival, ma cercare quella che forse la natura più giusta delle canzoni unendola alla nostra idea di arrangiamento, e quella che era la nostra idea di disco. In realtà abbiamo anche lasciato che le cose accadessero in studio senza progettare troppo anticipatamente quello che volevamo fare. Siamo andati in studio anche con altri musicisti, fiati, archi e cori e abbiamo cominciato a registrare alla vecchia maniera, con supporti che non ti danno la possibilità di fare mille ritocchi, ma devono catturare quello che succede in real time.
Qual è il tema di questo disco? A me sembra il tempo che passa
Il tempo è sempre stato una mia ossessione, a 23 anni ho scritto la canzone “Peter Pan Syndrome”, è sempre stato qualcosa che mi ha un po’ ossessionato. Sicuramente c’è il tema del tempo o della gestione del tempo, se si pensa a un singolo come “Life starts tomorrow” è eloquente già dal titolo. C’è dentro della procrastinazione, la difficoltà a gestire il tempo soprattutto in un periodo storico come questo in cui sei costretto a correre dietro al tempo. Sicuramente il tempo è uno degli elementi dentro al disco ma c’è anche tanto altro, è una fotografia di un periodo storico nel quale ho scritto queste canzoni.
Proprio in “Life starts tomorrow” tu canti “Italian rock music make me sick” una frase provocatoria che ha fatto alzare le antenne a molti, qual è il senso di questa ‘frecciatina’?
Mi sono divertito a fare la parte dell’antipatico, ma ho cercato di farlo simpaticamente perché è una gag alla fine. Nella frase dopo quando dico “è colpa mia paisà” voglio indicare che noi stessi siamo parte dell’italian rock. Quindi mi piaceva creare questo controsenso in maniera provocatoria, tra il serio e il faceto.
Il 22 marzo siete tornati a suonare dopo tanto tempo sul palco del Locomotiv a Bologna, era la prima data del tour, com’è andata?
È stato incredibile, eravamo emozionati come se fosse la prima volta, nonostante le migliaia di concerti che abbiamo macinato in tutti questi anni. Eravamo molto molto carichi ma anche tesi. Devo dire che però una volta sul palco sono bastati 10 minuti per riagganciarci con quello che è stata sempre la nostra vita e ritrovare un pubblico che ancora oggi ci da le stesse emozioni, ci avvolge nel calore, nel supporto. È stato molto bello anche perché eravamo a casa nostra a Bologna, al Locomotiv che è un luogo a noi molto caro. La sala era strapiena, è stato bellissimo tornare così dopo sei anni. Il nostro pubblico ce lo teniamo bello stretto.
Ultima domanda un po’ marzulliana che cos’è per te la musica?
Se dovessi descriverla in generale mi perderei in grandi banalità oppure direi che la musica sono delle vibrazioni che ti arrivano dentro e poi succede qualcosa di chimico. Per me la musica è quasi un riflesso incondizionato. Prima parlavamo del pubblico che ci segue, questo è un grande dono che abbiamo avuto dalla musica. Devo dire però che se anche un giorno dovesse malauguratamente succedere che non dovessi più fare musica pubblicamente, sicuramente continuerei a scrivere, perché è qualcosa che scandisce le mie giornate. La musica è diventata una forma di espressione della mia quotidianità, della mia vita vissuta nel personale oltre che nel pubblico. È questo per me.