«Mi hai detto che non saremmo andati a messa…». La protesta del bimbo non è poi così ferma e decisa. Nelle sue parole c’è soprattutto un senso vago di delusione. «Non siamo qui per la messa, ma per il concerto», lo rassicura il padre spingendolo dentro.
Nella chiesa di San Pietro, a Luco di Mugello, il tempo sembra essersi fermato. Nonostante una temperatura più rigida di quanto la stagione dovrebbe essere disposta a concedere, in questo sabato inedito che precede quasi casualmente la domenica delle palme, il paese si è stretto attorno al Monastero Camaldolese. La gente freme, bramosa di partecipare. Anche nel bar di fronte alla chiesa non si parla d’altro. «Stamani sono venuti anche da Firenze» dicono tra loro per indicare la presenza della Regione Toscana e del Maggio Musicale Fiorentino.
L’occasione, per la comunità di Luco, è irrinunciabile. In quelle stanze e lungo quei corridoi, attorno ai chiostri e lungo la strada, gli abitanti di quella località di Borgo San Lorenzo hanno vissuto momenti di gioia e di dolore, di speranza e di grande attesa. Perché quello era il loro ospedale. A guardarlo oggi, quel complesso architettonico in decadenza, sembrerebbe impossibile anche solo da immaginare. Eppure lì sono nati molti degli abitanti di Luco e Borgo San Lorenzo. Sindaco compreso. Ognuno ha un ricordo, un’esperienza privata da condividere.
Forse è proprio a causa di questa endemica empatia che tutti volevano vedere e toccare di nuovo con mano quelle pietre e quei mattoni. L’edificio, per il Mugello, non è solo un’opera architettonica ma molto, molto di più. Attorno ai quei muri si è dapprima sviluppata la comunità cui appartengono. Attorno a quei muri si è mossa l’economia del paese, almeno fino a quando il monastero femminile – il primo a ospitare le monache camaldolesi – è stato un ospedale. I lavori ebbero inizio nel 1086, e solo otto secoli dopo (nel 1871) fu inaugurato il sanatorio, rimasto attivo fino al 1971, anno nel quale fu poi trasformato in presidio ospedaliero. Poi più niente.
Ma tempo, ormai, la struttura è in stato di abbandono. Chiuso l’ospedale ha avuto inizio il processo di declino. Ma i mugellani, quel luogo, non l’hanno dimenticato. Nel tempo è stato oggetto di accesi dibattiti politici, perfino di scontri. Nessuno voleva che crollasse a causa dell’incuria. Eppure era proprio quello il rischio più grande. Anche i tentativi di vendita non sono andati a buon fine. «Avreste voluto che finisse in mano ai privati? E se lo avessero trasformato in un centro commerciale o in un albergo?» chiediamo agli abitanti di Luco. La loro risposta è tanto spiazzante quanto lucida: «Qualsiasi cosa pur di non vederlo crollare…».
Ora l’ex ospedale, nonché ex convento, è di proprietà della Fondazione del Maggio Musicale Fiorentino dopo il trasferimento da parte della Regione, che ha dapprima ottenuto l’immobile dall’azienda sanitaria e poi ha stanziato mezzo milione di euro per il primo lotto dei lavori che prevedono la messa in sicurezza e il recupero di alcune aree di particolare interesse. Si comincerà con le cappelle, gli altari, il tetto e le facciate. Ma per l’appalto sarà necessario attendere il 2020. Per il momento è inizia la messa in sicurezza, che di fatto ha permesso l’eccezionale (e parziale) riapertura del complesso monumentale. «A vedello mi piglia male allo stomaco» sussurrano alcuni abitanti di Luco in attesa di entrare nel chiostri impalcato.
Al di là del valore storico e architettonico, stiamo parlando di una superficie coperta di 3.500 metri quadrati e di 5mila metri esterni di pertinenza. Uno spazio enorme che ora rientra nella destinazione d’uso turistico-ricettiva. Per il secondo lotto dei lavori saranno però necessari 1,5 milioni di euro. Fondi che la Regione Toscana si è impegnata a trovare.
Tutto questo suona come musica alle orecchie dei mugellani, che la musica – in quel giorno – l’hanno sentita davvero. Sì, perché la Fondazione del Maggio non è solo titolare sulla carta. Ha voluto presentarsi al paese di Luco con un concerto. Mentre i fasci di olivi erano ancora accatastati sotto il chiostro in attesa della benedizione, il sovrintendente Cristiano Chiariot presentava di fronte a una chiesa gremita – con i simboli sacri coperti da drappi viola, tutt’attorno – l’anteprima del Maggio Metropolitano e gli artisti dell’Accademia del Maggio Musicale Fiorentino. Un concerto di musica sacra con una selezione di brani di Bach, Handel, Rossini e Pergolesi. «Non è facile cantare al mattino» sembra giustificarsi Chiariot. Eppure quei giovani talenti non hanno accusato né l’ora né il clima.
Sono stati apprezzati e applauditi. Anche con battiti di mani scattati anzitempo. Ma questo, data la circostanza, non rappresenta certo un problema. Proprio per questo i nomi di quei giovani occorre ricordarli tutti. Chi sono? La pianista Serena Valluzzi, Julia Costa (mezzosoprano), Patrizio La Placa (baritono), Dave Monaco (tenore) e Ana Beatriz Machado (soprano). Anche loro, seppur con un ruolo che nulla ha a che fare con le opere di ristrutturazione, hanno avuto il merito di rendere questa giornata una giornata speciale.