Una politica aziendale improntata al risparmio che ha portato a omettere i controlli necessari per la sicurezza. È qui che si annida la responsabilità della strage ferroviaria di Viareggio del 29 giugno 2009, in cui persero la vita 32 persone, secondo la motivazione della sentenza d’appello che è stata depositata ieri. Più di 1.200 pagine dove i giudici spiegano il sistema di concause che hanno condotto a quella terribile notte e puntano verso una sola conclusione: la strage poteva essere evitata.
Nella motivazione si legge che l’ex ad di Rfi Mauro Moretti (condannato in appello a 7 anni come già in primo grado) è responsabile per “aver instaurato o non eliminato la prassi aziendale di omettere qualunque controllo sui carri stranieri” e per avere ammesso “la circolazione di carri del tutto privi di tracciabilità, anche non svolgendo o non facendo svolgere i controlli al momento di ingresso di tali carri sulla rete e al momento del rilascio dei certificati di sicurezza”.
I giudici spiegano che si trattava di una “precisa politica aziendale probabilmente diretta a limitare gli impegni di spesa per il settore merci, minoritario anche per Trenitalia spa nonchè fonte di minori guadagni, per investire piuttosto, anche in termini di sicurezza, nel trasporto passeggeri”.
Per la corte inoltre Moretti come ad di Rfi aveva “obblighi di ‘vigilanza alta’ sulle direzioni facenti capo alla sua figura”, motivo per cui non “è fondata la sua affermazione circa l’autonomia decisionale di quest’ultime”.
In appello, a differenza del primo processo, Moretti è stato dichiarato inoltre responsabile anche come ad di Fs, perché, per i giudici, avrebbe “omesso di compiere gli interventi” ritenuti “idonei per evitare il deragliamento del treno o quanto meno per evitare e ridurre le conseguenze catastrofiche”, a maggior ragione considerando che essendo stato ad di Rfi, era a conoscenza “sia della errata interpretazione delle norme” sulla tracciabilità dei carri esteri sia sulla mancanza di misure alternative, “come la riduzione di velocità nell’attraversamento delle stazioni complesse come quella di Viareggio, che venissero adottate quanto meno per i carri di cui si ignorava la vita pregressa”.
La Corte d’Appello di Firenze lo scorso giugno ha condannato 16 imputati, tra cui oltre all’ex ad di Ferrovie italiane Mauro Moretti anche gli altri vertici delle società coinvolte: Rfi, Trenitalia, Gatx, proprietaria del carro merci, e anche l’officina tedesca Jungenthal e la ditta italiana Cima: la prima aveva revisionato e la seconda aveva montato l’assile che, spezzandosi, quella notte fece deragliare il convoglio carico di gpl. Le cisterne erano quattordici: una si ruppe e fece fuoriuscire il gas altamente infiammabile, che si disperse ed esplose.
Ora manca solo la Cassazione per chiudere la complicata e lunga vicenda giudiziaria della strage di Viareggio e assicurare la giustizia che i familiari delle vittime riuniti nell’associazione “Il mondo che vorrei” chiedono da ormai oltre dieci anni.