Il calcio è il gioco più bello del mondo, ma è anche lo specchio delle tensioni e dei fantasmi della società in cui si gioca e quindi subisce spesso l’insidioso veleno del razzismo. Una minaccia che ha origine nei drammi che hanno attraversato la società europea nel secolo scorso e che ancora pulsa nel ricordo di quelle ferite. C’è infatti un filo che collega i maestri danubiani della Serie A epurati dal regime fascista in quanto ebrei agli ignobili attacchi contro campioni di oggi come Koulibaly e Lukaku. È quello che cerca di spiegare e raccontare il libro “Un calcio al razzismo. 20 lezioni contro l’odio” di Massimiliano Castellani e Adam Smulevich.
Venti storie tra passato e presente che in un percorso che spazia dal ruolo salvifico del calcio per i reduci dai lager all’abominio di chi oggi propaga odio nelle curve. Il lettore impara che fu una schedina, quella mitica del Totocalcio, il sogno di riscatto del giornalista Massimo Della Pergola quando si trovava in un campo di internamento in Svizzera. E fu un pallone che rotolava nel segno di una “Stella Azzurra” a ridare ad Alberto Mieli, sopravvissuto ad Auschwitz, la forza di restare in vita. Neppure i lager, infatti, riescono a fare a meno del calcio, come racconta Primo Levi in ‘I sommersi ed i salvati’ descrivendo la grottesca partita tra le SS e i membri del ‘Sonderkommando’, prigionieri che avevano l’atroce compito di aiutare i carnefici.
Ciao Adam! Prima di leggere il tuo libro non avrei mai pensato che il calcio e l’Olocausto avessero qualcosa in comune, invece ho scopetto la bellissima storia delle due partite raccontate da Primo Levi
Abbiamo pensato che poteva essere utile ricordare queste due partite che lui racconta nei suoi due libri ‘La tregua’ e ‘I sommersi e i salvati’ per riflettere su quanto nei 90 minuti di gioco ci sia il sunto delle varie esperienze della vita di Levi nei campi. La partita organizzata nel lager diventa un modo per cercare di mettere sullo stesso piano SS e Sonderkommando, come a dire ‘voi siete come noi’. È il tentativo di condividere un momento e alimentare l’umanità. Ne ‘La Tregua’ invece racconta una partita che si svolge tra italiani e polacchi, organizzata dai Russi per celebrare la fine del conflitto. Quella partita simboleggia la fine di un incubo e il ritorno alla vita, alla normalità, è commovente ed emozionante vedere come Primo Levi che era un essere umano come tutti, in quei novanta minuti fa il classico ‘italiano medio’ cioè per esempio ha da ridire sull’arbitraggio. Questo in un certo senso ce lo rende più vicino e lo avvicina anche ai giovani che magari ancora non lo conoscono.
Il calcio in Italia è molto amato ed è un po’ lo specchio della nostra società, forse anche perché ha un’ampissima copertura mediatica. Come mai ancora oggi persistono fenomeni di razzismo nel calcio
Proprio perché come dicevi riflette la società italiana di oggi che è molto superficiale, ha molti problemi irrisolti anche per il recente passato della sua storia e tutto questo emerge. Il calcio forse ha anche più problemi perché c’è stata una significativa sottovalutazione in questi anni delle problematiche. Per fortuna c’è anche una reazione, le istituzioni sembrano aver preso molto sul serio la questione. Anche perché parliamo sempre di minoranze, nessuno vuole colpevolizzare intere curve o intere tifoserie. È sempre un problema di cultura e di consapevolezza, non sorprende che poi l’Italia sia sempre ai primi posti delle classifiche mondiali per analfabetismo funzionale e della cultura di base. Lo stadio rende tutto questo piuttosto evidente.
Quindi secondo te il razzismo si lega alla poca cultura?
Molto spesso nella storia sembra che quando una società perde di vista i valori fondamentali è spesso un problema non solo di cultura ma anche di semplice consapevolezza civica. Esiste un problema di società deteriorata molto serio. In tutto questo lo stadio è stato un territorio abbandonato. Spesso le società sono state sotto ricatto di minoranze di tifosi. Mi ha molto colpito e segna un cambio importante di rotta l’iniziativa del presidente della Lazio qualche giorno fa che ha deciso di rivolgersi direttamente a tifosi individuati come razzisti, autori di saluti romani e altre amenità per il pagamento di una multa fatta dalla Uefa di circa 10 mila euro che per un club professionistico non sono niente. Il presidente è risalito grazie alle tecnologie ai responsabili e ha chiesto a loro di pagare. Questo è un cambio di mentalità importante. La tifoseria della Lazio è anche tra quelle più problematiche da tempo.
Nel vostro libro raccontate 20 storie, ce n’è una a cui sei particolarmente affezionato?
Sicuramente quella di Massimo Della Pergola che è l’inventore del Totocalcio. Lui era un grande giornalista, le leggi raziali del ’38 lo mettono alla porta, come accadeva a tanti, perché era ebreo e perse ogni prospettiva lavorativa. Dopo varie peripezie per nascondersi dai nazifascisti, riesce ai limiti del miracolo a rifugiarsi in Svizzera con la sua famiglia. Nei mesi che trascorre in un campo di internamento, lui che avrebbe tutte le ragioni per avere un conto più che aperto con la sua nazione che lo ha tradito, in una situazione non semplice, in un luogo di forte degrado, in cui gli italiani non erano trattati molto bene, in questo contesto complesso si arrovella su un sistema per cercare di risollevare le sorti del calcio italiano. Pensa a qualcosa che potesse suscitare l’entusiasmo popolare e portare un po’ di fondi e risorse per far ripartire il gioco. Il suo primo pensiero in una situazione così difficile è stato un modo per far ripartire l’Italia. Non guardava solo al presente ma vedeva già il futuro. Il Totocalcio nasce così, mentre altri pensano alla mera sopravvivenza. Lui ha lasciato una bellissima testimonianza in un libro che dovrebbe essere ristampato, di come nasce l’1X2. È un’idea che si concretizza in tempi molto rapidi, perché la prima schedina è del maggio del ’46 un anno dopo la liberazione. Parte in sordina ma poi diventa un grandissimo successo che nasce da quest’uomo che poi farà una grande carriera giornalistica. Mi sembra un bellissimo messaggio di partecipazione del mondo ebraico italiano che ha dato tanto in tanti campi.
Ti faccio un’ultima domanda, lunedì 27 gennaio sarai davanti a 7 mila ragazzi, io penso che l’educazione sia la cosa più importante di tutte, ma come si può trasmettere la storia del nostro passato ai giovani?
Raccontando storie, cercando di coinvolgere, trovando modi per destare l’attenzione. Penso che lo sport in questo senso sia davvero un linguaggio universale. Ho visto da poco al cinema un film stupendo ‘Jojo Rabbit’, servono anche vie nuove e originali per rinfrescare il messaggio perché il pericolo forte è quello della ritualità, dell’istituzionalizzazione, della retorica. Un rischio che in Toscana non si corre perché le istituzioni hanno fatto un lavoro straordinario però non è sempre così. È importante non lasciarsi allontanare dal numero delle vittime, le storie sono importanti, si deve lavorare sull’empatia, questa è la chiave secondo me.