“Donne capovolte. Piccole storie di grandi rivoluzioni quotidiane” è questo il titolo del libro pubblicato dalla casa editrice Le Lettere, a cura della giornalista Chiara Brilli che raccoglie le storie di donne, attrici, psicologhe, politiche, musiciste, che parlano dei loro piccoli o grandi sconvolgimenti. Violenze sessuali, stalking, divorzi, separazioni, conflitti familiari, traslochi, viaggi, cambimenti lavorativi, sono tutti momenti in cui fare i conti con se stessa e con le proprie scelte di vita, momenti in cui magari ci si sente sole, non capite, sbagliate, colpevoli, oppure semplicemente diverse e si è costrette a ribaltare il proprio punto di vista sul mondo.
Le autrici e Donne Capovolte sono: Giovanna Daddi, Francesca Fiorentino, Sara Dei, Claudia Bianchi, Cristina Scaletti, Chiara Brilli, Gaia Nanni, Luana Esposito, Danila Pescina, Diana Winter, Alessandra Gasperini, Angela Maria Motta, Silvia Cortelloni, Isabella Mancini, Susanna Bonfanti. Il libro si apre con una dedica di Lucia Annibali: “Quando la vita ci mette alla prova ci chiede di scegliere cosa vogliamo essere: persone che partecipano al tempo che verrà, che lo plasmano, che ne diventano padroni, oppure piccoli tasselli del puzzle della nostra esistenza che qualcun altro ha deciso dove e come incasellare. Ecco. È in quella scelta che possiamo distinguerci. Nel ricominciare. Nel rovesciare il tavolo del destino e rialzarsi, invece di soccombere”. I diritti risultanti dalla vendita del volume saranno devoluti a sostegno del progetto di imprenditorialità etica #ilfashionbelloebuono. Ecco la nostra intervista a Chiara Brilli.
Ciao Chiara! Quando ti è venuta l’idea di raccogliere tutte queste storie e come hai scelto le scrittrici?
Sono anni che rifletto personalmente sul concetto di capovolgimento (intimo, sociale, lavorativo e fisico) come chiave di volta per nuove consapevolezze. Cosa vuol dire ‘cadere’ perché spinti da altri o da noi stessi? Il cambio di stato, soprattutto se coincide con un rovesciamento ti costringe a guardare il mondo e te stesso con altri occhi. Ecco, io volevo che quegli occhi avessero anche la forza per individuare nelle cadute della vita una luce nuova per andare avanti e da cui ripartire. Le autrici del libro hanno condiviso con me questa visione, ognuna con la sua storia (autobiografica o inventata) e la propria testimonianza. Sono amiche, colleghe, anime a me affini che ho incontrato per strada e che hanno deciso di farne un pezzetto con me. Quando le ho fatte incontrare tutte per stabilire le varie tappe del progetto editoriale, molte non sapevano nemmeno chi erano le altre, non si conoscevano, ma né è scaturita un’armonia di intenti che reputo rara.
Ogni storia del libro è diversa l’una dall’altra, una cosa però che mi sembra le accumuni tutte è che tutte le donne prima o poi hanno dovuto fare i conti col ‘non sentirsi abbastanza’ o ‘non sentirsi all’altezza’ della situazione. Mi sembra un’esperienza che davvero ogni donna ha fatto almeno una volta se non più di una volta nella sua vita. Pensi che sia un problema di genere? Cioè una cosa che capita più spesso alle donne che agli uomini?
In realtà non ne faccio una questione di genere, anzi, vorrei proseguire questo percorso narrativo con degli “Uomini capovolti”. Però sono sicuramente partita da quello che conoscevo meglio: il mondo femminile raccontando e condividendo le situazioni più intime di difficoltà. Come dico anche della prefazione non volevo raccontare le donne come eroine indistruttibili e che ne fanno mille, perché questa è la normalità… Volevo raccontare le crepe che a volte nella vita di ognuna di noi si creano producendo silenzi, sensi di colpa, chiusure, solitudini. Un progetto collettivo al femminile serviva proprio a dare un messaggio di positività. Non siamo sole e nemmeno fragili, dobbiamo solo capire che possiamo rialzarci. Non per essere come prima o come gli altri ci vorrebbero. Ma rinnovate in un equilibrio diverso.
Mi ha colpito molto il tuo racconto in cui prendi la decisione di non scendere a patti con un uomo che ha saputo solo distruggere, come scrivi, anche questa a volte è una scelta. Oggi si dice che il femminismo è sempre più inclusivo, si parla di transfemminismo, ma forse a volte è difficile se non proprio impossibile trovare un dialogo, che ne pensi?
Non sono una sostenitrice del dialogo a tutti i costi. Dei ponti che uniscono sempre. Soprattutto quando si parla di legami familiari, di sangue. Il poter prendere le distanze, compiere delle scelte di autonomia può essere la strada giusta per riappropriarsi della propria narrazione. Trovo che riconoscere che un rapporto è malato ci dia la forza di trovare la cura per noi stesse e non necessariamente pensando di aiutare anche l’altro. Troppo spesso le donne indossano una veste da infermiere, assistenti, madri surrogate dei propri compagni, mariti, padri… Per me è diventato basilare fare capire invece alle mie figlie che in un rapporto si dialoga e ci si confronta partendo sempre dal rispetto reciproco e con pari dignità di persone. Se si avverte che una di queste due cose viene meno, non c’è possibilità di costruire qualcosa di positivo.
Leggere tutte queste storie così diverse mi ha generato una sensazione particolare. Sono grata a tutte loro perché mettere ‘in piazza’ i propri traumi, le proprie insicurezze e i problemi mi fa capire che non sono la sola che a volte fa fatica a districarsi nella vita complicatissima che ormai ognuno di noi vive tutti i giorni. Forse le donne dovrebbero trovare più spesso occasioni in cui mettono a confronto le loro esperienze, anche al di là di quello che si fa tra amiche, cosa ne pensi?
Ti ringrazio perché mi dai conferma di uno degli intenti primari di Donne Capovolte. Come accennavo prima, non c’è caduta dalla quale non ci si possa rialzare se abbiamo gli strumenti giusti per capire con quale piedi riprendere il cammino. Magari la direzione della strada cambierà, magari invece che correre come prima cammineremo a passo lento. Ma sarà sempre un percorso che sappiamo di non fare in solitudine. Molte delle autrici, consegnandomi il loro racconto mi hanno ringraziato definendolo ‘terapeutico’ per loro e chi finora ha letto il libro mi ha detto di ritrovare in ogni racconto una nota che è riecheggiata dentro. Ci si riconosce in queste storie, perché ognuna di noi, almeno una volta nella vita si è capovolta. Amo dire che anche un vestito se lo metti a rovescio può avere una nuova vita, anche un pezzo di stoffa può fare parte di mille altre combinazioni. In questo Donne Capovolte ha avuto la fortuna di incontrare un altro bellissimo progetto al quale devolviamo ogni ricavato: #Ilfashionbelloebuono una start up pensata dalla stilista e psicologa Vivilla Zampini per creare momenti di formazione, sensibilizzazione, comunicazione rivolti alla giovani gfenerazioni sull’etica della moda e dell’economia circolare come il riuso dei materiali di scarto delle case di moda.
Il libro si apre con una dichiarazione di Lucia Annibali, la donna capovolta per eccellenza, colei che è rinata letteralmente dopo essere quasi morta a causa della violenza del suo ex, non so se l’hai incontrata di persona, ma ti chiedo cosa ne pensi di lei, del suo estremo reinventarsi
Ringrazio Lucia che tramite Vivilla ha ‘adottato’ Donne Capovolte, cogliendone lo spirito e sostenendone la nascita. La sua vita rende concretamente l’idea di come una donne possa cambiare ‘pelle’ rimanendo se stessa. Nonostante i capovolgimenti della vita e del suo corpo, è riuscita ad essere esempio di rinascita e di forza. Un’autodeterminazione che vale più di mille parole rovesciando”il tavolo del destino, invece di soccombere”.