Il cuore dell’atleta subisce delle importanti modificazioni in maniera diversa a seconda dello sport praticato e dello specifico tipo di allenamento che possono essere difficili da distinguere da alcune malattie cardiache. Lo dimostrano due studi effettuati dal professor Sergio Mondillo, direttore della UOC Cardiologia Universitaria dell’Aou Senese, insieme al cardiologo Flavio D’Ascenzi. Gli studi su questo argomento sono stati pubblicati su due prestigiose riviste internazionali, “JACC: Cardiovascular Imaging” e “Journal of American Society of Echocardiography”, e offrono importanti indicazioni per la valutazione del cuore degli atleti con ecocardiografia e risonanza magnetica cardiaca, con l’obiettivo di contribuire alla prevenzione della morte cardiaca improvvisa.
“La distinzione fra cuore sano e cuore patologico – spiega il professor Mondillo – è spesso possibile mediante accertamenti diagnostici appropriati che tengano conto di sintomi, familiarità ed alterazioni elettrocardiografiche. Talvolta la diagnosi è molto complessa e sono necessarie metodiche di imaging avanzato, utili a fornire informazioni per aiutare cardiologi e medici dello sport a riconoscere precocemente patologie che possano mettere seriamente a rischio la salute di chi fa sport”.
“La nostra ricerca ha analizzato tutti gli studi di imaging cardiaco mediante ecocardiografia e risonanza magnetica cardiaca degli atleti, disponibili a livello mondiale – spiega il dottor D’Ascenzi – ottenendo così un’ampia popolazione di atleti agonisti, dalla quale abbiamo ricavato valori di riferimento specifici per le dimensioni e la funzione del cuore destro e sinistro dell’atleta. Il cuore d’atleta infatti è tipicamente caratterizzato da un importante cambiamento indotto dall’allenamento intensivo. Tale cambiamento, spesso associato ad ipertrofia o dilatazione, può essere talvolta difficile da distinguere da alcune malattie cardiache che possono mettere a rischio la salute dell’atleta. I nuovi criteri forniti dalle nostre ricerche hanno l’obiettivo di aiutare i clinici nella distinzione fra l’adattamento cardiaco indotto dall’allenamento e la dilatazione o l’ipertrofia patologiche presenti nelle malattie a rischio di morte cardiaca improvvisa. Inoltre – prosegue D’Ascenzi – dal momento che il cuore si modifica in maniera diversa a seconda della disciplina praticata dall’atleta, i criteri che proponiamo sono diversi a seconda del tipo di sport”.
“In cardiologia – conclude Mondillo – ed in particolare nella valutazione clinica con le metodiche di imaging, siamo abituati a definire un cuore come normale, dilatato o ipertrofico in accordo a valori di riferimento ricavati dalla popolazione generale. Tuttavia questi valori sono ricavati da una popolazione sedentaria, che presenta un cuore tipicamente diverso da quello di un atleta agonista, e sono pertanto applicati con difficoltà al cuore dell’atleta che invece spesso è associato ad un incremento delle dimensioni o dell’ipertrofia in relazione allo stimolo dell’allenamento. Criteri specifici sono quindi necessari in questa popolazione”.
Le nuove ricerche sulle strategie di prevenzione della morte cardiaca improvvisa saranno oggetto di dibattito nel congresso internazionale “Cuore e Sport: fra competizione e prevenzione”, che si terrà a Siena il 22 e 23 Marzo 2019 e che vedrà la partecipazione di esperti nazionali ed internazionali.