Dalle steppe della Mongolia ai canyon dei western americani, i Ronin attraversano senza paura con la loro musica gli spazi aperti. Fondati nel 1999 hanno dato alla luce il primo disco omonimo nel 2003, e da allora non si sono più fermati con il loro sound che unisce il western morriconiano, l’isolazionismo chitarristico e certo folk mediterraneo. Dopo l’ossimorico disco precedente ‘Adagio furioso’ la band formata da Bruno Dorella e Nicola Manzan alle chitarre, Roberto Villa al basso ed Alessandro Vagnoni alla batteria ha dato vita a ‘Bruto Minore’, un disco che deve il suo nome a uno dei Canti di Giacomo Leopardi, composto nel dicembre 1821. I Ronin saranno in concerto al Glue Alternative Concept Space sabato 2 novembre. Ecco la nostra intervista a Bruno Dorella.
Ciao Bruno! Mi sembra incredibile che nel 2019 una band come la vostra vada a riscoprire una poesia di Giacomo Leopardi, tra l’altro bellissima, che io non avevo mai letto. Si parla sempre troppo poco di questo grandissimo poeta italiano secondo me, invece voi avete scelto proprio ‘Bruto minore’ per dare il titolo al vostro disco, come mai avete scelto questa ‘canzone’ in particolare?
Io frequento Leopardi regolarmente sin dall’infanzia. In quinta elementare ho portato agli esami ‘Alla luna’ di Leopardi recitandola davanti alla maestra e alla commissione. Sono legato al poeta da sempre. Bruto Minore fa parte della serie così detta delle canzoni che è molto complessa, sono testi di non facile fruizione. In realtà questa canzone che ho ripreso in mano casualmente quest’anno mi ha colpito perché affronta dei temi che sono molto cari ai Ronin da sempre. Proprio nel momento in cui stavo lavorando al disco mi capitò di leggere questa canzone che, con la scusa di parlare della disfatta di Bruto, va ad esplorare temi come la sconfitta, il fallimento, la bassezza dell’essere umano e il divino dipinto come capriccioso e insensibile al valore dell’uomo. E soprattutto il tema del suicidio visto in modo quasi rituale di libera scelta dell’uomo valoroso, una scelta eroica in contrapposizione alla bassezza, come una via d’uscita liberamente scelta. Mi piace molto questo gesto estremo, tragico, drammatico ma estremamente nobile, al contrario di come viene visto comunemente il suicidio e cioè una fuga codarda dalle difficoltà della vita. Ho deciso dunque di farne il tema del disco.
Mi sembra che questo disco contenga tutti quelli che sono i vostri grandi amori, come per esempio il pezzo ‘Oregon’ di cui c’è un bellissimo video tra l’altro girato in Toscana, ricorda un po’ le atmosfere western che voi avete già frequentato anche nel disco prima ‘Adagio Furioso’.
Siamo partiti sin dal primo album nel 2002 con queste suggestioni western, l’ispirazione principale erano i film di Morricone, negli anni ci siamo evoluti anche verso altre cose ma le colonne sonore sono sempre state alla base della musica dei Ronin. All’inizio erano soprattutto Morricone e Badalamenti a ispirarci, poi nel corso degli anni sono arrivate altre influenze tramite i miei ascolti, in particolare le colonne sonore dei film di arti marziali cinesi. Inoltre non dimentichiamo mai la colonna sonora di Neil Young per Dead Man di Jarmush. In Oregon ho buttato dentro anche altre due mie ossessioni, che forse sembreranno buffe: ovvero gli Iron Maiden e i Big Country. Gli Iron Maiden immagino che pur essendo nel 2019 qualcuno ancora se li ricordi, mentre i Big Country sono un gruppo scozzese degli anni ‘80, più o meno dimenticato, hanno fatto tre album veramente buoni e qualche altro meno buono. Il cantante poi si è suicidato quindi il gruppo ha chiuso. Hanno la caratteristica di avere queste chitarre che suonano spessissimo in assolo per gran parte dei pezzi, fino a raggiungere un effetto che sembra quello delle cornamuse. In Scozia questo li ha resi quasi degli eroi nazionali, infatti sono ancora molto amati. Qui in Italia hanno avuto un momento di gloria, poi sono stati dimenticati, invece io li mantengo come una piccola ossessione.
Nel disco c’è anche una cover di una band cinese che fa una sorta di throat -singing “Tuvan Internationale” degli Hun-Huur-Tu, come mai questa scelta così esotica?
Per la precisione loro sono tuvani cioè vengono dal centro della parte asiatica della Russia. A me interessa tutta la musica indipendentemente dalla provenienza e dalla bizzarria. La musica degli Hun-Huur-Tu è particolarmente vicina alla sensibilità dei Ronin. I loro temi sono bufali, cavalli e grandi spazi aperti della steppa, non così lontani da quelli dei cowboy. Ma essendo dalla parte opposta dell’atlante sono vicini anche alla musica cinese. Io vedo veramente una grande affinità tra il nostro linguaggio e questo tipo di musica. Inoltre è anche curioso sapere come ho scoperto questa musica, cioè negli anni ’90 tramite una recensione su Rumore di un altro gruppo tuvano, che veniva presentato come il grindcore della Mongolia. Mi ci sono avvicinato perché ho pensato cos’è sta roba? Andiamo a sentire…Allora non c’era Spotify e neanche Internet così sono andato in un negozio a comprarmi il disco e da lì ho tenuto d’occhio tutta quella scena che si è evoluta negli anni.
Mi sembra che dai vostri dischi traspaia un grande amore per gli spazi aperti, non riesco ad immaginarmi i Ronin che compongono e registrano al chiuso di una stanza in una città, anche se in realtà probabilmente è proprio così che è avvenuto.
Beh dove si registra può suggestionare fino a un certo punto, spesso siamo stati associati anche all’acqua, al mare. Mi ci ritrovo abbastanza anche se volevo che questo disco suonasse più terroso, una terra da steppa, brulla, non deserto. Ma sempre di grandi spazi stiamo parlando.
L’ultimo pezzo Bryson porta il nome di un antico matematico greco Brisone di Eraclea, chi era costui?
All’epoca in realtà non c’era una distinzione tra matematici, filosofi e altro. Lui era un sapiente che pretendeva di aver trovato la formula della famosa quadratura del cerchio. La cosa che mi ha fatto incuriosire di questo personaggio è che le uniche fonti scritte che abbiamo su di lui sono quelle di Aristotele che fondamentalmente lo prende per il culo perché la sua formula si è poi rivelata sbagliata. Veniva da lui dipinto come un ciarlatano, mentre in realtà nella sua epoca era un uomo molto rispettato. Lui con le migliori intenzioni ha cercato la quadratura del cerchio, ha pensato di averla trovata ma poi è passato alla storia come un ciarlatano. Mi sembrava un destino così bizzarro e a suo modo tragico, così ho voluto celebrarlo.
Prima parlavi dell’acqua che è la protagonista del tuo ultimo disco solista ‘Concerto per chitarra solitaria’ che racconta in musica la storia di un naufragio, un elemento altamente simbolico
Quando mi metto alla chitarra vado sempre a parare narrativamente in queste questioni. Fondamentalmente tragedia, sconfitta e fallimento, come un naufragio appunto, sono gli argomenti che volente o nolente mi toccano nel profondo e non riesco a fare a meno di andare ad esplorarli.
Tempo fa rivedevo il film ‘Ghost Dog’ che ogni tanto regala delle ‘pillole’ dal Bushido, la filosofia del samurai. Una delle più importanti è quella che dice che il samurai deve pensare alla morte tutti i giorni, così da abituarsi e non averne più paura. Mi ha fatto pensare ai Ronin.
Assolutamente, tanto è vero che una delle cose più belle che mi sono mai state dette me l’ha detta Luca Del Pia un fotografo toscano. Mi ha fotografato abbastanza spesso negli anni, ma non ho mai pensato di essere un soggetto interessante per lui perché non ho una vocazione estetica forte. Però mi ha detto questa cosa sulla mia musica: ‘Tu quando componi vedi il sepolcro’. Io non capivo cosa volesse dire questa frase, lui me l’ha spiegata dicendo che quando compongo io non penso a cosa la mia musica possa darmi nell’immediato, ma penso a quello che lascio per l’eternità. Devo dire che oltre a essere talmente vera, che non pensavo che potessero esserci altri approcci, mi è sembrato anche un complimento estremo. Assolutamente vedo e penso costantemente alla morte. Vedo il decadimento del mio corpo con consapevolezza e anche curiosità, ma certo non con felicità e vedo la morte come qualcosa a cui, pur col poco che ho fatto, in qualche modo sopravviverò.
Ti capisco, però mi stupisce molto anche questo tuo ragionamento. A me che non sono una compositrice, il processo creativo di un musicista sembra una cosa magica e misteriosa. Osservando la tua attività degli ultimi anni, ti cito solo alcuni dei progetti in cui sei coinvolto: Ronin, OvO, Jack Cannon, GDG Modern Trio, Sigillum S, Tiresia, Bachi da Pietra, Byzantium Experimental Orchestra, senza contare il tuo progetto solista per cui hai recentemente pubblicato ‘Concerto per chitarra solitaria’. Ho come l’impressione che da te il processo creativo sgorghi come una fontana, come fai? Cosa ti manca ancora da fare?
Però è anche l’unica cosa che mi riesce nella vita, per tutto il resto sono totalmente inutile. In realtà non sto facendo altro che quello che mi viene facile, poi può darsi che un giorno la vena si chiuderà e mi toccherà imparare a cambiare le lampadine, per il momento non mi sembra che sia questo il problema.
Ronin – Glue Alternative Concept Space
Sabato 2 novembre
viale Manfredo Fanti, 20, Firenze
Ingresso gratuito con tessera del locale