La Galleria fiorentina CasaAbitata ospita dal 21 al 28 settembre Mortalia Cura, prima monografica italiana dell’artista Daniele Davitti, a cura di Flavia Chiavaroli e Lavinia Pini. Per l’occasione saranno esposte 19 opere dell’artista, di medie e grandi dimensioni, esemplari della sua ricerca recente, incentrata sull’eleganza della figura femminile alla prova della vecchiaia.
Mortalia Cura è un percorso intimo in cui figure dipinte e spazio dialogano in silenzio. Lungo le pareti di CasaAbitata, ricavate dalla chiusura di parte della loggia dell’antico Palazzo Lapaccini, poi divenuto Giraldi, risalente all’ultimo quarto del XIV secolo, le solenni signore che vivono nelle tele di Davitti sembrano aver raggiunto un luogo in cui riflettere sulla vacuità e sull’impermanenza.
sfoglia la galleryLa vecchiaia, intesa come ultima tappa di un ciclo interiore più che come stato fisico, trova in questa esposizione espressione piena, accompagnando il visitatore dentro il mondo intimo dell’artista che si racconta nell’eleganza, nella forza espressiva e nella progressiva evanescenza delle sue “Signore”.
Entrare nel mondo di Davitti significa attraversare tormenti interiori, speranze, dubbi esistenziali e nascenti epifanie, tutti plasmati nelle sembianze di anziane caduche e maestose, spaventose e splendide. La loro bellezza disfatta, fulgente nelle sfumature di grigiore e canutezza, affilata nell’irreprensibile definizione della linea nera corvina, rievoca forme e inquietudini familiari al clima decadentista, simbolista e espressionista, cardini di riferimento nell’immaginario dell’artista il cui estro trova nel panorama storico che va dal 1880 al 1910 la matrice della sua espressione.
In particolare, Davitti si appropria del costume e della cultura dell’Inghilterra vittoriana a cavallo tra i due secoli, così estetizzante e cupa a un tempo, animata da un marcato eclettismo che egli ripropone ed espande, includendo ornamenti e attributi simbolici di derivazione asiatica e oceaniana e adottando la tecnica calligrafica tipica del Sol Levante, dalla cui tradizione culturale Davitti desume, inoltre, la visione wabi sabi dell’esistenza, basata sull’accettazione della transitorietà.
Un ritornare a casa, a Itaca, carichi del bagaglio che l’esperienza ha regalato nel corso del viaggio. Dopo un arco di tempo corrispondente a 10 anni di vita, scandito da soggiorni stabili in quattro continenti ai quali sono corrisposte altrettante esposizioni (Londra, TOAF, (UK); New York, Tazza Gallery (USA), Osaka, Teatro Enkei (JP), Melbourne, MSFW (AUS), Davitti decide di condividere per la prima volta “in patria” i risultati del suo peregrinare.