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Per chi è la notte: la Garfagnana magica e oscura di Aldo Simeone

Intervista allo scrittore pisano al suo esordio per Fazi con un romanzo che spazia dal realismo magico al gotico e racconta l’amicizia di due ragazzini sullo sfondo della Seconda Guerra Mondiale

Per chi è la notte di Aldo Simeone

Per chi è la notte? È questa la domanda che gli Streghi rivolgono a chiunque si avventuri dopo il tramonto nelle selve di Bosconero, un borgo fuori dal tempo tra le montagne della Garfagnana. Chi non conosce la risposta giusta – di cui solo i guardiani sono in possesso – è destinato a seguire la processione dei morti per l’eternità.
È questo il cuore incantato di “Per chi è la notte”, il romanzo del pisano Aldo Simeone, al suo esordio per Fazi con una storia che spazia dal realismo magico al gotico
per raccontare l’amicizia tra Francesco e l’indecifrabile Tommaso. Un bambino quasi alieno, con i capelli rossi e gli occhi verdi, sfollato dalla città e nascosto nella canonica del paese, forse perché ebreo o forse perché figlio di un partigiano.
Sì perché siamo nel pieno della Seconda Guerra Mondiale e Bosconero, rimasto fuori dalle rotte della grande Storia, si ritrova di colpo sul fronte della Linea Gotica. Francesco, ossessionato da sempre dalle leggende popolari che sopravvivono in una terra liminale come la Garfagnana, si trova così preso tra due diversi misteri. Quello sovrannaturale, rappresentato dal bosco e dal suo oscuro richiamo, e quello reale del conflitto armato.
Suo padre è andato a combattere sui monti e tutti in paese lo additano come disertore ma quando il fascismo cade e i nazisti occupano Bosconero il ragazzo capisce che in realtà è un partigiano. Sul sottile confine che divide l’infanzia dall’adolescenza e il collaborazionismo dalla Resistenza, Francesco si trova così a dover decidere per la prima volta se scegliere il proprio destino oppure subirlo.

Aldo, come è nata l’idea di scrivere questo libro?
«A questa domanda rispondo a volte in modi diversi. Potrebbe sembrare insincerità, invece è cattiva memoria. Mi è difficile infatti stabilire l’ordine delle idee: quale viene prima e quali ne derivano. Perciò, questa volta risponderò in un modo ancora diverso, ma forse più vero: il romanzo è nato dall’immagine del bosco. Anzi, di tre boschi: un bosco letterario (“La bambina che amava Tom Gordon” di Stephen King), un bosco mentale (la pineta della mia infanzia e la paura di perdermici dentro), un bosco reale (il Fatonero in Garfagnana).»

Come mai hai scelto di raccontare proprio la leggenda degli streghi? Cosa ti ha colpito di questi ambigui personaggi, sconosciuti fuori dalla Lucchesia?
«Proprio la loro ambiguità. Gli streghi incarnano un triplice mistero: si presentano con una domanda (la loro prima apparizione è dunque all’insegna dell’enigma), non si sa cosa facciano né perché, sono sconosciuti ai più. Aggiungo un quarto elemento di ambiguità, per me il più importante, che mi ha conquistato: il mito stesso degli streghi è reticente e il poco che dice è controverso, spesso contraddittorio. Un dubbio su tutti: gli streghi sono davvero malvagi? Non sarà (come hanno supposto gli studiosi) che su di loro – come sui benandanti friulani – grava la censura cristiana?»

 

ponte sospeso credits vagli park

Bosconero in realtà è Fabbriche di Careggine, sommerso davvero dalle acque del lago artificiale di Vagli: quanto di reale e quanto di inventato c’è nelle vicende e nel folclore di questo paese?
«Un po’ di entrambe le cose, ma soprattutto invenzione. Quando, nel 1994, è stato prosciugato per l’ultima volta il lago di Vagli, e sono riemerse le rovine del paese fantasma, io non conoscevo ancora Fabbriche di Careggine. Perciò non l’ho mai visto. Scrivere di un posto solo immaginato era per me impossibile. Ecco il motivo per cui, nel romanzo, ho mutato in Bosconero il nome del paese, rubandolo alla fantasia di un mio amico. Quando poi ho scoperto che un Comune chiamato così esiste davvero, e si trova in Piemonte, la mia terra d’adozione, mi è parso un segnale. Del resto anche il vero Bosco delle Sorti si trova Piemonte, presso Trino Vercellese. Dunque la geografia del romanzo, pur essendo soprattutto garfagnina, sfuma anch’essa – come ogni altro elemento della trama – verso l’irrealtà, allentando le maglie del romanzo storico e liberando le potenzialità del fantastico.»

Mi ha colpito lo sguardo inedito sulla guerra di Francesco, che a undici anni non è in grado di distinguere la differenza tra le due parti in causa. Mi è sembrata una rappresentazione molto realistica di quello che doveva pensare la gente dell’epoca, specialmente in un paese dell’estrema provincia: in fondo quanto capiamo davvero della Storia mentre la stiamo vivendo?
«Pochissimo. A volte nulla. Dei grandi processi storici che ci sovrastano possiamo forse intuire qualcosa, ma come un viaggiatore che osserva il paesaggio da fondovalle. Bisogna salire sul monte per capire meglio, o addirittura librarsi in aria. Oggi, fatta eccezione per qualche folle negazionista o nostalgico, abbiamo tutti gli strumenti per valutare con una certa sicurezza – anche se con inevitabile approssimazione – cosa del passato fu errore e cosa progresso. Il rischio è di crederlo ovvio, illuderci di poter riconoscere il giusto e lo sbagliato mentre passeggiano per strada. Se la storia ci insegna a distinguere il vero dal falso, il “buono” dal “cattivo”; le storie (la letteratura) devono compiere l’opera inversa e rificcarci nella complessità, nella confusione, nel dubbio.»

Nel romanzo c’è almeno un omaggio evidente a Stephen King ma secondo me il tuo libro si va ad inserire anche in un canone italiano di gotico e realismo magico, forse non conosciuto quanto meriterebbe, che comprende ad esempio Francesco Dimitri e Chiara Palazzolo. Ci sono degli autori italiani o internazionali verso cui ti senti debitore?
«Esattamente! Questa domanda mi dà l’opportunità di rimettere qualche debito. Innanzi tutto quelli contratti con Eraldo Baldini, l’inventore del gotico rurale. Tanto di cappello. Molti allievi del maestro King hanno finito per essere suoi imitatori, e in fin dei conti gli hanno fatto un cattivo servizio. A volte sorrido quando leggo romanzi del tutto sradicati, senza geografia. Non voglio dire che ogni storia debba essere localizzata in un luogo preciso e reale, ma neppure può essere trasferibile ovunque. Perché nessun evento avviene in ogni luogo allo stesso modo. Eraldo Baldini ha compiuto un’operazione importante: ha ricostruito dalle fondamenta, in Italia, le atmosfere e i modi dell’horror, del gotico e del fantastico americano, senza tradirli e al contempo senza tradire la nostra identità. Prendiamo, ad esempio, la paura: è la stessa a ogni latitudine, ma non è prodotta ovunque allo stesso modo. L’ossessione americana per le catastrofi naturali come il Big One è difficilmente esportabile, così come la nostra mania per la violenza domestica o gli omicidi-suicidi. Sono nato negli anni Ottanta: la mia generazione è quella di Zerocalcare, cresciuta a telefilm, fumetti, cartoni animati, cultura pop. Finalmente, molti scrittori miei coetanei stanno portando questo patrimonio nippo-americano sulla scena letteraria, ma da italiani. Penso, ad esempio, a Mirko Sabatino e a Sacha Naspini, il cui “Le case del malcontento” è il capolavoro che avrei voluto scrivere io. Invidia.»

Garfagnana

Al centro del romanzo c’è la Garfagnana, un territorio che tu conosci molto bene: quali sono i luoghi del libro e non solo che consigli di visitare ai nostri lettori?
«La casa di Pascoli a Barga, il Fatonero (in cui si trovano le «marmitte dei giganti»), Castelnuovo di Garfagnana con la Rocca Ariostesca, il lago di Vagli col suo segreto… Ma il vero consiglio che do sulla Garfagnana… è di perdercisi. Via il navigatore satellitare, via la cartina stampata, via la prospettiva stessa di una meta: conta il viaggio. La Garfagnana – così come il Monferrato o il Salento – è qualcosa di più di una regione storico-geografica, di un insieme di luoghi: è un luogo. Grande, sfumato, ma distintivo. Il turismo spesso consiste nel collezionare cartoline di posti famosi (la Torre di Pisa, la Mole antonelliana, il Colosseo, la Valle dei Templi…). Se amate questo genere di cose, se volete riempire il vostro profilo Facebook, la Garfagnana non fa per voi. Invece la raccomando, anzi, la prescrivo come una medicina a chi, nel viaggio, non cerca cose da fare o da vedere, ma se stesso.»

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