Dentro e intorno alle intricate radici dei suoli forestali, funghi e batteri scambiano nutrienti con le piante, in cambio di carbonio, in una specie di vasto e diramato “mercato globale”. Lo studio della rete internazionale coordinata dall’Università di Stanford, della quale fanno parte i ricercatori dell’Università di Firenze Francesco Rovero e Filippo Bussotti, è riuscito a mappare per la prima volta le tipologie più comuni di queste relazioni simbiotiche, che sono strettamente legate ai cambiamenti delle temperature terresti. Il lavoro si è guadagnato la copertina dell’ultimo numero della rivista scientifica Nature.
La rete – che ha coinvolto oltre 200 scienziati di 70 paesi, nell’ambito della Global Forest Biodiversity Initiative (GFBI) – ha raccolto i dati da oltre 1 milione di siti naturali nel mondo, che includono 28mila specie di alberi, rivelando i fattori che determinano dove le diverse tipologie di simbiosi hanno maggior successo. Le analisi hanno riguardato tre delle più comuni simbiosi, di cui due tra funghi e radici (chiamate “micorrize arbuscolari” e “ecto-micorrize”) e la terza tra batteri azoto-fissatori e le radici degli alberi.
I risultati, basati sull’ampiezza dei dati per la prima volta disponibili, confermano l’ipotesi che il clima, tramite la sua influenza sul processo di decomposizione delle piante, determini la distribuzione delle diverse tipologie di simbiosi. In particolare il team internazionale ha usato i dati delle mappe per predire come le simbiosi potrebbero cambiare entro il 2070 se le attuali emissioni di carbonio continuassero inalterate. Tale scenario comporterebbe una riduzione del 10% nella biomassa delle specie di alberi associati con un particolare tipo di funghi che si trova primariamente nelle regioni fredde del pianeta.
Il team del Dipartimento di Scienze e tecnologie agrarie, alimentari, ambientali e forestali dell’Ateneo fiorentino, coordinato da Filippo Bussotti, ha contribuito con l’analisi delle 36 aree forestali permanenti presenti nella Toscana centro meridionale (Colline metallifere). In queste aree, scelte sulla base di differenti livelli di mescolanza delle varie specie arboree, sono stati svolti studi approfonditi su struttura, composizione e funzionalità dell’ecosistema.
“Il nostro contributo al mosaico globale – spiega Francesco Rovero, ricercatore del Dipartimento fiorentino di Biologia, che ha raccolto i dati in collaborazione con il Museo delle Scienze di Trento (MUSE) – riguarda le foreste dei Monti Udzungwa della Tanzania, dove conduciamo ricerche sulla biodiversità da molti anni. Purtroppo dati sistematici dalle foreste tropicali, che sono quelle più ricche e minacciate del pianeta – commenta il ricercatore – sono drammaticamente scarsi e frammentati, come copertura geografica, rispetto a quelli dell’emisfero boreale, per cui rappresentano un contributo particolarmente significativo”.
Lo studio internazionale potrà contribuire alla comprensione di come le relazioni simbiotiche strutturano le foreste del mondo e come potrebbero essere influenzate dall’innalzamento delle temperature.