Come si tiene viva la memoria della Liberazione e dell’antifascismo in un momento storico in cui i testimoni stanno piano, piano scomparendo?
Ne abbiamo parlato con Lorenzo Tempestini autore, insieme allo storico Enrico Iozzelli, del Podcast “Ribelli” dedicato alla resistenza partigiana e in particolare all’eccidio più efferato compiuto nella città di Prato: l’impiccagione pubblica di 29 partigiani per mano dei nazisti, avvenuta a Figline il 6 settembre 1944.
Il podcast vede in tutto sei episodi da circa 50 minuti, frutto di sei mesi di lavoro di ricerca, ascoltabili liberamente sulle principali piattaforme di streaming tra cui Spotify.
Le interviste sono state realizzate direttamente dagli autori durante l’estate del 2024, ma anche selezionate da archivi storici come quello del Museo della Deportazione e Resistenza e di altri istituti locali.

Lorenzo, com’è nata l’idea di realizzare questo podcast “Ribelli”?
L’anno scorso il Museo della deportazione e resistenza mi aveva commissionato un podcast relativo alle deportazioni che partirono da Prato nel ’44, quel lavoro è andato molto bene. Poi in occasione degli 80 anni dalla Liberazione di Prato a settembre dell’anno scorso mi hanno chiesto di pubblicare questo lavoro che ho scritto insieme allo storico Enrico Iozzelli che è responsabile della didattica del Museo. Per tutta l’estate abbiamo intervistato testimoni ancora in vita, quelli che all’epoca erano bambini e bambine. A Prato abbiamo ancora due partigiani, poi abbiamo usato le registrazioni dell’archivio del museo e abbiamo costruito questo racconto.
la memoria fisiologicamente sparisce, è un fuoco che se non te ne prendi cura si spegne, quindi dobbiamo tutti fare un atto di responsabilità nei confronti della storia e delle storie. Anche perché c’è chi vorrebbe riscriverla, o addirittura cancellarla
Secondo me le riflessioni che vengono fatte tra testimonianze e analisi storica sono valide a livello nazionale perché parliamo di come sia cambiato il racconto della Resistenza. Per esempio fino agli anni ’90 le donne erano considerate solo staffette partigiane e nell’opinione comune non avevano un ruolo importante. Alla fine della Resistenza sono tornate nel canto del fuoco dove anche le forze progressiste italiane le volevano. Adesso invece si riscopre e si dà giustizia a tutte quelle donne che hanno lottato accanto agli uomini. Noi ci basiamo sull’analisi storica, le nostre riflessioni sono punti di vista su quello che la storia ci consegna e su quello non di discute. Credo che venga fuori un’analisi molto interessante che toglie un po’ di polvere alla retorica che spesso viene fatta.
È sempre difficile raccontare il passato ai giovani, ma in generale a chi non ha nessuno come un nonno o una nonna che glielo ha raccontato in prima persona
Il discorso che facevamo anche con Enrico che ha a che fare con i ragazzi tutti i giorni è proprio come cambia il racconto in un momento storico in cui vengono a mancare i testimoni della storia. Dobbiamo trovare nuovi strumenti per attualizzare e per fare immedesimare i ragazzi che studiano la seconda guerra mondiale e la Resistenza sui libri e come dice Max Collini “La vedono un po’ come il Risorgimento“, cioè la vedono allo stesso modo anche se non è così. L’aiuto di questi strumenti senza fare il boomer, e il racconto di una “microstoria” cioè il fatto di ascoltare una persona che ti racconta di aver sentito l’urlo dei partigiani impiccati, soffocato mentre venivano strozzati dalla corda, in qualche modo fa un lavoro di immedesimazione molto più forte di una pagina di un libro.
Ascoltare le testimonianze oggi di quelli che allora erano bambini mi ha fatto capire quanto siano ancora oggi attuali. Quando parliamo della guerra a Gaza che traumatizza i bambini e le bambine e il modo in cui questa cosa resterà sulla pelle di ognuno di loro, ci ricolleghiamo con gli anziani che intervistiamo oggi e che ci raccontano un episodio avvenuto anni fa come se fosse successo ieri, con le lacrime agli occhi. Ecco perché è un racconto ancora attuale e potente.

Il racconto di Ugo Giagnoni è stato un momento particolarmente emozionante
Lui abita a Sant’Ippolito di Vernio, mi sono fatto 40 minuti di macchina, ho montato tutto, ho premuto ‘rec’ e lui ha esordito dicendo: “Io della guerra non mi ricordo niente”. Quindi mi sono detto ma io qui che ci sono venuto a fare. In quel momento però sono arrivati i figli e la nipote e hanno iniziato a raccontarmi loro, quello che Ugo gli ha raccontato quando ancora aveva la memoria e la mente lucida. È stato un momento emozionante perché abbiamo visto un passaggio di testimone in diretta. Questo ci ha fatto riflettere sulla memoria che fisiologicamente sparisce, è un fuoco che se non te ne prendi cura si spegne, quindi dobbiamo fare tutti un atto di responsabilità nei confronti della storia e delle storie. Anche perché c’è chi vorrebbe riscrivere la storia, o addirittura cancellarla.
Come dicevamo prima i testimoni stanno piano piano scomparendo, tra dieci anni non ce ne sarà più neanche uno. Fa paura pensare a tutto questo perché le loro voci in nessun modo saranno rimpiazzabili, si creerà un gap, una mancanza. Quali pensi che possano essere gli antidoti?
Il problema c’è, è un discorso molto complesso, provo a ragionare con te a voce alta, da una parte è importante far fare esperienza ai giovani, visitare i luoghi dove i fatti sono avvenuti, come i campi di concentramento nel viaggio della memoria o Mazabotto, Sant’Anna di Stazzema, luoghi che hanno una potenza ancora oggi. Dall’altra l’attualità, trovare strumenti nuovi, senza retorica per raccontare l’antifascismo, senza far venire il latte alle ginocchia. Servono storie, anche confronti con l’attualità, con quello che accade oggi in altre parti nel mondo. È un lavoro complesso e mi rendo conto che oggi non viviamo nell’epoca della complessità, ma non possiamo in nessun caso rinunciare a questo.
So che stai lavorando a un altro podcast in cui racconterai le Case del Popolo
Sì, è un progetto che ci ha proposto Arci Prato. Sono andato in giro per cinque Arci della provincia di Prato intervistando persone. Le Case del Popolo sono nate come luoghi di aggregazione per tutti basate sui valori dell’antifascismo e della Resistenza. A Poggio alla Malva il circolo si trova a cento metri dal celebre attentato in cui una squadra di partigiani capitanati a Bogardo Buricchi fecero saltare otto vagoni pieni di esplosivo. Ho intervistato una donna di 85 anni la cui casa è stata scoperchiata dall’esplosione, è stato molto interessante. Oppure sono stato a Vaiano hanno una tradizione per cui ogni anno a giugno commemorano la battaglia di Valibona. Ho intervistato varie generazioni, per vedere come va avanti la storia dei Circoli Arci.
